30 dicembre 2002

Jòan Mirò Il Carnevale di Arlecchino

 
L’opera si presenta come un grande spettacolo realizzato con oggetti strani, piccoli giocattoli fantastici, infantili diavoletti, strani esseri informi, mostriciattoli che escono da cubi che si attorcigliano su asticelle sottili...

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Jòan Mirò lavora al Carnevale di Arlecchino per tutto l’inverno del 1924-’25 nello studio di Rue Blomet a Parigi. La tela viene esposta per la prima volta nel giugno del 1925 in una mostra alla Galerie Fierre organizzata da Andrè Breton, leader del movimento surrealista.
L’opera si presenta come un grande spettacolo realizzato con oggetti strani, piccoli giocattoli fantastici, infantili diavoletti, strani esseri informi, mostriciattoli che escono da cubi che si attorcigliano su asticelle sottili, molti sono sospesi a mezz’aria come giocolieri nel paese delle meraviglie. Oggetti simboli, questi di Mirò, fluttuanti in uno spazio appena accennato che evocano una pittura infantile e primitiva che nessuno dei suoi compagni surrealisti aveva ancora esplorato in quegli anni. La disposizione libera delle figure all’interno della composizione ricorda dipinti del secolo XV di Hieronimus Bosch che pare siano stati osservati al Louvre dallo stesso Mirò. Si ritrovano infatti, gli stessi strani folletti, gli stessi esseri informi diabolici presenti nel carnevale del pittore catalano.
Mirò, liberando la sua fantasia, è riuscito a creare una seconda realtà ugualmente fisica e reale, forse più forte e scioccante di quella reale. Un mondo parallelo al nostro, surreale ed inconscio. E’ riuscito a reinventare oggetti non sottomessi alle leggi morali e ai conformismi sociali fino ad arrivare ad uno stato fluido delle cose: oggetti-simboli, elementi puramente immaginativi, onirici e metafisici. Il quadro richiama mondi infantili e burleschi ma che non vogliono essere una realtà astratta ma una parallela a quella reale, ugualmente reale e concreta. Mirò, infatti, amava ripetere che i suoi mondi proprio perché creati da forme non sono astratti ma sono veri: la forma, per Mirò non è mai astratta, è come un algoritmo matematico, ha cioè un inizio ed una fine. Nel 1938, rievocando questa opera, chiarisce quelli che sono i suoi elementi caratterizzanti, i quali possono essere ritrovati anche in altre tele: la scala indica la fuga dal mondo e l’evasione, gli animali sono quelli che amava e di cui sempre si circondava, il gatto colorato, ad esempio, è un omaggio a quello che aveva sempre con sé quando dipingeva; la sfera nera sulla destra del dipinto simboleggia il globo terrestre, il triangolo che appare dalla finestra evoca la Tour Eiffel e Parigi dove risiedeva in quegli anni. Tutto per Mirò aveva una vita segreta, gli interessava immaginare e raccontare, rappresentare quello che gli altri non consideravano. Egli dava enorme importanza alla pittura infantile perché i bambini non condizionati dalla società, riuscivano ad avvicinarsi più agevolmente al mondo delle fiabe, le vivevano, le assaporavano meglio di quanto potesse fare un adulto. Da qui parte il suo personale cammino artistico degli anni surrealisti che riesce a potenziare fino ad arrivare, negli ultimi anni della sua vita, ad opere completamente astratte. L’amore per l’arte infantile proprio perché svincolata dai tradizionali canoni pittorici lo porta a semplificazioni formali fortemente antinaturalistiche. Il carnevale di Arlecchino è considerato uno dei capolavori del movimento surrealista perché esemplifica, meglio di altre opere, gli obiettivi ed i traguardi che questa corrente pittorica si è proposta fin dal momento della sua fondazione. Essa, infatti, aveva come principale obiettivo quello di liberare la fantasia e l’immaginazione dell’artista, fino a quel momento legata alla tradizione naturalistica ancora di stampo ottocentesco, ormai sterile e priva di interesse. Il surrealismo, partendo da posizioni già avanzate dal gruppo DADA di Tzara, voleva, una volta per tutte, proporre delle soluzioni che garantivano a tutti gli artisti e all’uomo in genere una libertà realizzabile in senso positivo e costruttivo. Andre Breton vede nella psicanalisi freudiana il mezzo attraverso il quale l’uomo può liberarsi dalle catene della ragione e sentirsi finalmente libero. Nel manifesto surrealista il poeta francese, infatti, afferma che per