27 settembre 2006

libri_saggi Il ritorno del reale (postmediabooks 2006)

 
A ben dieci anni dalla pubblicazione in lingua inglese, viene finalmente tradotto Il ritorno del reale, uno dei testi fondamentali della critica d’arte postmoderna. Un testo che parla di rappresentazioni e simulacri, di realismi e concettualismi. E che ci aggiorna su un dibattito critico altrove già digerito. Insomma, meglio tardi che mai...

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È un evento da salutare certamente con interesse, dato che il ritardo della divulgazione nel nostro Paese di un’intera generazione di studiosi in prevalenza statunitense è ormai ventennale –e pensiamo non solo ad Hal Foster, ma anche a Thomas Crow, a Douglas Crimp e allo stesso Fredric Jameson. Ci siamo persi un intero dibattito epocale senza neanche accorgercene.
Il testo di Foster è di quelli che aiutano a rimetterci in pari e a comprendere come si è evoluto il discorso sull’arte contemporanea negli ultimi decenni. La tesi fondamentale del libro è che non solo l’avanguardia alla fine del Novecento sia stata viva e vegeta –contro la vulgata che la vorrebbe morta e sepolta con il concettualismo-, ma che essa abbia saputo rifondarsi e vada identificata con la posizione ancora una volta più feconda e innovativa.
Punto di partenza sono gli irrinunciabili anni Sessanta, autentico incunabolo del postmoderno. Nel primo capitolo, Foster guida attraverso un ripensamento generale della neoavanguardia e della sua azione retroattiva rispetto all’avanguardia storica, quasi agli antipodi rispetto all’interpretazione canonica di un classico come Teoria dell’avanguardia (1974) di Peter Bürger. Di qui, il concetto di ‘retro-azione’ si allarga all’intera comprensione critica dell’arte postmoderna, presentandosi, nella volontà dell’autore, come una sorta d’antidoto mentale alla retroversione tipica dell’arte all’altezza del 1996 (e, aggiungiamo, pure dei dieci anni successivi: anche per questo è così importante leggere queste pagine).
Il ritorno del reale di cui parla Foster è quello che si intreccia, a partire proprio dalla pop art, con l’esaurimento progressivo della spinta modernista. Ciò che Foster lamenta nella lettura critica dell’opera da Warhol in poi è la La copertina del saggio di Hal Foster divisione rigida tra i due regni dell’immagine: rappresentazione e simulacro. L’analisi dettagliata di alcuni fenomeni artistici degli ultimi trent’anni –dal fotorealismo, giustamente ribattezzato superrealismo, di un Richard Estes all’appropriazionismo di un Richard Prince, fino a Cindy Sherman e a Mike Kelley– è perciò funzionale a descrivere una rifondazione e una ridefinizione del realismo che può essere riconosciuta, a ragione, come la linea fondamentale dell’arte contemporanea.
Uno dei pregi fondamentali della scrittura di Foster è quello di pensare sempre la storia dell’arte in funzione del presente, e viceversa. La comunicazione tra i differenti livelli temporali è talmente attiva da moltiplicare continuamente le risposte e, contemporaneamente, le domande, senza però cadere mai nell’a-storicità o nella gratuità. Questa traduzione de Il ritorno del reale ha dunque una doppia funzione: da una parte ci mette in contatto con una tradizione critica e teorica che da noi stenta ancora ad attecchire, e dall’altra ci dice molte cose su come un periodo ormai storicizzabile -gli anni Novanta- abbia modellato i periodi precedenti.

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Hal Foster – Il ritorno del reale
Postmedia Books, Milano 2006
ISBN 8874900260
Pagg. 256, 99 illustrazioni , € 21
Info: la scheda dell’editore – http://www.exibart.com/profilo/editore.asp?idelemento=14


la rubrica libri è diretta da marco enrico giacomelli

[exibart]

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