14 luglio 2006

libri_interviste Una sensibile differenza (fazi 2006)

 
Stefano Chiodi intervista 20 artisti nostrani. In un volume appena dato alle stampe. Con particolare attenzione all’asse Bologna-Milano e con gli inevitabili fili rossi che ne emergono. Parliamo di forma, contenuto, impegno politico e grandi maestri. Non mancano gli esclusi eccellenti…

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Un corposo volume inaugura la serie Le Terre/Arte curata dal teorico Stefano Chiodi. Imbeccati dal critico capitolino, 20 artisti italiani espongono la propria poetica e infine se ne discute con Tommaso Pincio, che col nome anagrafico ha diretto la galleria Sperone all’inizio degli Anni Novanta.
Ora, sappiamo che ogni domanda in-forma la “sua” risposta e che la scelta dell’oggetto influenza i risultati della ricerca. Di quest’ultimo aspetto diremo più avanti, mentre per il primo le insistite domande sulla politica conduce inevitabilmente a un certo quadro. Perciò è necessario comprendere il contesto del volume per poterlo apprezzare a fondo. Veniamo allora a quanto emerge dalle conversazioni.
Come sintetizza Eva Marisaldi, “c’è stato un intenso traffico fra le due città [Bologna e Milano] negli anni Ottanta e Novanta”. Gli intervistati hanno in massima parte gravitato in almeno uno dei due capoluoghi, prendendo parte a esperienze di tipo comunitario. Dapprima viene il consesso milanese di via Lazzaro Palazzi, che coinvolse Marisaldi, Mario Airò, Liliana Moro e Stefano Arienti, con la contemporanea presenza in città di Elisabetta Benassi, Maurizio Cattelan, Grazia Toderi e vedovamazzei, e poco dopo anche Massimo Bartolini e Vanessa Beecroft. In una seconda fase, gli allievi di Garutti lo seguirono da Bologna a Milano. Siamo a metà anni ‘90, con il Gruppo di Via Fiuggi, composto fra l’altro da Simone Berti, Sarah Ciracì, Giuseppe Gabellone, Stefania Galegati, Deborah Ligorio e Diego Perrone. Per chiudere il cerchio, va ricordato l’entourage costituito da Buvoli, Frosi, Grimaldi, Minuti, Previdi e Tuttofuoco, ancora con Garutti benevolo burattinaio.
Domenico Mangano – Pizzosella - 2004
Da questa girandola di nomi emerge la parzialità nella scelta degli interlocutori di cui si diceva. Per esempio, perché non considerare il “gruppo” individuabile in Caravaggio, Piscitelli, Gennari? E dove sono finiti i romani anni novanta come Salvino e Pontrelli? D’altro canto, l’opzione temporale non è sempre giustificata. L’esempio più palese è il dialogo con Pietroiusti, nato nel 1955.
Torniamo alle tematiche. Quella della storicità è una delle più stimolanti. Da un lato si riscontra un interesse per l’alterità che non necessariamente dev’essere “esotica”: lo rammenta Airò sostenendo che “per assurdo non so se sia più lontano da noi Marsilio Ficino o gli aborigeni australiani”. Gli fa eco Domenico Mangano, paragonando fossili e periferie. Il secondo ramo della riflessione concerne il passato prossimo. Simone Berti taglia netto sostenendo che la Transavaguardia “non mi ha lasciato molto”, mentre Luca Vitone la “accusa” di aver “fatto tabula rasa”. Un disagio che coinvolge l’Arte Povera risuona pure in Grimaldi: “Mi piacerebbe appartenere a quella generazione in almeno uno dei suoi grandi rappresentanti, comprendendo che il proprio lavoro non è più in grado di produrre degli spostamenti linguistici efficaci smetta di farlo [l’artista]”.
Il secondo grande tema è l’impegno politico. La posizione quasi unanime critica l’arte didascalicamente “impegnata”. Ciò non significa che latiti l’interesse per il contesto sociale e l’afflato etico, che però non diviene mai militanza.
Elisabetta Benassi – You’ll never walk alone – 2000
Lo ribadiscono Simone Berti ed Elisabetta Benassi, fra coloro che resistono più strenuamente agli “assalti” di Chiodi. Questa posizione -che non credo si possa definire “debolista”, anche se gli anni ’80 si fanno sentire (“Politica per me vuol dire individuo. Politica non in senso sociale, ma di coscienza”, dice Perrone)- si riflette anche sulle valutazioni concernenti il sistema dell’arte e in specie il mercato.
Con naturalezza e insistenza emergono dunque i nomi dei “maestri”. In primis Boetti, colui che secondo Pincio “è stato il precursore di tutte le forme di microsoggettività emerse alla fine degli anni Ottanta”. Poi Pasolini, rievocato da Benassi e Vezzoli, ma pure da Maloberti, Mangano, Picco e Toderi. Ad appena un’incollatura segue De Dominicis, in una costellazione che è piuttosto facilmente interpretabile. D’altro canto, emergono pochi nomi di artisti visivi. Mentre si fa sentire l’influenza di altre discipline. Al primo posto il cinema, in videoartisti come Rä di Martino ma pure in una Marisaldi o in un Picco, con nomi ricorrenti come Lynch, Kubrick, Antonioni e Ciprì & Maresco. Il ruolo di Cenerentola spetta al teatro, mentre per quanto concerne la letteratura curiosamente svetta, oltre Sciascia per gli artisti meridionali, un interesse per la “fantascienza”, con Philip Dick e Lovecraft.
Un accenno almeno per le tecniche. Con alcune pratiche che in questi ultimi anni sono state riscoperte: dal bassorilievo di Gabellone -fra i più riflessivi degli intervistati- e dalle metope di Marisaldi, passando per un approccio peculiare alla performance in Maloberti, fino al ricamo di Vezzoli.
Giungiamo infine alle questioni più teoriche, ed è comprensibile che gli artisti di lungo corso riescano a comunicare in maniera migliore la propria posizione. Così è nel caso di Arienti, con la sua rivalutazione della decorazione in funzione post-modernista. Oppure la critica delle dinamiche espositive, che raggiunge l’apice con la mostra di Benassi a Base, con le opere che di giorno in giorno venivano disallestite. Il pubblico interessa Frosi, il quale sente la necessità di “limitare i colpi bassi dello sguardo, la sua spregiudicatezza”, mentre -solo apparentemente all’opposto- Galegati sostiene che, “anche se l’opera di fonda sull’incomunicabilità, il momento più importante è quello della comunicazione”.
Rä di Martino – Cancan – 2004
Dichiarazioni che collassano nell’imperativo sottolineato da Marisaldi, ossia non annoiare i visitatori. In chiave difensiva od offensiva, la questione dell’altro torna nelle parole di quasi tutti gli artisti intervistati, a tal punto che si potrebbe accogliere la definizione di Pietroiusti come una sorta di vessillo di questa generazione e mezza di artisti italiani: “L’arte potrebbe essere concepita come la disciplina che ha al suo centro la pratica dello spostamento dello sguardo nel luogo dell’altro” (Pietroiusti). Eloquentemente vaga, come sarebbe piaciuta agli antichi viaggiatori in Italia.

