31 gennaio 2024

A Roma aprirà il Museo Del Ricordo, dedicato alle vittime delle Foibe

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Approvato il disegno di legge che istituisce il Museo del Ricordo, a Roma. Rocca, «Un luogo-simbolo per far emergere dall'oblio tutti i "ricordi" cancellati dalla storia»

Avrà sede a Roma e per la sa gestione sarà istituita un’apposita Fondazione, costituita dal Ministero della Cultura e dalla Regione Lazio, alla quale potranno partecipare anche altri soggetti pubblici e privati: si tratta del Museo del Ricordo e sarà dedicato alla memoria delle Foibe. Avanzata dal Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e del Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, la proposta è stata approvata dal Consiglio dei Ministri. Lo stanziamento complessivo ai fini dell’istituzione e dell’allestimento del Museo del Ricordo è di otto milioni di euro per il triennio 2024-2026 e per il suo funzionamento, a decorrere dall’anno 2026, è prevista una spesa di 50mila euro l’anno. L’immobile sarà messo a disposizione dalla Regione.

Museo del Ricordo: a Roma la memoria delle Foibe. Ma non solo

«Oggi il governo ha dato il via libera a un testo per far nascere il Museo del Ricordo. Roma, Capitale d’Italia, e il Lazio, divengono custodi e promotori, in tal modo, di una doverosa memoria collettiva e nazionale. Gli orrori generati dai totalitarismi del XX secolo devono farsi testimoni concreti e attuali presso le nostre giovani generazioni e, soprattutto, presso quelle del futuro», ha dichiarato il Presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca. «Abbiamo, perciò, sviluppato questo ambizioso progetto con il MiC, grazie alla sinergia con il Ministro Sangiuliano, che vedrà presto sorgere, a Roma, un luogo-simbolo non solo del dramma vissuto dai nostri connazionali del confine orientale nel corso di tutto il ‘900, ma ospiterà e farà emergere dall’oblio tutti i “ricordi” cancellati dalla storia. È un dovere morale cui la Regione crede fermamente».

«La realizzazione del Museo è un dovere storico verso gli esuli istriani, fiumani e dalmata che hanno subito la dittatura comunista di Tito. Queste tragedie non devono essere dimenticate», ha commentato Sangiuliano. In realtà, la drammatica storia delle Foibe, per quantp ampiamente studiata, è ancora oggi complicata da raccontare e da affrontare in maniera equilibrata, anche a causa della strumentalizzazione politica che ne è stata fatta. Si spera che la costituzione di un museo possa contribuire a fare chiarezza sulla vicenda che riguarda il confine orientale italiano.

Le foibe: una tragedia nata dagli orrori dei totalitarismi

Con il termine foiba vengono chiamate le cavità naturali tipiche delle aree carsiche. Nella Venezia Giulia, nelle ex province di Trieste, Gorizia, Pola e Fiume, durante la Seconda guerra mondiale e nell’immediato Dopoguerra, in questi inghiottitoi furono occultati i cadaveri delle persone morte a seguito degli scontri tra nazifascisti e partigiani. In particolare, il ricordo delle Foibe, richiamato da Sangiuliano e rivendicato storicamente dalla destra italiana, è riferito all’operazione di occultamento delle vittime italiane causate dal movimento di liberazione sloveno e croato e delle strutture del nuovo Stato iugoslavo creato da Tito.

Le radici vanno ricercate nella stratificata composizione culturale, sociale e linguistica che, da sempre, ha caratterizzato la zona dell’Adriatico Settentrionale, tra Venezia Giulia, Quarnaro e Dalmazia. Fino alla metà dell’800, la penisola dell’Istria faceva parte dei territori dell’Impero Austroungarico e vi convivevano le popolazioni di lingue romanze e slave. Intorno alla metà del Secolo, però, doveva registrarsi lo sviluppo di un diffuso sentimento nazionalista tra la popolazione di origini italiane che lì risiedeva. Si formava in quel periodo il movimento dell’Irredentismo, che voleva l’annessione dell’Istria e della Dalmazia all’Italia. Il processo di annessione italiano ebbe una svolta al termine della Prima Guerra Mondiale, quando l’Esercito del Regno d’Italia occupò militarmente tutta la Venezia Giulia e la Dalmazia. Se gli italiani poterono festeggiare la “redenzione” delle loro terre, gli slavi guardavano con crescente preoccupazione al contesto che si era creato.

A peggiorare la situazione fu l’avvento del Fascismo, che introdusse una serie di leggi atte all’assimilazione forzata delle minoranze. Gli impieghi pubblici furono assegnati agli italiani, gli insegnanti croati e sloveni furono sostituiti da italiani, fu imposto l’uso esclusivo della lingua italiana e furono italianizzati anche i cognomi di migliaia di croati e sloveni. Questa campagna di repressione portò alla nascita di società segrete irredentiste slave: alcuni elementi furono catturati dalla polizia italiana e condannati a morte dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato.

