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28
marzo 2008
fino al 12.IV.2008 Roman Wolgin Milano, Galleria Klerkx
milano
La galleria si tinge di grigio. Alle pareti sfilano dipinti infantili di personaggi inventati. Tronchi-pupazzo diventano emblemi di uno svuotamento, impresso persino alla vorticosità delle pennellate. Un mondo composto da sfumature atone che passano dal dipinto al dubbio...
di Ginevra Bria
Roman Wolgin (Mosca, 1978) esegue ritratti, oli su tavola o tela, che lo affascinano e lo catturano a partire da un riquadro mentale posizionato altrove, anche se ben stabilizzato lungo una direttrice precisa. La cornice intorno alle sue visioni è, infatti, una sorta di impalcatura immaginaria, una finestra rotta su un mondo allucinato. Una scenografia che si abbandona straordinariamente a una logica inventata, secondo il Principio della Irrealtà.
Il palcoscenico formato da sfumature bigie e finzioni malinconiche s’instaura apparentemente a partire da uno spessore di fondo costante. E cioè grazie a una sorta di resa incondizionata della fantasia. Quella medesima giustizia artificiale che restituisce l’essenziale della soggettività individuale e ne determina le parti, seguendo infine l’orlo di una necessaria e inconsapevole stasi contemplativa. Il pittore russo interseca tutti i dati figurativi, interpretandoli poi sulla tela come dettagli riuniti. Dettagli stesi con minuzia dal pennello, al cospetto di un unico punto, il centro inverosimile della verità manipolata.

I suoi soggetti, utilizzati come pedine in bilico, sono personaggi fumettistici, goffi, fallici, felicemente tristi, inebetiti, oblunghi, instabili, pencolanti e grotteschi. E, come se non bastasse, sono immersi nudi in pianure desertiche. Ognuno è presentato all’interno di un’aura, una nuvola impercettibile che proietta sul terreno la propria ombra, segnale di irripetibile e vera esistenza. L’atmosfera che viene a crearsi intorno ai soggetti, quindi, ben si adegua all’atto della ripetizione cromatica monotonale. Questi tronchi animati, infatti, sono messi in scena come se fossero marionette senza fili, presentate istantaneamente e senza sosta di sorta.
Come elementi canalizzatori, nodi di passaggio, questi attori-giocattolo diventano protagonisti di emozioni e sorrisi. Diventano comparse di se stessi, eseguendo uno scambio. Un’alternanza di particelle esistenziali che rivelano il tramite di determinate rappresentazioni; riproduzioni e verosimili figurazioni che assumono il controllo della composizione. Ogni tela si trasforma in un piano estetico di carattere tanto illustrativo che sconfina in un pensiero tendente a un limite più sottilmente narrativo.

I dipinti di Wolgin operano secondo due regimi scopici che si sovrappongono. Le pennellate densissime, che rigano la pastosità delle tele, operano infatti per scriminatura. I mondi di Why is it always like this? possono così restituire la loro fantasia allucinata. Per somiglianza o convenzione, oppure per analogia o difetto di codifica. Tuttavia, queste vignette ad alta densità esistono per se stesse, solidificando l’imaginarium dal quale traggono linfa. Sembrano non solo dei modi di vedere, ma sintetizzano anche dei modelli per essere viste, dei dispositivi che costringono l’occhio a non vedere altro. Niente al di fuori di tronchi d’uomo, costretti a vagare e a ripetersi senza naufragio alcuno.
Il palcoscenico formato da sfumature bigie e finzioni malinconiche s’instaura apparentemente a partire da uno spessore di fondo costante. E cioè grazie a una sorta di resa incondizionata della fantasia. Quella medesima giustizia artificiale che restituisce l’essenziale della soggettività individuale e ne determina le parti, seguendo infine l’orlo di una necessaria e inconsapevole stasi contemplativa. Il pittore russo interseca tutti i dati figurativi, interpretandoli poi sulla tela come dettagli riuniti. Dettagli stesi con minuzia dal pennello, al cospetto di un unico punto, il centro inverosimile della verità manipolata.

I suoi soggetti, utilizzati come pedine in bilico, sono personaggi fumettistici, goffi, fallici, felicemente tristi, inebetiti, oblunghi, instabili, pencolanti e grotteschi. E, come se non bastasse, sono immersi nudi in pianure desertiche. Ognuno è presentato all’interno di un’aura, una nuvola impercettibile che proietta sul terreno la propria ombra, segnale di irripetibile e vera esistenza. L’atmosfera che viene a crearsi intorno ai soggetti, quindi, ben si adegua all’atto della ripetizione cromatica monotonale. Questi tronchi animati, infatti, sono messi in scena come se fossero marionette senza fili, presentate istantaneamente e senza sosta di sorta.
Come elementi canalizzatori, nodi di passaggio, questi attori-giocattolo diventano protagonisti di emozioni e sorrisi. Diventano comparse di se stessi, eseguendo uno scambio. Un’alternanza di particelle esistenziali che rivelano il tramite di determinate rappresentazioni; riproduzioni e verosimili figurazioni che assumono il controllo della composizione. Ogni tela si trasforma in un piano estetico di carattere tanto illustrativo che sconfina in un pensiero tendente a un limite più sottilmente narrativo.

I dipinti di Wolgin operano secondo due regimi scopici che si sovrappongono. Le pennellate densissime, che rigano la pastosità delle tele, operano infatti per scriminatura. I mondi di Why is it always like this? possono così restituire la loro fantasia allucinata. Per somiglianza o convenzione, oppure per analogia o difetto di codifica. Tuttavia, queste vignette ad alta densità esistono per se stesse, solidificando l’imaginarium dal quale traggono linfa. Sembrano non solo dei modi di vedere, ma sintetizzano anche dei modelli per essere viste, dei dispositivi che costringono l’occhio a non vedere altro. Niente al di fuori di tronchi d’uomo, costretti a vagare e a ripetersi senza naufragio alcuno.
ginevra bria
mostra visitata il 14 marzo 2008
dal 14 marzo al 12 aprile 2008
Roman Wolgin – Why is it always like this?
Galleria Klerkx
Via Massimiano, 25 (zona Ventura) – 20134 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 13-19
Ingresso libero
Info: tel. +39 0221597763; fax +39 0221591507; info@manuelaklerkx.com; www.manuelaklerkx.com
[exibart]







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L’ennesima mistificazione.