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Stefano Chiodi – Una sensibile differenza. Conversazioni con artisti italiani di oggi (con la collaborazione di Ilaria Gianni)
Fazi, Roma 2006
ISBN 88-8112-753-9, pp. 408, € 35, ill. b/n
Artisti intervistati: Mario Airò, Stefano Arienti, Elisabetta Benassi, Simone Berti, Rä di Martino, Christian Frosi, Giuseppe Gabellone, Stefania Galegati, Massimo Grimaldi, Marcello Maloberti, Domenico Mangano, Eva Marisaldi, Luca Pancrazzi, Diego Perrone, Gabriele Picco, Cesare Pietroiusti, Lorenzo Scotto di Luzio, Grazia Toderi, vedovamazzei, Francesco Vezzoli, Luca Vitone. E Tommaso Pincio
Info:
la scheda dell’editore

[exibart]

11 Commenti

  1. …ma quanti punti interrogativi sull’arte!..quale inconsapevole fanciulla a trascritto l’articolo?..alle già usuali e stupide domande altre ancora e dettate da un mancante apostrofo che è proprio sotto ogni interrogativo!..le cose che abbiamo sotto gli occhi ci sfuggono…

  2. POVERA PATRIA

    Assai variegata
    la ricchezza
    di pochezza interior

    niuno si avvede
    che il re è nudo

    innanzi a ciò
    non resta
    che avanzar lancia in resta
    celata ben serrata

    calar d’abbasso
    ed infilzar
    i prodigi
    della giovine italia

  3. Più che altro penso che siamo alla frutta…
    Basta con i “garuttini”, e con le “mostre di fine corso” nei più importanti spazi in italia e all’estero.

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