14 giugno 2023

Printmaking Tales, creare con lentezza: i segreti della stampa d’arte in un prezioso volume

di

Una testimonianza storica e antropologica dedicata alla stampa d’arte e ai suoi segreti: “Printmaking tales” è il nuovo e prestigioso progetto editoriale di Umberto Giovannini, in collaborazione con Fabriano

La carta ha un suono. Possiamo ascoltarlo quando sfila attraverso i rulli di una stampante. È come un soffio, uno spessore che ne accarezza la superficie rivelandone la sottile rigidità, la consistenza ottica più che tattile, nonostante i 100 µm (micrometri, 0,1 mm). Lo conosciamo tutti. Conosciamo anche altri suoni senza esserne consapevoli. Il toner del laser che disegna attraverso scariche elettriche. Il gracchiare della matrice degli aghi metallici allineati che imprimono inchiostro. Per i più fortunati anche il sound del plotter, che ricorda una vecchia telescrivente o un braccio robotico industriale. Solo che al posto di fissaggio o assemblaggio esso è collegato a delle penne a ugello che riproducono tratti, aree di colore, figure, geometrie. È la stampa di oggi. Domestica, industriale, rapida, specializzata.

Ma c’è un altro modo di stampare, venuto da lontano, lontanissimo. Un’arte che nasce non in una box di termoplastica, chip e cartucce di ciano, magenta e giallo ma dentro ai laboratori, con uomini sapienti di grande memoria tecnica e pratiche antiche. In questi luoghi ci trovi altri oggetti: lastre di zinco, di legno, feltro, punte d’acciaio, sabbia, cera, rulli, spatole, pennini, acquaragia, ampi tavoli di lavoro, grandi rulli, solventi, acidi, tarlatana.

È il dono che ci ha fatto Umberto Giovannini con Printmaking Tales, prestigioso libro nato dalla collaborazione tra il celebre marchio dell’industria cartaria Fabriano, l’Opificio della Rosa di Morciano di Romagna – con i suoi due opifici di Montefiore Conca e Roma – e la biblioteca della scuola Central Saint Martins di Londra.

Esperto di tecniche di stampa tradizionali, docente di Art & Design presso la University of the Arts London, nonché fondatore di Opificio della Rosa, Umberto Giovannini ha ricostruito, attraverso gli 11 capitoli in cui è diviso il libro, una testimonianza storica e antropologica di una dimensione del fare e dell’operare che giungono da un lontano passato e che procedono verso il futuro.

Innanzitutto il contatto con la materia madre, la carta, il suo cuore di cotone, espressione di forza, di terra e di acqua. Il marchio Fabriano nasce da una lunga storia di allocazione geografica ed economica, di ingegnosità e industriosità dei propri abitanti. Un borgo di saraceni presenti nella vicina Ancona è la traccia che gli storici hanno ipotizzato come probabile collegamento con le rotte asiatiche, di merci e di preziose conoscenze da cui è stata sviluppata la manifattura di carta bambagina (nata dalla battitura di stracci e tessuti di cotone). Il resto è una storia di lavoro e sperimentazione degli artigiani fabrianesi sin dal XIII secolo, che oltre alla qualità purissima del prodotto ne assicurarono grande diffusione grazie a importanti evoluzioni (il “signum” della filigrana o l’impermeabilizzazione del foglio con la colla di gelatina animale, che l’ha rese utilizzabile al posto della costosa pergamena per i documenti amministrativi ufficiali).

Anche il primo contatto aptico del libro ne testimonia la consistenza, la portata, ma soprattutto il rigoroso lavoro per costruirlo e produrlo. Una consapevolezza che l’Opificio della Rosa, associazione no-profit fondato nel 2009 fondato da Umberto Giovannini, nata attorno al laboratorio di Montefiore Conca e adesso anche dallo studio di Morciano di Romagna, ha portato avanti, scegliendo di raccontare la grande storia della stampa d’arte utilizzando diverse tipologie di carta (Unica, Rosaspina, Artistico, Tiepolo, Magnani Pescia, Magnani Corona e Magnani Incisioni) rispettose dell’ambiente, grazie alla partnership di Fabriano con l’organizzazione Forest Stewardship Council (che certifica la sostenibilità della cellulosa usata) e attraverso l’impiego di prodotti naturali per la morsitura e la pulitura di matrici e attrezzi.

Il racconto si divide così in tre momenti: immaginando attimi di vita di famosi printmaker del passato, calati nei loro ambienti di lavoro, presi tra una stampa e l’altra; raccontando con semplicità e chiarezza le diverse tecniche di stampa (dall’antichissima xilografia fino alle moderne tecniche miste contemporanee); mostrandoci, tra le pagine di ogni capitolo, prestigiosi esempi di printmaking del passato e lavori inediti di artisti, illustratori, pittori, scultori contemporanei (Koichi Yamamoto, di Maria Pina Bentivenga, di Gianna Bentivenga, di Giulia Leonelli, di Ilaria Rosselli Del Turco, di Marina Bindella, di Ingrid Ledent, di Nick Morley, di Davide Reviati, di Paul Dewis e di Anonima Impressori)

È un gioco compositivo, di memoria e di immaginazione, quello di Umberto Giovannini. Come dei cammei, dei piccoli draf restituiti sotto forma di linee di vita, abbozzate a matita e colorate a cera. I tempi morti, le attese dei protagonisti, gli ambienti, gli studi disordinati e occupati da materiali, telai, opere. I rituali prima del lavoro, il silenzio attorno a un atelier in mezzo alla montagna o in un quartiere affollato di Los Angeles, insomma la vita, le tales che scorrono accanto all’arte del printmaking.

