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30
giugno 2008
fino al 10.VII.2008 La sottile linea d’ombra Milano, Fondazione Mudima
milano
Tre universi si fondono. Senza dividersi e senza smettere di appartenere. Attraverso il calcolo dell'infinito e la sua ripetizione. La terra impastata e i moti di superficie. Una collettiva dagli accostamenti rari...
di Ginevra Bria
Dai numeri alla leggerezza, dai confini spietati della terra, per fare ritorno al dialogo teoretico degli elementi, La sottile linea d’ombra è una mostra che lascia una scia, una traccia. Il visitatore ha di fronte una collettiva da meditazione. Un’esposizione che non lascia spazio ai confini.
Il piano terra, alle pareti, offre un archivio eteroclita che sorprende. Le grandi tele numeriche di Roman Opalka (Hocquincourt, 1931; vive a Bazérac), rigorosamente 196×135 centimetri (la stessa misura delle porte nel suo studio a Varsavia), fanno emergere dal grigio infinitesimali cifre bianche. Le cifre che l’artista ha cominciato a dipingere seguendo un processo di conteggio, negli anni lo hanno portato ad avvicinarsi sempre più al numero infinito. A comiciare dall’angolo sinistro in alto, per terminare con una sequenza numerica ascendente, nell’angolo destro in basso, Opalka segna i codici del tempo. L’artista porta in mostra cinque tele che raccolgono le più recenti fra le sue celeberrime e sottilissime file di numeri, dipinti in orizzontale. La particolarità di questi lavori consiste infatti nella gradazione cromatica che essi riverberano. A partire dagli anni ‘60, infatti, Opalka dipingeva nero su bianco, mentre con lo scorrere degli anni ha aggiunto una piccola percentuale di bianco allo sfondo; per poter portare, un giorno, il conteggio incanutito dei numeri a coincidere con la base sempre più bianca della tela. Proprio come il processo di depigmentazione del volto in vecchiaia.

Prima di passare al secondo piano, l’uguaglianza dei calcoli di Opalka lascia un piccolo spzio, un’anticipazione a due altri artisti e alle loro rispettive opere. Nella sala principale, infatti, al centro si trova uno fra i più recenti lavori filosofici di Lee Ufan (Kyongnam, 1936; vive a Kamakura e a Parigi), mentre in un angolo verso l’ingresso, poco esposto seppure importantissimo, è da vedere un tableau clouté degli anni ‘60, rappresentativo dell’opera di Günther Uecker (Wendorf, 1930; vive a Düsseldorf).
Salita poi una rampa di scale, la collettiva riserva accostamenti davvero insoliti. Mentre cerchi di mota del 1981 vorticano rapidi, fra tele di grande formato e fogli di piccole dimensioni, remoti contenitori grigi, a tratti invisibili, dialogano tra loro persi su enormi campi bianchi. Rispettivamente, poste a poca distanza le une dalle altre, le opere di Ufan e quelle di Uecker danno vita a un lieve contrasto. La luce che degrada sui tratti invisibili delle corrispondenze coreane sembrano segnare fragilità nello spessore pungente e calcato della gestualità tedesca. Instaurando una tensione che friziona l’aria senza causare per questo effetti distonici all’insieme. Ma creando piuttosto un nuovo codice e una nuova velocità di lettura di entrambi gli universi creativi.

Sebbene la collettiva non si risolva in un’unità espositiva forte, non settorializzando completamente le tre poetiche, è presente un’univocità espressiva che cattura, restituendo all’occhio di chi guarda la pace che solo l’uguaglianza del pensiero riesce a dare.
Il piano terra, alle pareti, offre un archivio eteroclita che sorprende. Le grandi tele numeriche di Roman Opalka (Hocquincourt, 1931; vive a Bazérac), rigorosamente 196×135 centimetri (la stessa misura delle porte nel suo studio a Varsavia), fanno emergere dal grigio infinitesimali cifre bianche. Le cifre che l’artista ha cominciato a dipingere seguendo un processo di conteggio, negli anni lo hanno portato ad avvicinarsi sempre più al numero infinito. A comiciare dall’angolo sinistro in alto, per terminare con una sequenza numerica ascendente, nell’angolo destro in basso, Opalka segna i codici del tempo. L’artista porta in mostra cinque tele che raccolgono le più recenti fra le sue celeberrime e sottilissime file di numeri, dipinti in orizzontale. La particolarità di questi lavori consiste infatti nella gradazione cromatica che essi riverberano. A partire dagli anni ‘60, infatti, Opalka dipingeva nero su bianco, mentre con lo scorrere degli anni ha aggiunto una piccola percentuale di bianco allo sfondo; per poter portare, un giorno, il conteggio incanutito dei numeri a coincidere con la base sempre più bianca della tela. Proprio come il processo di depigmentazione del volto in vecchiaia.

Prima di passare al secondo piano, l’uguaglianza dei calcoli di Opalka lascia un piccolo spzio, un’anticipazione a due altri artisti e alle loro rispettive opere. Nella sala principale, infatti, al centro si trova uno fra i più recenti lavori filosofici di Lee Ufan (Kyongnam, 1936; vive a Kamakura e a Parigi), mentre in un angolo verso l’ingresso, poco esposto seppure importantissimo, è da vedere un tableau clouté degli anni ‘60, rappresentativo dell’opera di Günther Uecker (Wendorf, 1930; vive a Düsseldorf).
Salita poi una rampa di scale, la collettiva riserva accostamenti davvero insoliti. Mentre cerchi di mota del 1981 vorticano rapidi, fra tele di grande formato e fogli di piccole dimensioni, remoti contenitori grigi, a tratti invisibili, dialogano tra loro persi su enormi campi bianchi. Rispettivamente, poste a poca distanza le une dalle altre, le opere di Ufan e quelle di Uecker danno vita a un lieve contrasto. La luce che degrada sui tratti invisibili delle corrispondenze coreane sembrano segnare fragilità nello spessore pungente e calcato della gestualità tedesca. Instaurando una tensione che friziona l’aria senza causare per questo effetti distonici all’insieme. Ma creando piuttosto un nuovo codice e una nuova velocità di lettura di entrambi gli universi creativi.

Sebbene la collettiva non si risolva in un’unità espositiva forte, non settorializzando completamente le tre poetiche, è presente un’univocità espressiva che cattura, restituendo all’occhio di chi guarda la pace che solo l’uguaglianza del pensiero riesce a dare.
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a cura di Lóránd Hegyi
La sottile linea d’ombra
Fondazione Mudima
Via Tadino, 26 (zona Lima-Porta Venezia) – 20124 Milano
Orario: da lunedì a venerdì ore 11-13 e 16-19.30
Ingresso libero
Info: tel. +39 0229409633; fax +39 0229401455; info@mudima.net; www.mudima.net
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