02 aprile 2022

‘Segni di me. Il corpo, un palcoscenico’ a Casa Testori, Novate Milanese

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A Casa Testori inaugura oggi, dalle 16 alle 19, la collettiva con i lavori di sei giovani personalità artistiche nate tra il 1985 e il 1995, chiamate a relazionarsi con la figura di Carol Rama. Ne abbiamo parlato con i curatori

Opere di Margaux Bricler a a Casa Testori. Courtesy Casa Testori

A Casa Testori, la collettiva “SEGNI DI ME. Il corpo, un palcoscenico”, a cura di Rischa Paterlini con Giuseppe Frangi, fino al 26 giugno «porta nelle stanze della dimora di Novate Milanese, oltre a Carol Rama e Giovanni Testori, le opere di Margaux Bricler, Binta Diaw, Zehra Doğan, Iva Lulashi, Giorgia Ohanesian Nardin, Iman Salem».

Con questo progetto espositivo, «dopo l’esperienza della mostra “Libere Tutte” del 2019, Casa Testori continua il percorso dedicato a quella che Lea Vergine aveva ribattezzato “l’altra metà dell’arte” e aggiunge un tassello alla storia scritta da molte artiste femministe sul finire degli anni ‘60 affrontando con più radicalità temi legati al corpo e all’entità», hanno spiegato gli organizzatori.

Il percorso espositivo

“SEGNI DI ME. Il corpo, un palcoscenico” presenta sei giovani personalità artistiche nate tra il 1985 e il 1995, chiamate a relazionarsi con una grande figura del recente passato, Carol Rama. Al centro dei loro lavori c’è la relazione con il corpo che diventa terreno proprio dell’espressione artistica. Nelle stanze di Casa Testori entrano opere potenti e talvolta provocatorie che insistono su esperienze soggettive, criticando la dolorosa eredità del sessismo, della violenza e di altre strutture di potere della cultura contemporanea. Sono lavori che forniscono nuove e preziose intuizioni sia sull’arte storica che su quella contemporanea. La mostra è concepita come fosse una pièce teatrale, grazie all’aiuto di una vasta gamma di mezzi tra cui dipinti, sculture, performance, disegni e fotografie. Un ottavo protagonista entra poi in scena, il padrone di casa Giovanni Testori, con una serie di grandi disegni della metà degli anni ‘70 che hanno per soggetto il corpo femminile», hanno anticipato gli organizzatori..

Ne abbiamo parlato con Rischa Paterlini, curatrice della mostra, e Giuseppe Frangi, fondatore e vice presidente Casa Testori, co-curatore.

Carol Rama, L’isola degli occhi, 1967, Occhi di plastica, resina sintetica e smalto su tela, 120 x 160 cm, collezione privata

Come è nato il progetto di Casa Testori dedicato alle artiste, iniziato con “Libere Tutte” nel 2019?

GF: «Sono state proprio le sollecitazioni e l’interesse destato da un progetto come “Libere tutte” a convincerci a continuare, in particolare cercando di costruire un percorso che avesse anche una proiezione storica. La presenza di opere importanti di Carol Rama risalente agli anni ‘60 e ‘70 dimostra come il lavoro delle personalità artistiche di oggi si radichi dentro una storia. Il filo conduttore è il rapporto con il corpo, che con Carol Rama non è solo soggetto di una rappresentazione artistica, ma diventa materia prima del lavoro artistico. A Carol Rama si aggiungono tre grandi disegni di Giovanni Testori, con close up su organi sessuali femminili: è una presenza che mette in rilievo anche la natura teatrale del percorso. Come dice il titolo, il corpo si propone come un palcoscenico».

Carol Rama, Bricolage, 1964, Artigli di animale, guazzo e inchiostro di china su carta, 45,5 x 35,5 cm, collezione privata, Torino

Come avete scelto le artiste (oltre a Giovanni Testori) di “Segni di me”? Che dialogo si crea, in linea generale, tra i loro lavori?

RP: «Più io e Giuseppe Frangi parlavamo della mostra più ci rendevamo conto di essere forse di fronte a una nuova generazione che va costruendo e non solo immaginando quelle che Massimiliano Gioni, nel suo testo che accompagnava la mostra “La Grande Madre”, chiamava «geometrie e gerarchie inedite». Questa mostra parla di corpi, di segni, di nuove generazioni aprendosi ad ogni pratica e ad ogni pensiero, con un omaggio a due grandi artisti come Carol Rama e Giovanni Testori, precorritori indiscussi di questi nostri tempi. Per entrambi, infatti, l’obiettivo fin dal primo dopoguerra non era raggiungere la realtà attraverso l’arte, ma «poter partire dalla realtà. Avere, cioè, una fede che permetta questa partenza. E non tanto per la pittura, quanto per il “vivere”, come scriveva Testori. Con un’esperienza come quella di questa mostra si vuole documentare, attraverso la lente poetica dell’arte, proprio il cambiamento dello stato delle cose, un pensiero grazie al quale gli individui sono individui, non tipologie sessuali».  

Binta Diaw, Paysage Corporel VI, 2021 – photo rag ultra smooth su pannello Dbond, 70x105cm

Potete suggerirci un paio di opere presenti nel percorso espositivo a cui prestare particolare attenzione?

RP: «Non una, ma a tutte le opere è importate prestare particolare attenzione, la mostra infatti è anche un caleidoscopio di identità. Certamente colpiscono le grandi figure di Zehra Doğan, curda, che invadono gli spazi della casa trasferendo l’intensità drammatica e molto fisica della sua esperienza di artista e attivista nelle celle delle carceri turche. Giorgia Ohanesian Nardin, proporrà un’improvvisazione di due ore per il giorno di apertura della mostra, è di origine armene. La performance verrà documentata dalle fotografie di Iman Salem, nata in Italia da padre egiziano e madre marocchina, esposte nella veranda. Binta Diaw, nata in Italia da genitori senegalesi, presenta una serie di close up fotografici del proprio corpo sui quali compie sottili interventi pittorici. Margaux Bricler, francese, applica su se stessa l’immaginario mitologico delle Baccanti realizzando sculture mimetiche e potentemente frammentarie e sospese. Iva Lulashi, albanese, attraverso la pittura e con la novità del disegno, indaga senza remore e con voluta ambiguità, sul consumo del corpo femminile». 

Margaux Bricler, In Cauda Venenum #3 2022 Vetroresina, cera e metallo ca. 90 x 70 x 60 cm

Quali saranno i prossimi appuntamenti a Casa Testori?

GF: «Stiamo lavorando ad un progetto ambizioso che mette in dialogo Alberto Burri con Giovanni Testori. Il filo conduttore sarà all’insegna del nero. La mostra sarà curata da Anna Bernardini, direttrice di Villa Panza, e da Alessandro Sarteanesi». 

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