24 agosto 2023

Un libro al giorno. Attrezzature Urbane per la Collettività di Ugo La Pietra

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Nella rubrica estiva di exibart “Un libro al giorno” presentiamo saggi e romanzi di cultura a 360 gradi. Non solo arte e storie di artisti, ma anche critica, filosofia e attualità. Consigli di lettura da mettere in valigia, per accompagnarvi in ogni viaggio della vostra estate

L’inquadratura è larga. Una città moderna qualsiasi, che potrebbe essere Milano, e un traffico infernale e rumoroso che assedia il nostro sguardo. Le macchine girano però interno a una strana figura. Un uomo, elegantemente vestito, è seduto su una comoda sedia e legge il giornale come se fosse nel cuore della sua casa. La scena si stringe su di lui che si gira, ci guarda e dice: Contro il logorio della vita moderna: Cynar!” Per quanti vengono dalla mia generazione e da quelle precedenti, si tratta di un famoso spot pubblicitario prodotto nel 1966 per il mitico Carosello delle venti e trenta in cui l’invadenza della vita contemporanea viene simbolizzato da questo elegante signore e dalla necessità di evadere grazie a un buon amaro. Pochi anni prima nel film “La notte” di Michelangelo Antonioni, Milano è raccontata soprattutto attraverso il rumore assordante delle macchine in Corso Europa, messo in contraddittorio con il silenzio felpato e quasi asettico di alcuni interni domestici.

Nella seconda metà degli anni Settanta Renzo Piano e Richard Rogers optano per la moquette come materiale per l’atrio d’ingresso del nuovo Centre Pompidou, portando una qualità tipicamente domestica nel cuore di uno dei monumenti più metropolitani che si potessero immaginare.

Questo momento storico mette in tensione l’assoluta fragilità della distinzione modernista tra pubblico e privato e la questione che ogni manufatto era diventato un prodotto da consumare rapidamente per nutrire un mercato sempre più aggressivo.

Nel 1973, in occasione della mostra al Moma intitolata “Italy the New Domestic Landscape” e curata da Emilio Ambasz, l’idea che lo spazio privato e domestico fosse diventato definitivamente un paesaggio fluido e politico di oggetti e corpi, si afferma ed esplode attraverso una serie d’installazioni prodotte da designer e architetti sperimentali italiani che indagano in maniera libera sulla relazione tra città e casa. Ogni installazione era dotata di video e di una architettura autonoma che portava i visitatori a vivere le dinamiche spesso alienanti che lo spazio domestico stava generando, oltre a una serie di altri interventi che portavano coraggiosamente la casa in strada giocando in maniera lucida con il cambiamento di paradigma che l’abitare borghese urbano stava vivendo.

La metamorfosi era nelle azioni quotidiane e nelle parole e uno degli interventi più lucidi e visionari è stato il lavoro di Ugo La Pietra intitolato “The Domicile Cell”, uno spazio attraversabile dalla sezione triangolare in cui raccontare di come si sarebbe potuti mettere in contatto telefonico con il resto del mondo camminando tranquillamente per strada. La cosa oggi suonerebbe normale, ma nel 1973 tutto questo era impensabile, tranne che per il lavoro di La Pietra che in quegli anni lavorava su alcuni manufatti urbani capaci di connetterci con gli altri, portando il tipico oggetto del telefono da casa lungo un qualsiasi marciapiede. Queste installazioni sono parte di un paesaggio di oggetti stranianti e spiazzanti che il progettista milanese immagina a cavallo dei primi anni Settanta e che giocano con il principio fondamentale del cambio di prospettiva sul mondo che circonda come in “Uomouovosfera” (1968), “La nuova prospettiva” (1968), “Nell’Acqua” (1970), “Il commutatore” (1970) e in una serie di spiazzanti negozi disegnati nello stesso periodo.

Questi lavori e molte delle riflessioni figurative e teoriche sono raccolte adesso nell’ultimo sforzo teorico di uno dei maestri indiscussi della scena Radical Italiana a rileggere una linea di ricerca e riflessioni che coerentemente si sono mosse nel tempo mantenendo sempre il fuoco su una serie di problematiche necessarie: la città e le sue comunità.

Non è quindi un caso che tra il 1968 e il 1977 Ugo La Pietra lavori su un motto centrale in questo dibattito: “Abitare è essere ovunque a casa propria”, una frase ripresa dalla produzione situazionista che in quegli anni ha una influenza importante sulla produzione dei giovani radical italiani e che ci porta a comprendere che la città nel suo insieme sia un universo domestico allargato in cui le nostre azioni, desideri e abitudini sono costruite e accolte.

Questo dibattito diffuso e le sperimentazioni crescenti tra design e architettura rispetto a una città sempre più aggressiva portano autori come Ugo La Pietra lavorano tra visione e ironia al principio di nuove “attrezzature urbane”, termine che poi evolverà in maniera più innocua e addomesticata in “arredo urbano”, a sancire la definitiva mescolanza tra casa e città. Ogni performance e azione portata avanti in questo periodo riporta a questa condizione: dove termina la casa nella nostra vita? Che cosa è privato e pubblico? Quale è lo spazio, il territorio, proprio per la nostra vita all’interno della metropoli? La città viene indagata liberamente come spazio in cui sperimentare e provocare esteticamente attraverso azioni che diventano anche politiche e che riportano i luoghi urbani aggrediti dalle macchine e dalla speculazione al centro della nostra attenzione.

“Riappropriazione della città” è un film di Ugo La Pietra del 1977 e, a distanza di due anni, lo stesso autore espone alla Triennale di Milano il lavoro “Interventi pubblici per la città di Milano” in cui una serie di paletti e catenelle definiscono il limite labile e fragilissimo tra un letto matrimoniale e la strada in cui tutti camminano.

La riconversione progettuale lavora sul principio contemporaneo del riciclo e del riuso, oltre che immaginare il principio che ogni oggetto debba vivere almeno una seconda vita prima di essere dismesso, offrendo opportunità di utilizzo inattese e generose per la comunità.

Per questo motivo Ugo La Pietra porta avanti coerentemente questa ricerca sugli oggetti domestici/urbani che diventano meta-progetti e forme di decodificazioni urbane nel 2000 che ampliano ulteriormente l’idea un po’ ornamentale di “arredo urbano” e di “dissuasore” puntando a un’idea di piacere, ozio e decompressione che rendano la città sempre più domestica e accogliente in cui sarebbe bello abitare.

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