08 ottobre 2019

The Dark Side: al via le mostre a Musja, Roma

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"Chi ha paura del buio?" è la prima mostra del ciclo espositivo "The Dark Side", a cura di Danilo Eccher. Le parole del curatore su Musja e le sue mostre.

Gregor Schneider
Gregor Schneider, courtesy Musja

Nel 2017 la notizia della nascita di Musia (con la “i”), il nuovo museo privato a Roma, in Via Chiavari, poco distante dal Pantheon, fondato da Ovidio Jacorossi, sulla base della sua collezione che comprende opere dal primo Novecento italiano a oggi. Dopo una prima fase volta alla sperimentazione, a luglio 2018 l’annuncio dell’imminente apertura degli spazi di Musja (ora con la “j” del cognome del fondatore) con il ciclo espositivo triennale “The Dark Side” affidato alla curatela di Danilo Eccher.

«Con la nascita di Musja doniamo un nuovo Museo alla città di Roma e a tutto il Paese, mettendo a disposizione della collettività una collezione d’arte che rappresenta il risultato di una lunga storia umana e imprenditoriale. Nella nostra attività abbiamo da sempre considerato centrale il valore della persona e riconosciuto l’importanza della creatività nello sviluppo del potenziale di ogni individuo e di ogni organismo pubblico e privato. Con questa nuova realtà intendiamo offrire un contributo tangibile allo scambio e alla promozione culturale della società di cui tutti facciamo parte” ha dichiarato Ovidio Jacorossi, Presidente di Musja.

A dare corpo allo spirito di Musja è il ciclo di tre momenti espositvi – in altrettanti anni – “The Dark Side, a cura di Danilo Eccher, dedicati alla “Paura del Buio”, alla “Paura della Solitudine” e alla “Paura del Tempo”. Dal 9 ottobre il pubblico potrà visitare la prima mostra “Chi ha paura del buio?” (fino al primo marzo 2020) con installazioni site-specific e opere di grandi dimensioni di tredici artisti internazionali: Christian Boltanski, Monica
 Bonvicini, Monster Chatwynd, Gino De Domicinis, Gianni Dessì, Flavio Favelli, Sheela Gowda, James Lee Byars, Robert Longo, Hermann Nitsch, Tony Oursler, Gregor Schneider e Chiharu Shiota. Durante l’inaugurazione della mostra e con cadenza mensile, inoltre, nelle sale del museo si svolgerà la performance del gruppo Differenziale Femminile composto da quattro attrici romane.

«La maggior parte delle opere “site specific” – ha raccontato il museo – sono prodotte per la mostra mentre alcune provengono da istituzioni, gallerie, oltre che dalla collezione Jacorossi».

Abbiamo posto alcune domande a Danilo Eccher su Musja e “The Dark Side”.

Come descriverebbe Musja come entità culturale nella scena romana e italiana? Quali sono le principali caratteristiche di Musja che vanno tenute presente per capirne l’identità e il lavoro?

«Il contributo dei privati – siano essi imprenditori o collezionisti – nel settore della cultura e soprattutto dell’arte è stato, ed è ancora di più oggi, fondamentale per la crescita della collettività sino a segnare una vera e propria rinascita delle città nell’ambito delle quali operano. L’esempio di Milano negli ultimi anni dove le numerose e attivissime fondazioni d’arte hanno creato uno sviluppo intenso su scala internazionale ha fatto scuola. Penso che oggi il futuro di una città complessa e per certi aspetti in difficoltà come Roma possa ricevere impulso e prospettiva anche grazie all’impegno di privati come Ovidio Jacorossi, che mette a disposizione del pubblico uno spazio e una collezione di opere d’arte nel nome di una crescita non solo culturale, ma anche civile delle persone. Dal primo momento del mio ingresso nello spazio di Musja in via dei Chiavari  – nel cuore del centro storico della Capitale così denso di bellezza, ma dove i sintomi di degrado sono evidenti – sono stato molto colpito dalla suggestione e dalla particolarità di questi ambienti densi di storia e di caratteristiche architettoniche uniche, che mi sono subito apparse ideali per accogliere un progetto espositivo speciale».

“Chi ha paura del buio?” è la prima mostra di Musja e del ciclo espositivo “The Dark Side”. Come si inserisce questa mostra nella mission del nuovo museo?

«Condivido con Jacorossi la visione dell’arte contemporanea come una forza capace di entrare in sintonia e nel profondo del singolo individuo. “The Dark Side” rappresenta il ‘lato oscuro’ che è in ognuno di noi, gli inciampi reali o presunti della vita che impongono una pausa, una riflessione, che fanno battere il cuore ma, allo stesso tempo, accendono nuove possibilità, nuovi pensieri, nuove prospettive. Si tratta di accedere ad una dimensione buia e oscura che si cerca inutilmente di evitare o nascondere, ma che invece reclama una forte presenza, esige uno sguardo coraggioso. La paura va così domata, controllata, resa partecipe e amica della propria avventura umana, il lato oscuro non va negato o abbandonato, deve essere invece riconosciuto, accettato, coinvolto, vissuto. Il complesso ambito tematico del progetto è organizzato in tre momenti espositivi, distribuiti nell’arco di tre anni, e rispettivamente dedicati alla: “Paura del Buio”, “Paura della Solitudine”, “Paura del Tempo”. Il primo appuntamento, che apre al pubblico dal 9 ottobre, è dedicato alla “Paura del Buio”».

La maggior parte delle opere esposte in “Chi ha paura del buio?” sono site specific, altre provengono da gallerie, istituzioni e dalla collezione Jacorossi. In base a quali criteri sono state commissionate le opere e scelti i prestiti?

«La mostra coinvolge tredici importanti artisti internazionali con grandi installazioni site-specific e opere di grandi dimensioni: da maestri e riconosciuti in tutto il mondo, come Gregor Schneider, Robert Longo, Hermann Nitsch, Tony Oursler, Christian Boltanski, James Lee Byars sino ai nuovi protagonisti della scena artistica contemporanea come Monster Chetwynd, Sheela Gowda, Shiota Chiharu. La componente italiana è rappresentata da opere e installazioni di Gino De Dominicis, Gianni Dessì, Flavio Favelli, Monica Bonvicini. Durante l’inaugurazione della mostra e con cadenza mensile nelle sale del museo si svolgerà tra il pubblico una inattesa performance del gruppo Differenziale Femminile composto da quattro attrici romane, che rappresentano simbolicamente il “quattordicesimo artista” della mostra».

Come sarà articolato il percorso espositivo?

«Da alcuni anni sto sperimentando un processo allestitivo che, riprendendo le suggestioni degli anni Sessanta, riporti al centro del processo espositivo il pubblico, chiamato non solo ad ammirare le opere ma coinvolto in una vera esperienza sensoriale. Una ‘scrittura visiva’ volta a costruire impianti narrativi, racconti, viaggi, più che mostre; per fare ciò ho bisogno della complicità degli artisti che costruiscono non solo opere ‘site specific’ ma vere ed avvolgenti emozioni. E’ per questo che vorrei che il pubblico non dicesse di aver visto una mostra ma di aver fatto un’esperienza. Allora potrà attraversare la galleria di dipinti devastata dal fuoco di Schneider, entrare nelle fauci di una creatura gigantesca ideata da Chetwynd, meditare nello spazio di Dessì, farsi guidare nel sottosuolo dall’intreccio infinito di capelli di Gowda, ascoltare le storie raccontate dalle creature di luce di Oursler, sostare nell’architettura infinita di fili e nodi che circonda il sonno di Shiota, contemplare il mistero dell’esistenza ispirato da De Dominicis».

 

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