«Quanto l’idea di multiplo è stata importante nella storia dell’umanità? Il concetto di multiplo, come lo concepiamo oggi, ha delle basi robuste nella stampa e principalmente nella xilografia: la tecnica grafica più antica e anche la più intuitiva, che vive in una simbiosi profonda tra legno, inchiostro e carta».

La pratica della riproduzione non è figlia del moderno, del manifatturiero ma ha radici più profonde, come le prime xilografie in Cina, utilizzate per stampare iscrizioni buddhiste durante il regno dell’imperatore Zhengyuan (627-649 d.C.). E si lega ad una necessità di moltiplicazione, diffusione, relazione tra soggetti lontani ma appartenenti a una medesima comunità. Raccontando alcuni momenti, topici della vita dell’incisore Edoardo Chiossone, che ormai prossimo alla morte guarda per l’ultima volta la sua collezione di pezzi d’arte giapponese in partenza per la sua Genova, Giovannini ci presente una pregiatissima ukiyo-e, una xilografia policroma di Toshúsai Sbaraku che ritrae Nakayama Tomisaburo I, attore del teatro kabuki. Nata da un blocco di ciliegio, scavato con un coltello, e su cui si delinea la forma in rilievo che verrà inchiostrata con tinte ad acqua, mischiate a colla di riso e pressata su carta. Matrice e opera. Un pezzo unico ma moltiplicabile, rinnovabile nella propria unicità. Come Sergio, la xilografia policroma a quattro radici stampata dello stesso Giovannini su carta Fabriano Artistico, chiamata “mano macchina” perchè simile nella qualità della carta fatta a mano.

Una dimensione artistica che sfugge totalmente a ogni meccanica massificata, da “Modern Times” per intenderci, di chepliniana e benjiaminiana memoria.

In un’epoca di copiatura e riproduzione massive e fuorvianti, spogliato di ogni necessità tecnica e industriale di riproduzione, il gesto grafico diviene perciò una liturgia profonda, una pratica della lentezza e della sensualità. Quel riassaporare la sapidità degli elementi, dei momenti e delle storie. E dove, in un’epoca di pieno, di continuo e di costante, il contrografismo non rappresenta soltanto il bianco tipografico, inespressivo e silente, dello matrice, ma un necessario noumeno di senso incompiuto, luogo inaccessibile e intervallo preparatorio di ogni fissatura, coloritura e pulitura fatta ad arte.

Come la magia di «Quelle piccole cose fuori posto che rimandano ai pensieri e alla laboriosità del giorno prima: le spatole abbandonate su una sedia, le pulizie fatte in fretta, un barattolo d’inchiostro rimasto aperto». E lì che Giovannini immagina, nello studio di Mary Corita Kent, la celebre suora dell’ordine delle Missionarie del Cuore di Maria divenuta famosa negli anni sessata con dozzine di poster stampati con la tecnica della serigrafia dedicati alle battaglie per i diritti civili, al movimento femminista e contro la guerra in Vietnam (1965-1975). «Le lettere che sembrano ritagliate, saltellanti, trasmettono idea del processo manuale e allo stesso tempo la bellezza indeterminata del lavoro creativo». Le parole, le frasi, le composizioni emergono «Distorte, accalcate, slabbrate» ma, ciononostante, con la forza di esplodere su ogni superficie. Un disallineamento visivo che porta a un caos strutturale ed emotivo nelle nostre vite, che richiede una dose di disordine quanto di immaginazione. Se le lettere e i significati sono sempre nell’etere, stanziando come entità a sé stanti, alcuni artisti riescano a coglierne il potere nei nessi, manipolando pigmentazioni emozionali e riformulandoli come spazi pulsanti, condensati e vivi.

Come i ritratti e i collage di Robert Rauschenberg, i cuori che esplodono di Jim Dine, le tele serigrafate “FATE PRESTO” di Andy Warhol, le parole quasi urlate “Not”, “Life”, “Hope”, di Corita Kent che passano dalla materia basica della carta, della tela, del colore per trasformarsi in voce interiore audace, collettiva e perentoria. «Non riesce a staccare l’occhio dal titolo tutto in maiuscolo, “BRASILE”, e dalla forza grafica di quella parola. È una composizione perfetta, solida, sonora». Con la breve storia di Alessandro Butti, famoso grafico degli anni ’50 e disegnatore di numerosi tipi (Quirinus, Fluidum, Hastile, Athenaeum, Augustea e del celebre Microgramma) che prende un caffè davanti a un giornale appena uscito in edicola, Giovannini ci riporta al punto di partenza. Il suono della parola, come la vibrazione del foglio, del carattere, della parola singola ma mai isolata. E che sa esprimere quella forza, quel trascinamento che solo un perfetto “bilanciamento visivo” sa dare. L’equilibrio perfetto e finale tra foglio, segno e occhio è così raggiunto.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui