16 gennaio 2024

È tempo di riconoscere l’importanza dell’arte per il benessere psicologico

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Rispetto ad altri paesi anglosassoni, in Italia siamo ancora indietro: ma alcuni interessanti esperimenti nel nostro Paese indicano la via da perseguire. Ecco quali

Il benessere è diventato, a buona ragione, un tema centrale nella ricerca e nelle politiche sociali. Un concetto sì legato a quello di salute, ma in senso decisamente più ampio. Si sta bene non solo se non si è liberi da malesseri ma se ci si trova in uno stato psico-fisico ottimale, influenzato sia da una condizione emotiva positiva che dalle esperienze sociali che viviamo. L’indice di felicità del pianeta (IFP) (in inglese, Happy planet index), introdotto dalla New Economics Foundation (NEF) nel luglio 2006, rappresenta proprio la misura del benessere di una nazione. I tre indicatori utilizzati per calcolarlo sono il benessere generale, l’aspettativa di vita e la sostenibilità ambientale. La possibilità di accedere alla cultura e all’arte, in questo calcolo, gioca un ruolo fondamentale. In tal senso, emergono sempre più evidenze che suggeriscono come l’impegno attivo in attività creative – sottintendendo sia la creazione che la fruizione artistica – apporti una serie di benefici tangibili per la nostra vita, tra cui il miglioramento del benessere, l’arricchimento della qualità di vita, la promozione della salute e l’incremento del capitale sociale.

Non solo si sta dimostrando che l’accesso alla cultura e alle attività basate sulle pratiche artistiche siano necessarie come complemento ai trattamenti per le popolazioni cliniche o a rischio (i.e., malati di Alzheimer, Parkinson, demenza o popolazione anziane) ma che praticare e stare a contatto con l’arte siano fattori determinanti per la nostra felicità. Discipline come la filosofia, la psicologia, l’antropologia – seppur a volte empiricamente – ce lo dicono da sempre. Già Sigmund Freud aveva riconosciuto l’importanza dell’arte per la mente umana. Per Freud, l’arte non era solo una forma di espressione creativa, ma anche uno strumento fondamentale per esplorare e comprendere l’inconscio. La nascita di materie come la neuroestetica, invece, recente branca di ricerca che combina scienze cognitive ed estetica, testimoniano il recente impegno nel dimostrare in maniera sistematica gli effetti e l’impatto dell’arte sulla nostra salute mentale. Oltre al coinvolgimento delle aree cerebrali dedicate alla visione, alla memoria, al movimento e a quelle deputate al processamento degli stimoli piacevoli ed emotigeni, tali evidenze scientifiche hanno infatti iniziato a dimostrare come l’esposizione all’arte riduca lo stress e le emozioni negative, migliorando il benessere emotivo e promuovendo la qualità della relazione con l’altro. Si parla di “human flourishing”, ovvero, nella sua traduzione letterale, di “fioritura umana”. Il flourishing può essere definito proprio come il funzionamento ottimale dell’individuo e descrive quindi uno stato ideale di benessere, affettività positiva e slancio vitale.

© Bianca Isofache

In quest’ottica, la ricerca ha mostrato come anche una sola visita in un museo possa diminuire i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, facendoci stare immediatamente meglio e se reiterata, avendo molteplici benefici effetti sul benessere, a lungo termine. I musei, tradizionalmente visti come custodi della cultura, stanno diventando luoghi di terapia. Iniziative come il Museum Prescription in Canada o Art on Prescription nel Regno Unito dimostrano un cambiamento nel modo in cui l’arte viene percepita nel contesto della salute mentale. In questo tipo di programmi l’esperienza artistica viene prescritta esattamente come fosse un farmaco o una terapia medica. Nel programma canadese, ad esempio, i medici possono prescrivere visite ai musei per gli individui affetti da disturbi d’ansia, depressione o stress cronico. Analogamente, Art on Prescription nel Regno Unito offre corsi dove i partecipanti possono esplorare diverse forme d’arte, dalla pittura alla scultura, in gruppo o individualmente, imparare tecniche di mindfulness attraverso la musica o apprendere movimenti di danza guidati da un ballerino professionista.

Tale forma di prescrizione sociale viene utilizzata come complemento alle terapie convenzionali nel trattamento dei disturbi mentali e per promuovere l’interazione sociale nelle persone isolate. La partecipazione alle attività artistiche (dove per ‘arte’ si intende una vasta gamma di attività creative) agirebbe a due livelli. In primo luogo, a livello individuale le persone possono sperimentare un miglioramento della salute e del benessere; in secondo luogo, a livello comunitario, la partecipazione ad esperienze artistiche all’interno di un gruppo promuove l’interazione sociale e, di conseguenza, l’inclusione. In Italia siamo, come sempre su questi aspetti, un po’ indietro. Eppur – qualcosa – si muove. Un esempio è il progetto ASBA (Anxiety, Stress, Brain-friendly museum Approach – Il museo alleato del cervello contro ansia e stress), uno studio all’avanguardia che indaga come le visite ai musei d’arte possano contribuire al miglioramento della salute mentale. Questo progetto si avvale di tecniche mirate a promuovere la mindfulness, ossia la concentrazione sulla consapevolezza del momento presente, e delle ‘Visual Thinking Strategies’ (VTS), un metodo di apprendimento interattivo che coinvolge gruppi di discussione guidati da un facilitatore davanti ad opere museali.

Negli ultimi anni, sono emersi anche altri progetti rivolti a persone con fragilità specifiche. Tra questi, spiccano le iniziative per individui affetti da Alzheimer, come i progetti sviluppati dai Musei Toscani per l’Alzheimer e dalla GNAM di Roma. Importanti sono anche il progetto StArt, una collaborazione tra il Centro Regionale per lo studio e la cura dell’Invecchiamento Cerebrale (Cric), il Comune di Padova e il Dipartimento dei Beni culturali dell’Università degli Studi di Padova, e il progetto Memorie d’Arte, presso la Fondazione Morandini a Varese.

Nonostante l’evidenza emergente del ruolo dell’arte nel promuovere il benessere mentale, le sfide persistono, soprattutto, dal punto di vista della ricerca, in termini di metodologie e approcci standardizzati, di accessibilità e comprensione. La mancanza di finanziamenti adeguati e la scarsa enfasi sulla ricerca empirica limitano la portata dei programmi di arte per il benessere. Inoltre, l’accesso all’arte non è uniformemente distribuito, sollevando questioni di equità e inclusione. È quindi giunto il momento per un ripensamento radicale su come l’arte sia integrata nelle strategie di benessere psicologico. L’arte dovrebbe essere riconosciuta come un vero e proprio strumento terapeutico, accessibile e utilizzato in modo più ampio. Questo implica un cambiamento nelle politiche di salute pubblica e un nuovo apprezzamento dell’arte non solo come piacere estetico, ma come catalizzatore essenziale per la salute mentale.

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