31 gennaio 2024

«Una bella giornata in un gran bel posto», dove? Da Jugopetrol, a Bologna

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A pochi passi dal MAMbo, in viale Silvani, e a poche ore dall’apertura della 50^ edizione di Arte Fiera, nel vivo dell’Art City, Flavio Favelli apre il suo spazio, Jugopetrol, insieme a Igor Grubić e Juan Pablo Macías e inaugura la mostra "Try again. Fail again. Fail better"

Flavio Favelli, Jugopetrol, insegna al neon trovata

«Da qualche anno ho preso uno spazio sui viali che ho chiamato Jugopetrol, per via di una grande insegna recuperata in Montenegro; è vicino al Mambo e per la prima volta ho invitato due artisti che conosco personalmente. Abbiamo sicuramente qualcosa in comune, in un senso che in qualche modo, direi, che l’attenzione per la situazione storica è sempre presente». A parlare è Flavio Favelli, a poche ore dell’apertura del suo spazio con la mostra Try again. Fail again. Fail better, insieme a Igor Grubić e Juan Pablo Macías. 

Tra collage, assemblaggi e composizioni di tempo vissuti, di Favelli, lavori incisi a puntasecca su lastre trovate e in procinto di essere smaltite, di Macías, e i collage di Gubrić, da Jugopetrol «c’è di mezzo anche la parola magica, “politico”, con diverse sfumature e sguardi a differenti distanze. Ma alla fine – spiega proprio Favelli – a me interessava fare una mostra a Bologna (che vuole dire ancora anni Settanta, in fondo i 50 anni di Arte Fiera sono 50 anni dal 1974 e dopo, forse, c’è stato troppo poco) con un artista messicano che abita a Livorno, un artista croato ed io, che sono nato a Firenze e vivo sull’Appennino bolognese: sounds good».

Jugopetrol, Favelli, Grubić, Macías. Try again. Fail again. Fail better. Bologna, 2024

Il titolo, Try again. Fail again. Fail better, che risuona naturalmente con la mentalità richiesta dal mondo delle startup tecnologiche, dove quasi tutte le imprese si concludono con un fallimento, ma un fallimento che può contenere i semi di un futuro successo, ma – seppur così ovvio non sembri – compare anche nel racconto di Samuel Beckett del 1983, Worstward Ho, è un’idea Juan Pablo Macías, che presenta guaita_bisonte_proudhon_jousse, cinque incisioni con testi tradotti in alfabeto etrusco e stampati su carta giapponese di 20 gr. I testi sono ripresi da citazioni dell’economista, politico, filosofo e anarchico Pierre-Joseph Proudhon, altri sono termini in aramaico tratti dal libro L’Antropologia del Gesto di Marcel Jousse, antropologo gesuita che studia l’importanza del gesto e delle sue implicazioni nella creatività e nell’evoluzione umana.

Juan Pablo Macías, guaita_bisonte_proudhon_jousse. Installation view at Jugopetrol, Bologna, 2024

Igor Grubić invece ha voluto suggerire, sognare e creare un orizzonte utopico dopo aver vissuto il trauma della guerra in Croazia nel 1991-1995. La serie di collage nasce dall’interesse dal suo interesse per l’ideologia del Costruttivismo Russo, che credeva onestamente che l’arte potesse coltivare e nutrire lo spirito delle persone. Questi lavori, semplici e chiari ideogrammi accompagnati da scritte, immagini iconiche e personaggi (da Vladimir Majakovskij a Sergei Eisenstein), riflettono l’idea che l’arte trova la sua strada attraverso la pubblicità – mentre la politica usa l’arte per trasmettere pensieri rivoluzionari – e sono realizzati utilizzando i colori base, rosso e nero, e giocando con le forme per creare messaggi che diventano come una campagna minimalista agitprop. 

Igor Grubić, collage. Installation view at Jugopetrol, Bologna, 2024

Le opere di Flavio Favelli invece indagano i segni e simboli tipici dell’identità italiana ma anche i suoi conflitti, sembrano parlare con un linguaggio comprensibile a tutti ma in realtà marcano un conflitto fra generi, identità, appartenenza e idee. Si tratta di adesivi pubblicitari, biglietti, copertine di libri, francobolli, banconote e ritagli di giornali che veicolano informazioni e immagini di grande seduzione, immagini ormai cristallizzate che si sono impossessate del vivere quotidiano delle persone. 

Jugopetrol, Favelli, Grubić, Macías. Try again. Fail again. Fail better. Bologna, 2024

C’è anche un esemplare dei primi cataloghi di Arte Fiera degli anni Settanta tra questi oggetti possiedono immaginari capaci di creare mondi autonomi, e allora viene spontaneo domandargli qualcosa ancora, qualcosa di più del suo rapporto con la città di Bologna, nel vivo dell’Art City e di Arte Fiera. «L’ultima volta che è stato realizzato un progetto importante, un’opera d’arte contemporanea permanente nel centro storico, è stato nel 1972 quando il sindaco Zangheri portò i cilindri di Arnaldo Pomodoro in Piazza Verdi. Oggi qualsiasi progetto deve avere un’utilità concreta per la città e quindi un’arte che ha un’utilità è un’arte falsata, scarica. Giusto si fanno delle proiezioni: grande effetto, alla son et lumière alle Piramidi, poca spesa e tutto torna come prima. Recentemente è stato respinto un mio progetto di una pittura su muro sui militari italiani, la commissione di arte pubblica cittadina mi ha detto che non è il momento giusto. L’unica opera forse permanente, chissà, che sono riuscito a fare è stata la Sala d’Attesa nel 2008 al Pantheon della Certosa di Bologna che accoglie i funerali laici. È interessante che sia stata finanziata da un privato con idee liberal che per la prima volta, nella città di Bologna, ha dato la possibilità da fare commemorazioni funebri senza cerimonie religiose».

Flavio Favelli, Arte Fiera 1976, 2011, smalto su copertina, cm 38×20,5

Il racconto prosegue così: «L’anno scorso ho installato un’opera nella piazzetta di fronte all’Accademia di Belle Arti di Bologna e alla Pinacoteca, mi ha invitato l’Accademia commissionandomi uno “speaker corner” al fine di riqualificare e animare la piazza. Certo è stato interessante ma va detto che oramai, nel paese dell’arte, non si fa più arte, se non come mezzo, mai come un fine, se si fa qualche progetto artistico è sempre per cercare di risolvere un problema. Si poteva fare qualcosa di interessante al cinema Modernissimo, qualche progetto, ma è stato chiamato uno scenografo che l’ha rifatto “come nel Quattrocento”… Arte Fiera, la fiera dell’arte. Se non ci fosse Arte Fiera, Bologna sarebbe come, che so, Trieste o Perugia… Arte Fiera va e la città si scalda. La cosa interessante (o no ?) è che anche i luoghi più abbottonati e conservatori o quelli più impensabili, come la Croce Rossa, fanno qualcosa per la settimana di Arte Fiera».

E a proposito della mostra da Jugopetrol, beh «allestiamo il giorno stesso dell’apertura, ma le opere sono speciali, forse già fallite, ma stiamo passando una bella giornata in un gran bel posto».

Jugopetrol, Favelli, Grubić, Macías. Try again. Fail again. Fail better. Bologna, 2024

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