21 giugno 2007

fino all’11.IX.2007 Matteo Basilè Milano, Galleria Pack

 
Una mescolanza di dandismo e inquietudine. Una sovrapposizione di stili e di epoche. Un incrociarsi malizioso di edonismo e profondità. Basilè stupisce con le sue nuove scenografie barocche…

di

Dicono che un artista, per essere tale, debba sapersi rinnovare con una certa frequenza. Dicono che la sua impronta stilistica debba comunque rimanere riconoscibile. Dicono che la ricerca su se stesso e sull’ambiente circostante debba essere assidua e continuativa, profonda ed estetica allo stesso tempo. Dicono. E pare che Matteo Basilè (Roma, 1974), artista di punta del panorama (inter)nazionale della ricerca sulla fotografia digitale, sia in grado di rispondere a questi requisiti. Riconoscendosi sempre in una riflessione psicologica, umana, a volte spietata a volte commovente, eccolo reinventare atmosfere e rimandi in una serie di scatti fotografici di grande formato e di enorme impatto visivo, alteri e raffinati, freddi e lucidissimi. Che sembrano abbandonare completamente la trascendenza (ma non metteremmo la mano sul fuoco per questa interpretazione) per dedicarsi ad un’indagine spietatamente terrena su un doppio binario: da un lato quello estetico della ripresa fortemente teatrale delle atmosfere nobiliari settecentesche, dall’altro quello della riflessione sottostante su un tema di stringente attualità, quello della transessualità e dei trans-gender. Due binari che in realtà non sono tali: sono piuttosto una perfetta mescolanza tra i due elementi, per sfociare in una serie di lavori che mettono in scena un’umanità assurda. Un’umanità truccata, travestita, eppure proprio per questo tanto più vera nella sua freddezza.
Protagonisti degli scatti di Basilè sono transgender e transessuali, il più delle volte toccati dalla consueta mosca (marchio di fabbrica dell’artista), ma soprattutto toccati da un’eleganza algida e distaccata, che li vuole in pose statuarie in scenari d’altri tempi. Gli abiti, il trucco, le parrucche, ricreano con una voluta sovrabbondanza di dettagli gli scenari tipici della nobiltà settecentesca, dedita come è noto alla più schietta voluttà, al più insofferente edonismo, al più morboso amore per ciò che è bello. Le scalinate, i lampadari, i tappeti Matteo Basilè, La Karl and tha Unkanny, part 4 – 2006 – Stampa Lambda su carta Silver – 180 x 140 cm (realmente immortalati in appartamenti di famiglie nobiliari della Capitale) prestano la propria debordante ricchezza ad un set che rimanda alle Relazioni pericolose di Laclos (viene subito in mente l’indimenticata Glenn Close nell’eccezionale interpretazione cinematografica del romanzo), su su fino alla Venezia di Casanova, al dandismo di Dorian Gray, al decadentismo magnifico di d’Annunzio (nessuno ha saputo raccontare Roma come lui), e ancora alla Dolce vita della capitale negli anni successivi. Ma chi c’è in questa cornice? Chi sono i protagonisti di questi scenari barocchi e rococò? Sono volti intensissimi in primo piano e corpi a figura intera, sono nani e transessuali, sono quell’umanità ai margini (ma ora piano piano, non più) che viene anche raccontata e attualizzata in un video che accompagna la mostra.
Dal punto di vista compositivo, Basilè si stacca quindi dalle atmosfere lattee e diafane, quasi lunari della sua ricerca precedente e cede un po’ al gusto della sovrabbondanza, dello stucchevole e della scenografia. L’impronta del teatro è fortissima, e rende tutto fittizio, posticcio, transitorio. Eppure, quell’algida raffinatezza dei protagonisti, congelati in sguardi spietati e distanti, scotta dentro, smuove qualcosa, si mantiene ancorata alla realtà attraverso la loro stessa essenza. Attraverso quell’elemento del travestimento che se nel Settecento era un vezzo nobile e raffinatissimo, via via con gli anni si è trasformato, per i benpensanti, in un marchio infame e infamante. Oggi questa umanità sta trovando riscatto e spazio all’interno di una società che però ha ancora le maglie piuttosto strette, e staremo a vedere se vi riuscirà fino in fondo. Per il momento, vive grazie a Basilè, che è stato in grado di unire in una serie di lavori qualitativamente ottimi la superficie e l’interiorità, il dentro e il fuori. Come le sue modelle (presenti all’inaugurazione in sontuosi abiti settecenteschi) sanno unire in sé maschile e femminile.

