04 settembre 2021

Al via la 34ma Biennale di San Paolo. Intervista a Jacopo Crivelli Visconti, chief curator

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Apre oggi l'edizione che segna i 70 anni della manifestazione e che per la prima volta esce dalla storica sede progettata da Oscar Niemeyer per espandersi sul territorio, con artisti da ogni continente e la più consistente rappresentanza di artisti indigeni della sua storia. Jacopo Crivelli Visconti, chief curator, ci ha raccontato il progetto curatoriale

Il Padiglione Ciccillo Matarazzo, storica sede della Biennale di San Paolo. Pavilion Ciccillo Matarazzo.18/01/2020 Credit​: ​© Levi Fanan / Fundação Bienal de São Paulo

“Faz Escuro Mas Eu Canto (Though It’s Dark, Still I Sing)” è il titolo della 34ma Biennale di San Paoloche accoglie il pubblico da oggi, 4 settembre, al 5 dicembre 2021 e coincide con i 70 anni di fondazione, nel 1951, facendone la seconda biennale più antica al mondo, dopo quella di Venezia. Un’edizione diffusa sul territorio, che presenta il più ampio e diversificato gruppo di artisti convocato fino ad oggi, con 91 partecipanti da ogni continente e la più consistente rappresentanza di artisti indigeni, una linea rafforzata anche dalla scelta di un verso del poeta Thiago de Mello (1926, Barreirinha, Brasile), originario dell’Amazzonia, come titolo dell’edizione 2021.
La Biennale, per la prima volta, si espande al di fuori del Bienal Pavilion per lavorare con oltre 25 partner locali e internazionali, e per dare origine, già a partire dalla primavera 2020, a eventi e mostre off-site. Chief curator è Jacopo Crivelli Visconti, che ha lavorato in team con Carla Zaccagnini, Francesco Stocchi, Ruth Estévez e Paulo Miyada.

Paulo Miyada, curador-adjunto, Carla Zaccagnini, curadora convidada, Jacopo Crivelli Visconti, curador-geral, Ruth
Estévez, curadora convidada e Francesco Stocchi, curador convidado. Equipe curatorial da 34a Bienal de São Paulo. 13/03/2019 © Pedro Ivo Trasferetti / Fundação Bienal de São Paulo

Intervista a Jacopo Crivelli Visconti

La 34ma Biennale di San Paolo da Lei curata coincide con il 70mo anniversario della creazione della Fundação Bienal de São Paulo. Che cosa ha rappresentato negli anni questa istituzione per il contemporaneo in Brasile e che cosa rappresenta oggi, sia per la scena brasiliana che a livello internazionale?

«La Biennale di San Paolo è stata fondata dall’industriale italo-brasiliano Ciccillo Matarazzo (1898-1977) nel 1951 ed è la seconda biennale d’arte più antica al mondo dopo la Biennale di Venezia, che è stata istituita nel 1895 e ne è stata il modello. Dalla sua quarta edizione nel 1957, la Biennale si svolge nel padiglione modernista brasiliano “Ciccillo Matarazzo” nel Parque do Ibirapuera (noto anche come Bienal Pavilion), progettato da Oscar Niemeyer. Nel 1962 viene creata la Fundação Bienal de São Paulo, rilevando l’organizzazione espositiva che, fino ad allora, era stata gestita dal Museo di Arte Moderna di São Paulo, MAM-SP.

In questa struttura si sono tenute 33 edizioni della Biennale di San Paolo nei suoi sette decenni di storia, con la partecipazione di circa 140 paesi, 11.500 artisti o collettivi di artisti, l’esposizione di più di 70mila opere e la presenza di 8,5 milioni di visitatori. In questo periodo ha assunto vari formati, adeguandosi ai periodi storici. Alcuni cambiamenti chiave sono stati l’adozione di un capo curatore, avvenuta nel 1981 (16ma edizione), e la fine delle rappresentazioni nazionali, avvenuta nel 2006 (27ma edizione).

La Biennale è stata innegabilmente influente sia nel settore artistico brasiliano che internazionale: i suoi obiettivi fondanti sono far conoscere l’arte contemporanea in Brasile, spingere l’accesso del paese alla scena artistica in altre metropoli e stabilire ulteriormente San Paolo come centro artistico internazionale, e allo stesso tempo serve ad avvicinare l’arte brasiliana a un pubblico internazionale e viceversa. La Biennale registra sempre una forte presenza del pubblico locale, – aspetto che la 34ma edizione ha promosso attraverso partnership con molte istituzioni in tutta San Paolo -, è stata molto influente nel promuovere l’importanza dell’arte brasiliana e nel lanciare la carriera di artisti brasiliani che ora sono nomi noti come Lygia Pape (che ha partecipato alla Biennale nel 1953, 1955, 1957, 1959, 1989 e ora, nel 2021), Hélio Oiticica (1984, 94, 98, 2006, 2010) e Lygia Clark (presente in ogni edizione tra il 1953 e il 1967)».