merito di Freud l’immaginazione è sul punto di riconquistare i suoi diritti. Il sogno e la fantasia sono, per Breton ed i surrealisti, una sorta di realtà assoluta così come aveva dimostrato già da tempo il grande medico viennese. Per Breton era importante poter liberare l’immaginazione dalla logica comune, era necessario liberare la mente, anche durante lo stato di veglia, dalla ragione, così da non essere più condizionati da preoccupazioni estetiche e morali. Mirò senza alcun artificio psichico ha fatto propri questi semplici precetti, lavorando soltanto sul potenziamento di una visione del mondo ingenua ed onirica. Dal Carnevale di Arlecchino, infatti, realizza opere dal sapore puramente infantile e fantastico che rimangono uniche nel panorama artistico contemporaneo.
Biografia. Joan Miró nasce a Barcellona nel 1893. Nel 1907 si iscrive alla Scuola del Commercio. Nel 1910 trova lavoro come contabile in un negozio di drogheria, ma partecipa anche ad alcune rassegne di pittura. Due anni dopo decide di dedicarsi esclusivamente all’arte. Comincia a frequentare la Scuola di Francesco Galí. Nel 1913 si iscrive al Circolo Artistico di Sant Lluc, dove incontra Joan Prats. Nel 1916 affitta uno studio insieme a Enric Cristófol Ricart e conosce il mercante d’arte Josep Dalmau, che lo introduce presso Maurice Raynal e Francis Picabia. Nel 1918 aderisce al Gruppo Courbet. Tiene la prima personale da Dalmau a Barcellona. Nel 1920 è a Juan Mirò - carnevale di arlecchino
Parigi e fa visita a Picasso. Torna spesso a Montroig, dove si trova la tenuta di famiglia. Nel 1922 diventa amico di Masson, che gli fa conoscere Michel Leiris, Antonin Artaud, Jean Dubuffet, Paul Eluard e Raymond Queneau. Incontra anche Ezra Pound ed Ernest Hemingway, che gli acquista un quadro.
Nel 1925 conosce André Breton. Partecipa così ad alcune manifestazioni surrealiste. I suoi più cari amici surrealisti sono Hans Arp e Max Ernst, col quale realizza le scenografie per il balletto Romeo e Giulietta, portato in scena da Diaghilev. Nel 1932 si trasferisce a Barcellona. Nel 1936, a causa della guerra civile spagnola, si trasferisce a Parigi con la famiglia. Nel 1939 si trasferisce a Varengeville-sur-Mer, in Normandia dove inizia la serie delle Costellazioni. L’invasione tedesca in Francia (1940) lo riporta in Spagna. Si stabilisce a Palma di Maiorca.
Nel 1941 tiene una retrospettiva al Museum of Modern Art di New York. A partire dal 1944 si dedica alla ceramica, assistito da Josep Llorens Artigas. Nel 1946 realizza le prime sculture in bronzo. L’anno successivo si reca negli USA e partecipa all’esposizione surrealista presso la Galerie Maeght di Parigi. Nel 1949 espone a Barcellona alla Galerías Layetanas. Realizza un murale per il refettorio dell’Harkness Commons, alla Harvard University, su commissione di Walter Gropius.
Nel 1954 vince il Gran Premio Internazionale per la Grafica alla Biennale di Venezia. Nel 1958 vengono inaugurati i pannelli murali per il palazzo dell’UNESCO di Parigi, un lavoro premiato col Guggenheim International Award. Nel 1962 il Musée national d’Art moderne di Parigi gli dedica una retrospettiva. Nel 1964 viene inaugurata la Fondation Maeght a Saint-Paul-de-Vence, che ospita molte sculture di Miró. Nel 1966 tiene una retrospettiva al Museo Nazionale d’Arte di Tokyo. Realizza le prime sculture monumentali in bronzo. Nel 1970 esegue, sempre con Artigas, un pannello monumentale in ceramica per l’Aeroporto di Barcellona. Nel 1972 viene costituita la Fondation Joan Miró di Barcellona. Il progetto è di Joseph Lluís Sert. Aprirà al pubblico nel 1975.
Nel 1976 realizza una pavimentazione in ceramica sulla Rambla di Barcellona. Nel 1979 vengono inaugurate le vetrate della Fondation Maeght. Muore a Palma di Maiorca nel 1983.
Bibliografia essenziale
– ANDRE BRETON, Manifesto del Surrealismo, Einaudi, Torino, 1966;
– ANDRE BRETON, Il Surrealismo e la pittura, Marchi-Bertolli, Firenze, 1966;
– ENRICO CRISPOLTI, Il Surrealismo, Fabbri Editori, Milano, 1969;
– MAURICE NADEAU, Storia e Antologia del Surrealismo, a cura di I. Margoni, Oscar Mondatori, Milano, 1976;
– MARIO DE MICHELI, Le avanguardie Artistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano, 1986.
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alessandra marzuoli

progetto editoriale a cura di daniela bruni

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