-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
di Jerome Zodo – figlio del noto Alessandro, gallerista storico milanese e
newyorchese – festeggia il suo primo anno di vita non va per il sottile e mette
in scena un incontro di boxe tra pesi massimi. La galleria, trasformata in
ring, accoglie il confronto tra reale e rappresentazione in una serata ricca di
sponsor e con ospiti come il Dolce & Gabbana Thunder Italian Boxing Team.
La mostra nasce da un libro del critico Gabriele Tinti
che, per Damiani, ha dato alle stampe uno studio sul rapporto fra arte e boxe.
Fare a pugni è una esperienza basilare, un fondamento antropologico di
formazione del sé. Sembra violenza pura, ma è intelligenza ed equilibrio. La
vita potrebbe essere descritta come un incontro di boxe con le avversità. Saper
incassare e attendere il momento giusto per provare un “gancio”. Film come Rocky hanno segnato l’immaginario
collettivo, ma i più belli sono probabilmente Fight Club e One Million
Dollar Baby. Storie che riportano all’infanzia, a quelle azzuffate tra
amici-nemici per dimostrare di essere grandi, di non aver paura.
La mostra forse non racconta tutto ciò, ma sa regalare
immagini forti, emotivamente ed esteticamente. Perché il pugilato può avere una
sua pura bellezza quando viene fissato su tela e non c’è più una storia da seguire,
ma solo forme da contemplare. Il
dipinto di David Rathman (Untitled, 2006) che riprende il leggendario
incontro tra Alì e George Foreman è un piccolo capolavoro che serve a
tale scopo: la tela è un gorgo nero dentro il quale i due protagonisti cadono
pugilando, soli con se stessi e bianchi come anime perdute. Tutto l’opposto
della versione che ne dà Wainer Vaccari con
la sua pittura segnica e chiassosa: nelle grandi tele della serie Foght sembra di sentire la folla attorno
ululante.
Più ironico, Li Wei
esibisce se stesso in Boxing (2009),
una grande fotografia che lo ritrae mentre sferra il colpo decisivo
all’avversario che, immancabilmente come tutti i personaggi delle sue immagini,
sta per piombare giù da un grattacielo cinese. Meno ilari sono i ritratti che Denis Rouvre esegue dei pugili
senegalesi, colti da una fotografia statuaria che esalta il gusto classico per
le proporzioni e per la bellezza atletica di corpi scolpiti dalla lotta.
E se Ben Grasso presenta
in Boxing (2010) il remake di una tela di un protagonista del
realismo americano, Sebastian Diaz
Morales dedica al tema il lavoro più raffinato: Ring (2007) è un video
in cui le riprese reali di un incontro sono trasformate in un disegno su sfondo
nero, esile e magnetico. Quasi fosse la radiografia di un mondo che va
scomparendo, dopo i suoi anni migliori, nella spettacolarizzazione nevrotica
del wrestling.
Legendary
hearts
nicola davide angerame
mostra visitata il 15 gennaio 2011
dal 13 gennaio al
12 marzo 2011
Box(e)
a cura di Gabriele
Tinti
Jerome Zodo Contemporary
Via Lambro, 7 (zona Porta Venezia) –
20129 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 10-19
Ingresso libero
Info: tel. +39 0220241935; fax +39
0220244861; info@jerome-zodo.com; www.jerome-zodo.com
[exibart]