A complicare un equilibrio già labile fu la Seconda Guerra Mondiale: nell’aprile del 1941 l’Italia partecipò all’attacco dell’Asse contro la Jugoslavia, a seguito del quale furono annessi altri territori, mentre la Croazia fu dichiarata indipendente e affidata al partito ultranazionalista di ispirazione fascista degli ustascia, che scatenarono una feroce pulizia etnica nei confronti di serbi, zingari ed ebrei. Contro il regime e gli occupanti, presero le armi i partigiani di Josip Borz, detto Tito, le cui fila erano estremamente composite, tra comunisti e cetnici ultranazionalisti serbi.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e con il conseguente smantellamento del Regio Esercito Italiano, si verificò l’inevitabile. L’Istria fu annessa alla Croazia e improvvisati tribunali, messi su dai Comitati popolari di liberazione, emisero centinaia di condanne a morte. A essere colpiti furono i rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano e gli oppositori politici ma anche personaggi notabili della popolazione italiana e potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo.

La maggioranza dei condannati veniva gettata nelle foibe o nelle miniere di bauxite, alcuni mentre erano ancora in vita. Crudeli efferatezze furono commesse sugli uomini e sulle donne prigionieri. Norma Cossetto, il cui padre, Giuseppe, era un dirigente locale del Partito Nazionale Fascista, fu seviziata e infoibata tra il 4 e il 5 ottobre 1943. Sorte simile toccò alle tre sorelle Radecchi, di 17, 19 e 21 anni – quest’ultima incinta – violentate e uccise tra il 2 e il 5 ottobre.

Secondo gli studi, le vittime del 1943 nella Venezia Giulia si aggirerebbero tra le 600 e le 700. Gli eccidi continuarono fino al 1945, facendo registrare tra le 3mila e le 5mila vittime, mentre secondo altre fonti si arriverebbe a 11mila. Dal 2004 è stato istituito il Giorno del ricordo, una solennità civile nazionale celebrata il 10 febbraio di ogni anno, per “Conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Inoltre sempre a Roma, nel 2015, il Comune istituì la Casa del Ricordo, in via di San Teodoro. La gestione dello spazio è a cura dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – Comitato Provinciale di Roma e della Società di Studi Fiumani, che presso la Casa rappresentano gli italiani giunti esuli, ospitando e organizzando attività come conferenze, concerti, presentazioni di libri e mostre.

1 commento

  1. Spettabile Exibart, in riferimento all’articolo sul nascente “Museo del ricordo” dedicato alle vittime delle Foibe, noto che non vi siete “ricordati” di menzionare le immani atrocita’ commesse dall’esercito e dalle milizie fasciste italiane nei territori occupati ed annessi in Slovenia e in Croazia. A queste numerose atrocita’, commesse spesso con la complicita’ degli alleati Cetnici (ultranazionalisti serbi monarchici di estrazione fascista) ai danni delle popolazioni civili locali e autoctone di lingua croata, non vedo altresi’ menzionato il vergognoso campo di concentramento italiano di Arbe, creato per far moire di stenti i civili croati e sloveni in terrirorio dell’omonima isola di Arbe (Rab). Per inteso e ai fini di una visione completa degli accadimenti, non vedo nemmeno menzionata da parte vostra la famigerata Risiera di San Sabba, ovvero il campo di sternminio nazifascista di Trieste, dove oltre algi ebrei, vennero trucidati soprattutto croati e sloveni, con buona pace degli italiani. Alla luce dei fatti, sarebbe bene specificare che i famigerati ustascia della Croazia indipendente furono alleati dell’Italia fascista e che proprio loro cedettero una parte dei territori croati adriatici all’Italia. Alleati del Duce furono anche i sanguinari cetnici serbi, dei quali l’Italia si serviva spesso per fare pulizia etnica in Dalmazia ai danni delle popolazioni croate locali. Sarebbe bene menzionare anche le numerose scorrerie e “spedizioni punitive” fasciste italiane in Istria e in Dalmazia, con incendi, fucilazioni sommarie e distruzione di interi paesi “colpevoli” di opporsi al regime… Per la cronaca, vi segnalo che in una di quelle sanguinose “spedizioni punitive” partecipo’ anche Alberto Burri (probabilmente in qualita’ di medico) nel paesino di Kuna nella penisola di Sabbioncello (Peljesac) in Dalmazia meridionale, con una squadraccia organizzata di camicie nere proveniente dal vicino Montenegro (Rif. Piero Palumbo, “Burri, una vita”, Electa, 2007) e capitanata dal sanguinario colonnello Rocchi, ardente fascista perugino , la quale “fama” e’ ancora ricordata dalle popolazioni superstiti, ivi inclusa mia madre. Distinti saluti

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