Installation view of “Wind”, 1968, by Joan Jonas in ​Vento.​ Levi Fanan / Fundação Bienal de São Paulo
L’edizione 2021 della Biennale presenta il più ampio e diversificato gruppo di artisti convocato fino ad oggi, con 91 partecipanti da ogni continente e la più consistente rappresentanza di artisti indigeni. Quali caratteristiche avete cercato nella ricerca degli artisti invitati? Per quanto concerne gli artisti indigeni: attraverso quali canali avete rintracciato le loro ricerche e quali aspetti avete voluto valorizzare? Ci sono delle tematiche o dei media che avete individuato come maggiormente ricorrenti nel loro lavoro?

«La Biennale mira a riconoscere le differenze tra le persone ed espandere le prospettive e la comprensione del mondo. Uno degli obiettivi chiave della 34ma Biennale è mostrare come si possono stabilire relazioni tra una collezione diversificata di artisti provenienti da tutte le parti del mondo e da epoche diverse. In questo contesto, l’equità di genere e la rappresentazione di artisti che si identificano in un’ampia varietà di sfere sociali e la rappresentazione di minoranze è estremamente importante.

Questa edizione registra la più ampia rappresentazione di artisti indigeni che la Biennale di San Paolo abbia mai visto, con il 10% degli artisti provenienti da popoli originari di diverse parti del mondo, dal Brasile (Jaider Esbell, Paulo Nazareth, Daiara Tukano) alla Groenlandia (Pia Arke). I temi esplorati da questi artisti spaziano dalla problematica ambientale che ha un impatto diretto sulle comunità indigene, alle relazioni occidentali con le culture indigene, fino alla memoria e alla testimonianza e molto altro. Molti degli artisti indigeni esplorano l’identità di genere, alcuni sono essi stessi gender non-conforming, come Uýra e Sebastián Calfuqueo.

I canali attraverso i quali è avvenuto questo approfondimento della conoscenza e della comprensione dell’arte indigena contemporanea sono molteplici, ma senza dubbio sono state di grande valore le lunghe e ricchissime conversazioni che abbiamo avuto con Jaider Esbell, alcune delle quali pubbliche nell’ambito del nostro public program online».

Installation view of works by Antonio Dias in ​Vento​. Levi Fanan / Fundação Bienal de São Paulo
La Biennale, si legge nel comunicato stampa, esplora la relazione non a livello teorico, ma “nel suo dipanarsi fin dalla primavera 2020”, prima della pandemia, e si estende nel tempo e nello spazio da San Paolo con un raggio internazionale. Come è avvenuta, in pratica, l’”esplorazione di relazioni”? In che modo questo sarà raccontato o restituito – se lo sarà – nel percorso espositivo?

«La cornice curatoriale è stata ispirata dalla lettura di diversi autori (da Édouard Glissant a Eduardo Viveiros de Castro), ma anche da una personale interpretazione della curatela fondamentalmente come operazione del porre in relazione tra loro opere diverse. L’arte può essere letta e compresa in modi differenti quando viene vista in un contesto più ampio, quindi abbiamo voluto creare un palcoscenico che consentisse molti scambi. Le nostre collaborazioni permetteranno ai visitatori di vedere opere degli stessi artisti in mostre diverse, in questo modo l’importanza della contestualizzazione diventerà chiara, quasi tangibile.

Una parte fondamentale di questo processo – che è ciò che credo renda questa Biennale ancora molto rilevante e significativa, nonostante sia stata posticipata di un anno a causa del COVID-19 – è che non siamo partiti da un tema, ma abbiamo iniziato dai lavori stessi. Ho proposto agli altri membri del team curatoriale di suggerire ciascuno una serie di artisti o opere d’arte che ritenessero importante mostrare in Brasile in quel momento e poi, molto lentamente, nel corso di diversi mesi di discussione, abbiamo messo insieme la mostra. Come estensione di ciò, il concetto di costruire la Biennale attraverso la conversazione è stato fondamentale per il nostro modo di lavorare.

