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04
febbraio 2008
fino all’1.III.2008 Chen Ke Milano, Marella
milano
Le figure infantili catturano l’immaginario pittorico. Esili bambini sommersi da luoghi che non si svuotano. Luoghi senza orientamento. Come in un libro di fiabe, l’ambientazione è amniotica. Ma l’espressione triste dei visi, i corpi e gli oggetti rimandano a qualcosa fuori...
di Ginevra Bria
Immaginate un mondo senz’aria, senza strade, senza niente. Un mondo aperto dalla luce di una fessura, il mondo di un nascondiglio segreto, scoperto sul fondo di un armadio. Provate a figurare e poi a riprodurre un paesaggio così. La riuscita di questo gioco, verso il miracolo della forma, della creazione se si preferisce, è affidato tutto alla postura dei corpi, ai gesti che affiderete ai personaggi, quelli che dovrete sforzarvi di vedere intrappolati. Dovrete, come al deposito delle ultime cose, lasciar finire la resistenza al reale e far sì che l’atmosfera respiri qualcosa come quiete e pacificazione. Senza lenti di giudizio, senza deformazione alcuna. Dovrete portare a completa schiusa la nuova verità; la realtà di cui ora sarete padroni, quella che sarà fatta coincidere, quasi interamente, con la fantasia di una volta. Con quello strano colore dell’inesistenza che attinge dallo stesso serbatoio visivo dal quale, sottratto il mondo che s’immagina, le ombre dei grandi non disturberanno più i profili dei piccoli.
Fa parte della stessa grana, dello stesso spessore tattile, l’universo conchiuso entro cui Chen Ke (Tongjiang, 1978) si rifugia senza scappare. I suoi dipinti su tela, quasi tutti di grandi dimensioni, esposti in galleria non superano i dieci pezzi. Ognuno di questi riquadri è una finestra che parla in maniera eloquente, ma non forbita, di un mondo relegato ai segreti, e forse ai sogni, dell’infanzia finita anche se in-definita.

L’artista cinese illustra in maniera enigmatica, seppur delicata, le scene di stasi e di non-vita dei propri personaggi. Sempre immersi, senza pericolo, in acquose paludi scure, lì dove ogni soggetto è partecipe della luce che emana, compattando con immediatezza la pennellata di Ke. Ogni fulgore viene assorbito, e allo stesso tempo espulso, dalla carnagione statuaria, quasi di gesso, messa addosso ai visi infantili, addolciti dai tratti neotenici dei soggetti.
Sebbene queste viste siano state dipinte in paesaggi senza alcun appiglio visivo, dove persino un albero blu simula e simbolizza l’arrivo di una tempesta, Ke si dimostra abile nello spazializzare la propria ricerca, trasferendo lo stesso materiale pittorico e la medesima atmosfera onirica anche sulla superficie di oggetti all’interno degli ambienti della galleria. Sui mobili, disposti senza combinazione apparente, di una vecchia cameretta, l’artista riprende le fila di un sogno, o di una storia, che lei stessa ha scritto e poi esposto sotto teca all’ingresso di questa installazione. Dal comodino come dal letto, dalla macchina da cucire come dallo stipite della porta messa in mezzo alla stanza, bianchissima e vuota, coppie di occhi guardano. Guardano visi senza età, trattenuti dalla miniatura di figure bianche, inglobate dentro enormi gocce di colore.

La storia, qui, prende a ripetersi, narrando le paure di bambini e caratteri che emulano una sorta di verità. Al di fuori di uno scenario che non ha bisogno di indicazioni spaziali e pseudogeografie di luoghi, per essere ritrovato.
Fa parte della stessa grana, dello stesso spessore tattile, l’universo conchiuso entro cui Chen Ke (Tongjiang, 1978) si rifugia senza scappare. I suoi dipinti su tela, quasi tutti di grandi dimensioni, esposti in galleria non superano i dieci pezzi. Ognuno di questi riquadri è una finestra che parla in maniera eloquente, ma non forbita, di un mondo relegato ai segreti, e forse ai sogni, dell’infanzia finita anche se in-definita.

L’artista cinese illustra in maniera enigmatica, seppur delicata, le scene di stasi e di non-vita dei propri personaggi. Sempre immersi, senza pericolo, in acquose paludi scure, lì dove ogni soggetto è partecipe della luce che emana, compattando con immediatezza la pennellata di Ke. Ogni fulgore viene assorbito, e allo stesso tempo espulso, dalla carnagione statuaria, quasi di gesso, messa addosso ai visi infantili, addolciti dai tratti neotenici dei soggetti.
Sebbene queste viste siano state dipinte in paesaggi senza alcun appiglio visivo, dove persino un albero blu simula e simbolizza l’arrivo di una tempesta, Ke si dimostra abile nello spazializzare la propria ricerca, trasferendo lo stesso materiale pittorico e la medesima atmosfera onirica anche sulla superficie di oggetti all’interno degli ambienti della galleria. Sui mobili, disposti senza combinazione apparente, di una vecchia cameretta, l’artista riprende le fila di un sogno, o di una storia, che lei stessa ha scritto e poi esposto sotto teca all’ingresso di questa installazione. Dal comodino come dal letto, dalla macchina da cucire come dallo stipite della porta messa in mezzo alla stanza, bianchissima e vuota, coppie di occhi guardano. Guardano visi senza età, trattenuti dalla miniatura di figure bianche, inglobate dentro enormi gocce di colore.

La storia, qui, prende a ripetersi, narrando le paure di bambini e caratteri che emulano una sorta di verità. Al di fuori di uno scenario che non ha bisogno di indicazioni spaziali e pseudogeografie di luoghi, per essere ritrovato.
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Marella Arte Contemporanea
Via Lepontina, 8 (zona Maciachini) – 20159 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 11-19
Ingresso libero
Info: tel. +39 0269311460; fax +39 0260730280; info@marellagallery.com; www.marellagallery.com
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