26 gennaio 2023

A Milano Prometeo Gallery Ida Pisani presenta “Line of duty” e “You owe me one”

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Prometeo Gallery Ida Pisani apre a Milano due nuove mostre: “Line of duty” e “You owe me one”. Visitabili fino al 9 marzo

You owe me one. Installation view at Prometeo Gallery Ida Pisani. Ph. Erjola Zhuka

Inaugurano oggi le due nuove mostre di Prometeo Gallery Ida Pisani. In uno spazio “Line of duty”, accompagnata da un testo critico di Elettra Stamboulis, con Badiucao e Gianluca Costantini; nell’altro “You owe me one”, con Maria José Arjona, Silvia Giambrone, Regina José Galindo, Maria Evelia Marmolejo e Mary Zygouri, e il testo di Elsa Barbieri in accompagnamento.

Badiucao e Costantini si conoscono su Twitter, luogo virtuale dell’attivismo online per eccellenza. Geograficamente lontani, i due artisti condividono uno sguardo sempre pronto a confrontarsi con le contraddizioni sociali e geopolitiche del presente. Elettra Stamboulis scrive «L’empatia è il cuore della democrazia: se spesso ce lo dimentichiamo, dando eccessivo peso ad altri aspetti rituali, questi due artisti si sono posti come responsabilità estetica quella di ricordarcelo in ogni azione che giornalmente condividono».

Line of duty. Installation view at Prometeo Gallery Ida Pisani. Ph. Erjola Zhuka

Costantini indaga l’immaginario della strage e del terrorismo. In mostra i disegni di “Il giorno della conoscenza” costituiscono una sequenza narrativa sulla strage della scuola di Beslan, mentre l’installazione  “Robb Elementary School” e il video “Uvalde School shooting – What happened at Robb Elementary” – rispettivamente – mostrano i ritratti dei bambini uccisi – inseriti nella griglia del tiro a segno – il 24 maggio 2022 e gli attimi tragici di quell’avvenimento. Badiucao trasforma l’espressività pop dell’arte contemporanea in battaglia civile, richiamandosi alla tradizione figurativa della propaganda e diventando l’unico canale non filtrato dal controllo governativo cinese. Tra le opere in mostra anche l’installazione “La CIna (non) è vicina”.

Line of duty. Installation view at Prometeo Gallery Ida Pisani. Ph. Erjola Zhuka

Nell’altro spazio quello che resta delle performance di Arjona, Giambrone, Galindo, Marmolejo e Zygouri – formalmente una documentazione fotografica, video e oggettuale – si offre come metodologia per tentare di ricostruire la storia dell’essere in debito, riconoscendo le maschere che le sue origini hanno indossato nel corso della storia occidentale. Il titolo “You owe me one”, traducibile con “hai un debito con me”, non lascia dubbi: l’essere in debito, l’avere un debito, è un fenomeno ben radicato nell’umano. Le opere in mostra sono poste come differenti letture di come la teologia, la storia, la filosofia politica e l’economia avvallino tutte quelle dinamiche che nella nostra società e nel nostro tempo hanno fatto dell’indebitamento delle singole vite la condizione del loro stesso dominio.

Di Arjona “Agent/Encoding/Flow” – la trascrizione della “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” nel linguaggio del corpo – crea una sospensione nel tempo e nello spazio che impone di prestare molta attenzione, oltre che una cieca fiducia, affinché il corpo possa tornare a connettere, anziché dividere, e a favorire lo scambio sociale, politico e culturale. Nel suo recupero del sensibile e del rapporto intimo con la vita in una società caratterizzata da una costruzione assai provvisoria e personale del senso, l’artista apre a un ritorno alle origini primitive (“Lifeline”, 2016), attraverso cui sembra che l’immersione nella natura, il rituale e il primigenio assurgano a oggetti di una ricerca, condotta attraverso il corpo. In questa prospettiva si possono leggere le opere di Marmolejo, che fa del corpo un rifugio ultimo, che colma il vuoto d’essere, causato dalle condizioni d’esistenza attuale (“11 de Marzo”), e Mary Zygouri, che attraverso il corpo, e la sua azione, coinvolge e scuote contro la violazione e il maltrattamento dello spazio fisico (“Venere degli stracci / In transito / Elefsina” e “Je reviens toujours”). Altre due letture provengono da Silvia Giambrone, con un corpo che è la sola risposta che consente di sentire la propria esistenza, facendo si che anche gli altri la riconoscano (“Domestication”, 2020), e da Regina José Galindo, che attraverso il proprio corpo denuncia la condizione di prigionia come un lungo rito di degradazione e di umiliazione, di spoliazione e di perdita del possesso di sé (“Libertad Condicional”, 2009).

In un percorso espositivo, articolato con video, fotografie e oggetti e lasciato volutamente a discrezione del pubblico senza alcun ordine prestabilito, l’uso del corpo emerge, secondo le parole di Elsa Barbieri, come: «l’estremo tentativo, dei corpi, per essere riconosciuti come soggetti ed esprimere metaforicamente la disperazione, soprattutto se privati di ogni mezzo per far sentire la propria voce». Riconoscendo ogni forma di vita come una risposta alla condizione dell’essere in difetto, in colpa e in debito, conclude Elsa Barbieri, «Possa l’uomo liberarsi dalla fedeltà morale nei confronti di un sociale discriminante e discriminatorio. Mai dimenticando, però, di essere in difetto, in colpa, in debito».

You owe me one. Installation view at Prometeo Gallery Ida Pisani. Ph. Erjola Zhuka

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