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barbara meneghel
mostra visitata il 22 maggio 2007


dal 22 maggio all’undici settembre 2007 – Matteo Basilè – Quel che resta della trans-avanguardia. Le geografie del gender
Galleria Pack, Foro Buonaparte 60, 20121 Milano (zona Cadorna)
Orario: martedì-sabato 13-19.30 – Ingresso libero
Info: tel. +39 0286996395 Fax +390287390433
info@galleriapack.comwww.galleriapack.com


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17 Commenti

  1. espressioni come queste mi fanno riflettere sull’inutilità dell’arte contemporanea… per fortuna c’è molto altro

  2. commenti stupidi di persone che non provano neanche a vedere…mostra strepitosa di un artista che ha una capacità creativa incredibile…ma le persone commentano senza vedere…che tristi figuri

  3. Una galleria che poteva fare molto e si è ridotta a promuovere atisti come Basilè che si vedono anche nelle gallerie di più basso rilievo.Una delusione.Non capisco come altri artisti di indiscutibile talento ( Masbedo Zhang Huan su tutti) possano continuare a lavorare con voi.Non basta il denaro per fare un buon lavoro, ci vuole più umiltà e più coerenza.Mi dispiace ma la mostra in galleria (compreso la “paraculata” di Luxuria) è davvero brutta.Tanta estetica e zero contenuto.Vi auguro buon lavoro e una riflessione per i prossimi appuntamenti artistici.

  4. belle foto ma vuote, esprimono tutta l’essenza della cultura italiana attuale. complimenti basilé! sono d’accordo

  5. infatti con Zhang Huan non lavoro più, dal momento in cui ha deciso di dipingere alla maniera di Kiefer, parole sue, non l’ho più ritenuto degno di stare insieme ad artisti di rango come Franko B, Matteo Basilé, Robert Gligorov, Masbedo, Alberto Di Fabio, Marina Paris eccetera eccetera

  6. Odio fare delle critiche.Purtroppo anche se apprezzo gli sforzi che state facendo la mostra è davvero patinata e con pochi contenuti.La qualità delle foto è alta però il tema noioso e ripetitivo.

  7. Sì sà Basilè è solo estetica, e per chi se ne intende… ha anche delle pecche al livello estetico/tecnico, ma non lo noterà mai nessuno immagino… Comunque l’arte non deve rappresentare il vuoto di un paese ecc ecc… ma l’arte è l’artista che parla attraverso di essa. Dunque dato che le opere sono completamente vuote e prive di contenuto è ovvio che Basilè è una persona che non ha molto da dire.

    Inoltre paragonare Basilè con artisti veri come Franko B. e Marina Paris mi sembra davvero un’offesa…

    I galleristi hanno puntato su di lui e solo lui dall’inizio ignorando molti altri talenti. Questi galleristi falliranno insieme al vecchiume di questa arte (come quella di Basilè).

    Conviene guardare oltre… al contemporaneo che davvero non ha nulla a che fare con queste solite cose.

  8. Ho visto recentemente una mostra di Zhang Huan in una importante galleria di Zimmerstrasse a Berlino, il lavoro mi é sembrato molto interessante e assolutamente coerente con il suo passato, per cui il commento e il paragone mi sembrano abbastanza offensivi nei confronti dell’artista, soprattutto venendo dal suo ex gallerista (guarda caso ex). Riguardo a Basilé ho seri dubbi anche a chiamarlo artista, forse é un buon fotografo glamour, non so, una sorta di Floria Sigismondi… a me sembra che si stia cercando di creare un nome di presunto prestigio, ma senza considerare che al di fuori dei confini italiani tale nome non avrá nessun credito.

  9. Già… tecnicamente al livello di “fotografia” non è eccellente… un fotografo professionista se ne accorge. La maggior parte degli scorci, non vanno, i fondali si staccano in modo strano con i soggetti… parlo di testura dei fondali e colori.

  10. gentile Stephan, lei si rerisce sicuramente alla mostra dal mio amico Volker Diehl. Ci tengo a precisare che sono stato l’unico gallerista nella storia di Zhang Huan, insieme con il mio amico Marco Puntin, a produrre una sua performance, e non solo a comprare delle opere nel suo studio come TUTTI han sempre fatto, da Jeffrey Deitch a Haunch of Venison eccetera. Nel gennaio 2006 sono andato a trovare Zhang Huan a Shanghai, e la frase sul dipingere alla maniera di Kiefer venne pronunciata in quell’occasione, e lì è nato il mio rifiuto. La rottura è avvenuta poi per delle grosse scorrettezze da parte sua nella gestione del lavoro da noi prodotto, Marco potrà confermarlo. Zhang Huan continuo a pensare che sia una dei migliori cinque performer al mondo…ma la sua pittura è derivativa e senza anima

  11. Mica male un gallerista che sputtana uno dei suoi artisti.
    Come si fa’ a mettersi in contatto con voi, che ci tengo proprio?

  12. per esempio andando sul link della mia posta elettronica…ma non so cosa possa avere da dirmi un minus habens che non sa leggere e che si mantiene anonimo

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