14 novembre 2006

libri_saggi Il consumo delle immagini (bruno mondadori 2006)

 
La differenza tra simbolico e immaginario? Tra estetica ed economia? Ve la spiega Fulvio Carmagnola, in compagnia di Zizek e Che Guevara. Un invito al gioco, serissimo...

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Il consumo delle immagini è un volume perspicuo e stimolante. Ricco di concetti e icone da consumare, appunto. Se, infatti, l’apparato teorico si costruisce nella distinzione rispetto ai classici di quella disciplina filosofica moderna che è l’estetica, e nel confronto continuo con il pensiero dei contemporanei, tra i quale spicca Slavoj Zizek, i veri protagonisti del volume sono figure del nostro immaginario. Da Che Guevara a Xiao-Xiao (nome fittizio di un giovane videoartista cinese) passando per Calliope, Victor, Cayce, Morpheus, personaggi di romanzi e film degli ultimi anni. Ognuno ravviva uno dei capitoli che formano il libro, la cui trama è segnata da tre elementi.
Innanzitutto, l’autore descrive in modo peculiare e profondamente condivisibile il passaggio dall’epoca del simbolico a quella dell’immaginario. Simbolica è l’epoca nella quale qualcosa sta al posto di qualcos’altro (un significato, un valore), lo rappresenta all’interno di un ordine riconosciuto da una comunità. Immaginaria è invece la nostra epoca: un’epoca di immagini fluttuanti nelle maglie delle reti mediali, che non rinviano ad altro, che stanno per sé e instaurano un vero e proprio dominio del significante. Ma il passaggio dal simbolico all’immaginario non è affatto rivoluzionario, bensì rivelativo. Oggi e solo oggi, nell’epoca del predominio del significante, diveniamo consapevoli di quella potente, forse magnifica, ma anche terribile allucinazione che la modernità ha forgiato e alimentato. Oggi e solo oggi comprendiamo che il simbolico è esso stesso un qualcosa d’immaginario, un’illusione senza fondamento: “L’immaginario allora non è solo la perversione del simbolico ma il suo diventare, finalmente, consapevole di sé”. Oggi e solo oggi, in altri termini, possiamo continuare aChe Guevara sognare pur sapendo di sognare.
A dire di questa illusione, a dircela ci pensano le merci, e più precisamente i brand della fiction economy. La componente immaginaria dei prodotti non rinvia ad altro, a un’u-topia compensativa rispetto alle miserie del presente. La componente finzionale, esperenziale che segna irrimediabilmente le merci è elemento fondamentale dei processi attuali di valorizzazione: l’economia si è fusa con l’estetica in quanto economia dei beni simbolici, economia delle esperienze, feeling economy, economia dell’immaginario, fiction economy. In questo ambito di riflessione, l’autore punta l’attenzione sul consumo più che sulla produzione e sulle sue dinamiche postfordiste: versione attuale di un concetto ormai classico come quello di gusto, è il consumo a creare e rielaborare in continuazione l’immaginario, le sue icone mediali.
Infine, Carmagnola conclude il volume ponendosi l’interrogativo: che ne è del comportamento estetico nell’ambito dell’economia finzionale? Le opzioni da lui individuate sono tre: la prima mostra lo schiacciamento del gusto sul piano del marketing, in una sorta di beata acquiescenza rispetto allo spettacolo del capitalismo globale; la seconda è segnata dallo sdegnato ritrarsi da questo piano in un atteggiamento di resistenza ovvero di isteria negativa; la terza è quella indicata da Xiao-Xiao, con la sua capacità di stare dentro-fuori l’economico e di giocare con le sue forme, di renderle indecidibili. Giocare la merce è dunque l’invito di Carmagnola, perchè “il gioco ‘fa nascere qualcosa’ –un inaspettato, un supplemento gratuito– nelle stesse pieghe della merce” .

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Synopsis di Carmagnola e Senaldi

antonio tursi

*recensione pubblicata in collaborazione con ReF – www.recensionifilosofiche.it


Fulvio Carmagnola – Il consumo delle immagini. Estetica e beni simbolici nella fiction economy
Bruno Mondadori, Milano 2006
ISBN 8842493139
Pagg. 232, € 19
la scheda dell’editore


la rubrica libri è diretta da marco enrico giacomelli

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1 commento

  1. I libri di Carmagnola, come quelli di Senaldi, sono interessanti ed “aggiornati”, ma suonano sempre come una zuppa di ingredienti preconfezionati e in fondo prevedibile: vi manca il coraggio della riflessione autonoma e magari meno “aggiornata”: vi mancano forse il coraggio di un certo scetticismo, il coraggio di un’opinione meno canonica.
    Il non essere per forza aggiornati sull’ennesimo e forse ininfluente clone di turno sarebbe forse una scelta più feconda e originale. Molte riflessioni sono ovviamente calzanti ma si tratta di una riproposta comunque di temi Baudrillardiani. Qui domina la dislocazione, la posizione: o dentro o fuori il flusso indistinto e siccome sarebbe da ingenui coltivare alterità impossibili in quanto siamo tutti irrimediabilmente “mobilitati”, sarebbe meglio stare a metà strada. Soluzione ovvia
    considerata la banale e artificiosa condizione dialettica di partenza. Ma forse é da ingenui stabilire un simile abito adatto a tutte le occasioni
    quando invece di volta in volta ci troviamo di fronte a situazioni concrete.Ma forse sarebbe ora di ragionare nei termini di una casistica più raffinata di quella del puzzle : cercare ragioni e contesti, effetti e relazioni ,consapevolezze e preferenze, scelte e fedeltà, magari una conoscenza del mondo
    meno mediata dall’armamentario nomenclatorio di stracotte estetiche lacaniane e maggiormente edotto di questioni sociali, politiche , economiche.
    Scarse ed opportunistiche le riflessioni sugli eccessi del mercato dell’arte oltre che della disinformazione della pubblicistica d’arte.

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