Considerando che la Biennale è stata organizzata in modo molto dialogico, le conversazioni che abbiamo avuto con gli artisti durante tutto il processo sono state fondamentali nella costruzione della mostra anche così come sarà presentata. Credo che questo non sia sostanzialmente diverso da come hanno lavorato i curatori delle precedenti edizioni. La particolarità nel nostro caso è che abbiamo avuto un anno in più per poter rendere pubbliche almeno una parte di quelle conversazioni attraverso un programma molto denso e ampio di public program online».


Installation view of works by Ximena Garrido-Lecca in ​Vento​. Levi Fanan / Fundação Bienal de São Paulo
La Biennale, per la prima volta, si espanderà al di fuori del Bienal Pavilion per lavorare con oltre 25 partner locali e internazionali, dando origine, già a partire dalla primavera 2020, a mostre off-site, sia personali che collettive. Come è stato possibile espandere in questo modo la Biennale e in che modo sono state coinvolte le istituzioni partner? 

«L’idea di lavorare in team è centrale per il modo in cui è stata concepita l’intera Biennale. Collaborando con una vasta gamma di istituzioni abbiamo coinvolto molti curatori e pensatori che contribuiscono all'”esplorazione delle relazioni” sia teoricamente che fisicamente al di là del gruppo di lavoro della Biennale e del Padiglione della Biennale. Tutte le mostre parallele alla Biennale principale sono state allestite dai curatori di varie istituzioni della città di San Paolo o da curatori ospiti.

Attraverso queste collaborazioni, siamo stati in grado di raggiungere direttamente un pubblico molto più ampio e con più successo di quanto avremmo potuto fare da soli. Può essere molto impegnativo creare una struttura così complessa e stratificata, in particolare in termini di collegamento logistico tra tutte le diverse istituzioni, e credo che sia la prima volta che viene realizzata su questa scala. Questa edizione della Biennale sarà più facilmente compresa da un pubblico molto più vasto rispetto ad altri eventi simili. Allo stesso tempo, tuttavia, in termini di pensiero, questa è una mostra complessa e ambiziosa a livello curatoriale che si rivolge anche a un pubblico specialistico dell’arte.

Finora la 34ma Biennale ha realizzato mostre personali dell’artista peruviana Ximena Garrido-Lecca (al Padiglione della Biennale qui a San Paolo) e della fotografa statunitense Deana Lawson (a Kunsthalle Basilea, Svizzera). C’è stata, inoltre, una mostra collettiva più piccola aggiunta al programma nel novembre 2020, come parte dell’estensione causata dalla pandemia, e intitolata “Wind” ispirandosi al film dell’artista statunitense Joan Jonas del 1965 Wind. Il musicista e compositore sudafricano Neo Muyanga ha aperto la 34ma edizione con una performance nel febbraio 2020 e l’artista brasiliano Paulo Nazareth ha messo in scena una performance all’inaugurazione di “Wind”.

La mostra personale di Garrido-Lecca, la sua prima mostra in Brasile, non solo ha dato il via alla 34ma Biennale, ma è diventata particolarmente toccante nel contesto del 2020. La sua opera intitolata Insurgencias botánicas: Phaseolus Lunatus [Botanical Insurgencies: Phaseolus Lunatus] (2017), era una cultura idroponica in cui le piantine di fagioli piantate sono cresciute per il pubblico ad accompagnare la trasformazione dell’installazione. L’opera  fa riferimento alla conoscenza indigena che resiste attraverso le piante sottoposte all’attacco dell’industria agricola allo stesso modo in cui le popolazioni indigene vengono attaccate dai colonizzatori. Il messaggio di quest’opera sulla resilienza della conoscenza indigena è ora più forte che mai.

A San Paolo inaugureranno più o meno nello stesso periodo della grande mostre collettiva “Faz escuro mas eu canto”, tra le altre, le personali del cileno Alfredo Jaar, della norvegese Frida Orupabo e della brasiliana Regina Silveira (potete trovare il calendario completo qui)».

Installation view of works by Regina Silveira in ​Vento​. Levi Fanan / Fundação Bienal de São Paulo
Lei, come curatore, in che modo ha lavorato per apportare tante innovazioni in un’istituzione con una lunga storia alle spalle? Quali sono state le maggiori criticità e i punti di forza di questo percorso?

«Da un certo punto di vista sì, la Biennale ha una lunga storia e questo è un patrimonio che si vuole onorare. Ma d’altra parte, direi che nella storia di questa Biennale è presente anche una forte tradizione nel lasciare ai curatori la libertà di sperimentare e proporre nuovi formati, quindi ci siamo sentiti molto a nostro agio nel proporre un progetto così ambizioso, e anche un format abbastanza sperimentale».

Installation view of works by Eleanore Koch in ​Vento​. Levi Fanan / Fundação Bienal de São Paulo

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