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29
febbraio 2008
fino al 3.III.2008 Nicola Ponzio Milano, Ermanno Tedeschi
milano
Libri da gabbia e da voliera. Tranciati, spolpati e ricomposti in piccoli mosaici domestici. O sagomati e appollaiati su trespoli. I feticci culturali vengono sventrati. Ma l’intento voleva essere un ready made dissacratorio?...
Pare che i libri siano carichi di un valore simbolico, che la loro materialità sia doppiata da un’aura culturale che li rende quasi-oggetti o, meglio, iper-oggetti. Nicola Ponzio (Napoli, 1961) li destruttura, li sguscia, e ne fa tasselli compositivi per giochi percettivi meccanici. I tradizionali “contenitori” di messaggi, istanze ipotetiche, narrazioni e teorie perdono la funzione di medium e diventano materiale da costruzione. Nei polittici di Ponzio le pagine sono tagliate longitudinalmente, mostrando l’inchiostro e la trama di un testo ormai illeggibile. I libri seviziati, ridotti a grumi di parole e a pigmento, si trasformano in spunti per campiture geometriche. Quello che era un simulacro si scompone in tasselli cromatici, aggregati da un criterio compositivo, da una struttura logica che cadenza l’accostamento delle tranche di copertine e carta. Obiettivo: un insieme relazionale ritmato. E i libri-tasselli, visibili solo per il loro involucro o per le macchie nere delle pagine, vorrebbero denunciare la barbarizzazione della letteratura, enfatizzando il “macello” della cultura.
Ma il Kultewert del libro è ormai esploso da anni. Se n’era accorto Benjamin, arrivando già in ritardo sul fenomeno. E se n’era accorto Goodman, teorizzando la distinzione tra autografo e allografico. Ponzio s’inserisce in filone e il suo utilizzo materico del libro non appare certo imprevedibile. Il tentativo pare essere quello di sostituire al messaggio culturale del testo stampato il miraggio di una critica meta-letteraria, attuata artisticamente attraverso la composizione “cellulare” dei resti di un feticcio fatto a pezzi. La componente ludica dei giochi di Ponzio rivela forse un’operazione nostalgica nei confronti dell’illusione di “fare la rivoluzione” con le parole e i concetti.
La sintattica e la grammatica dell’articolazione delle parti conduce a un’evidente armonia formale, decisamente asettica, sintomo di un lavoro chiuso, ripiegato su se stesso e sul suo obiettivo polemico. I ready made di Ponzio mancano di un referente ossimorico: la geometria è immediata, accomodante, priva d’irruzione. L’originale intento dissacratorio dell’orinatoio di Duchamp scolora in un edulcorato diletto compositivo: i libri diventano moduli che si ripetono nello spazio, azzerando la loro funzione strumentale. Ponzio denuda il libro dal suo ruolo culturale e simbolico. Ma non gliene fornisce un altro.
E non basta affidarsi a Jean Clair d alle sue invettive contro i grossolani equivoci ermeneutici dell’opera d’arte: tutti crediamo alla necessità dell’interpretazione dell’opera d’arte. Ma crediamo anche all’autonomia concettuale del lavoro.
Pur sforzandosi, l’operazione artistica di Ponzio risulta un puro dispendio, un’azione non conclusa, tranciata a metà nel suo percorso, bloccata al momento compositivo. Forse quei libri potevano essere letti, magari riletti. O finire, più dignitosamente, al macero.
Ma il Kultewert del libro è ormai esploso da anni. Se n’era accorto Benjamin, arrivando già in ritardo sul fenomeno. E se n’era accorto Goodman, teorizzando la distinzione tra autografo e allografico. Ponzio s’inserisce in filone e il suo utilizzo materico del libro non appare certo imprevedibile. Il tentativo pare essere quello di sostituire al messaggio culturale del testo stampato il miraggio di una critica meta-letteraria, attuata artisticamente attraverso la composizione “cellulare” dei resti di un feticcio fatto a pezzi. La componente ludica dei giochi di Ponzio rivela forse un’operazione nostalgica nei confronti dell’illusione di “fare la rivoluzione” con le parole e i concetti.
La sintattica e la grammatica dell’articolazione delle parti conduce a un’evidente armonia formale, decisamente asettica, sintomo di un lavoro chiuso, ripiegato su se stesso e sul suo obiettivo polemico. I ready made di Ponzio mancano di un referente ossimorico: la geometria è immediata, accomodante, priva d’irruzione. L’originale intento dissacratorio dell’orinatoio di Duchamp scolora in un edulcorato diletto compositivo: i libri diventano moduli che si ripetono nello spazio, azzerando la loro funzione strumentale. Ponzio denuda il libro dal suo ruolo culturale e simbolico. Ma non gliene fornisce un altro.
E non basta affidarsi a Jean Clair d alle sue invettive contro i grossolani equivoci ermeneutici dell’opera d’arte: tutti crediamo alla necessità dell’interpretazione dell’opera d’arte. Ma crediamo anche all’autonomia concettuale del lavoro.
Pur sforzandosi, l’operazione artistica di Ponzio risulta un puro dispendio, un’azione non conclusa, tranciata a metà nel suo percorso, bloccata al momento compositivo. Forse quei libri potevano essere letti, magari riletti. O finire, più dignitosamente, al macero.
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simone frangi
mostra visitata il 19 febbraio 2008
dal 5 febbraio al 3 marzo 2008
Nicola Ponzio
Ermanno Tedeschi Gallery
Via Santa Marta, 15 (zona via Torino) – 20123 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 11-13 e 15.30-19.30 o su appuntamento
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 0287396855; info.mi@etgallery.it; www.etgallery.it
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