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A Roma inaugura oggi, 23 giugno, la personale di Giuseppe Modica (1953, Mazara del Vallo) “Atelier. Giuseppe Modica Opere 1990 – 2021” al Museo Hendrik Christian Andersen, diretto da Maria Giuseppina Di Monte e afferente alla Direzione dei Musei Statali della Città di Roma, diretta da Mariastella Margozzi.
La mostra, a cura di Maria Giuseppina Di Monte e Gabriele Simongini, sarà visitabile fino al 24 ottobre 2021 e presenta 37 opere dell’artista allestite nella casa-museo dello scultore norvegese-americano Hendrik Christian Andersen (Bergen, 1872-Roma, 1940), vissuto a Roma dalla fine del XIX secolo fino alla morte. Palazzina da lui stesso fatta costruire e decorata a partire dal 1922 in stile eclettico neo-rinascimentale.

Intervista a Giuseppe Modica
Come è nata la mostra “Atelier. Giuseppe Modica Opere 1990 – 2021” al museo Hendrik Christian Andersen di Roma?
«La mostra è nata spontaneamente in una conversazione con la Direttrice del Museo Andersen Giuseppina di Monte e il critico, collega all’Accademia e amico di vecchia data Gabriele Simongini. Progettare un evento od una mostra al Museo Andersen significava anche entrare in sintonia con il luogo che è una Casa-Museo che custodisce al suo interno l’atelier di Andersen. E proprio il tema dell’Atelier è un filo conduttore della mia ricerca artistica dal 1990 in poi.
“La mostra che il Museo Hendrik Andersen dedica a Giuseppe Modica – scrive Maria Giuseppina Di Monte nel testo in catalogo – è un tributo alla sua carriera lunga e prolifica ma, al tempo stesso, un omaggio a Hendrik Christian Andersen nella casa museo dove sono raccolte quasi tutte le sue opere più importanti”».

La mostra ruota attorno al Suo concetto di atelier. Ce lo può spiegare brevemente?
«Il concetto di Atelier è strettamente legato alla sua accezione antica di Labor-Oratorium nel senso che il lavoro creativo dell’artista è legato a una ritualità che coniuga spiritualità laica della preghiera e lavoro concreto del fare.
Una sintonia con un lavoro caratterizzato da un pensiero visivo che coniuga le ragioni profonde della mente e del cuore.
È nell’Atelier che si riordinano e chiariscono le idee; è in questo luogo magico che avviene la conversione alchemica dei pensieri, dei frammenti di memoria e delle annotazioni (schizzi, prove di colore, collage, foto, ecc) che si organizzano e prendono forma divenendo pittura, configurazione visiva. […]
Per me la pittura ha una dimensione metafisica e speculativa: è riflessione e meditazione. Perciò è necessario un luogo idoneo dove sia possibile isolarsi e concentrarsi per poter organizzare il pensiero e le idee e trasformarle in visione […]».

Quale legame si instaura tra le Sue opere e quelle di Andersen nel percorso espositivo?
«Non c’è un legame filologico e stilistico fra l’opera di Andersen e la mia pittura. Il legame si crea con la sobria spazialità architettonica del museo stesso e con l’aura di museo-atelier e labor-oratorium che è tipica del luogo».

Può, in estrema sintesi, ricordarci alcuni dei momenti salienti della sua carriera artistica fino ad oggi?

Dove è possibile incontrare il Suo lavoro, al di là della mostra al Museo H. C. Andersen?
