13 maggio 2011

L’arte non fa paura

 
A tu per tu con Laurent Grasso, il celebre artista d’oltralpe per cui l’unico tema intrigante nel concetto di tempo è quello di poterci viaggiare. Non si ferma all’evidenza apparente questo artista francese, che ha interpellato i cieli parigini e i set di Cinecittà come sfondo per il suo discorso ricco di fonti magnetiche…

di

Polair a Napoli: le stelle come punto di vista latente?


In Polair non si tratta in realtà di stelle, ciò che vediamo é piuttosto una diffusione di polline inteso come un fenomeno immaginario e sconosciuto. L’opera è dunque composta dalla rappresentazione di un caso molto forte di invasione di pollini in una città; al tempo stesso vi è una connotazione storica perché il paesaggio è composto da edifici tipici della parte di Berlino Est, per cui vi è questa idea di architettura in rapporto al potere. Il polline in questione passeggia per la città ed è attratto da sorgenti elettriche e magnetiche. Nel mio lavoro cerco di dare immagini di una circostanza alla quale non si può avere accesso, creo rappresentazioni che non esistono, oppure colloco la fotocamera in un luogo immaginario e non facilmente praticabile. Per esempio ho lavorato su basi militari in conformità ad alcuni documenti trovati su internet al fine di ripristinare luoghi inaccessibili. Al Palais de Tokyo, ho realizzato HAARP (High Frequency Active Auroral Research-Program), un’istallazione ideata a partire da una base che esiste in Alaska, un luogo che trasmette una sorta di paura e paranoia, ricettacolo di mitologie contemporanee. Su questa base si inviava elettricità nell’atmosfera. Ciò che mi interessa molto nel mio lavoro sono le storie che le persone hanno bisogno di raccontarsi oggi per esistere, tutte quelle mitologie contemporanee che creano una forma di credenza.

Hai interpellato Galileo al centro del lavoro che esponi a Napoli. Ci sono delle congiunzioni con il principio d’inerzia?

Quello che mi interessa è il movimento avanti e indietro nel tempo, nel passato. Essere in grado di viaggiare nel tempo, nella storia, rappresenta una sorta di mobilità temporale e penso che dopo tutti i secoli in cui molti artisti hanno viaggiato nello spazio e nella geografia, è affascinante partire dal principio della mobilità nel tempo e non congelare i propri riferimenti nel ventesimo secolo, ma a volte anche a una distanza maggiormente remota nelle epoche. Per quanto riguarda Galileo, ho rilevato un suo modello di stelle, che ho trovato in una pubblicazione del Consiglio Pontificio della Cultura in Vaticano quando sono stato invitato con altri artisti per un incontro con il Papa nella Cappella Sistina, due anni fa. C’era questo libretto e nel disegno, che è stato fatto a mano, ci ho colto come una fragilità. L’elemento appassionante sta nella riabilitazione di Galileo da parte del Vaticano, vale a dire la rivoluzione rappresentata dal fatto che Galileo sia stato ristampato dopo essere stato cacciato dal Vaticano, quindi è stato prodotto anche un notevole salto temporale grazie al quale Galileo riappare nella contemporaneità. Da queste premesse, il mio lavoro è stato quello di creare un oggetto contemporaneo rifacendomi a un vecchio documento, donandogli una rappresentazione fisica. Mi sono occupato di mettere in evidenza una testimonianza del passato, come la luce delle stelle che impiega un tempo molto lungo per raggiungere i nostri occhi. Allo stesso modo la luce di Galileo ci ha messo un tempo molto lungo per arrivare agli occhi del Vaticano!

Qual è la storia di Nomiya?


Il Palais de Tokyo a Parigi mi ha chiesto di prendere in considerazione un progetto per il tetto, un partner privato che ha finanziato l’intero assetto progettuale. Nomiya è un’architettura di vetro molto cinematografica con all’interno un tavolo per 12 persone per le quali rinomati chef realizzavano piatti sopraffini. Il progetto doveva inizialmente avere la durata di un anno, ma è stato un tale successo che é continuato per un successivo anno. Questa esperienza  è terminata due settimane fa, si trattava infatti di un progetto effimero, a scadenza. Devo ammettere che era una specie di sogno, localizzato in uno dei posti più belli al mondo, davanti alla Tour Eiffel. Il fatto che ci fossero solo dodici posti a sedere lo ha resto estremamente invidiato, il mondo intero ha voluto cenare là. Era una condizione molto particolare.

Sei stato residente come artista a Villa Medici, che sensazione ti ha lasciato il luogo dove hanno abitato artisti del calibro di Balthus e Ingres?


La mia permanenza presso la Villa Medici si è verificata quando avevo 32 anni, nel 2004. Penso che sia un posto per persone che godono già di una carriera stabile, perché per un artista che deve ancora costruire il proprio lavoro, è necessario potersi avvalere di una produzione, di un contesto. Ovvero, l’arte non è più un mestiere da bottega, le nostre esigenze in quanto artisti oggi sono lo spazio e il tempo. Soprattutto, il fare arte prende in grande considerazione l’appoggio di gruppi di produzione: io ho fatto dei film con direttori della fotografia; lavoro molto creando dei collegamenti.

La mia esperienza in Villa è stata interessante, perché sono stato qui per due progetti, portandone a termine uno su due: nel primo il mio desiderio stava nel realizzare un video di un set abbandonato a Cinecittà. L’idea mi è riuscita, infatti ho girato sul set di Gangs of New York di Scorsese. L’altro era il progetto con il Vaticano, per il quale non sono riuscito ad avere i permessi.

Mentre ci sono state persone all’interno della Villa che hanno contribuito alla buona riuscita del progetto del film, la struttura di Villa Medici in sé non è attrezzata per questo, non è in grado di accogliere gli artisti con le loro necessità. Credo si sia evoluta da allora, ci sono artisti di cui apprezzo il lavoro tra i residenti, ma è una situazione particolare perché Roma, va da sé, non é più come in passato. Penso che bisognerebbe riconsiderare questa posizione, riesaminare ciò che è necessario oggi se un artista vuole apportare alcunché.

E ‘anche tempo per un artista di capire che fare un’opera d ‘arte è una questione di incontri e di contesto intellettuale, tutti elementi che non hanno nulla a che fare con l’essere in un luogo magnifico come Villa Medici.

Cosa ne pensi di Roma?

In questa città vibra un’intensità storica senza pari. Durante la mia permanenza a Roma non sapevo che il mio lavoro sarebbe stato così legato alla storia, ma queste sono cose che sono nate in quel periodo romano e riapparse solo oggi, ed è per questo che sono qui. Oggi ho girato a Bomarzo, che credo sia una meravigliosa creazione del Rinascimento. Ho realizzato delle riprese a Francesco Ruspoli, perché rappresenta l’Italia ed é il depositario di una forma di storia. Mi sono interessato al Vaticano e a Cinecittà, che sono per me i due luoghi simbolici di Roma. Sono i due luoghi della città in cui è più forte l’idea di potere e di simbolo.
 Il Vaticano è un mondo, è un paese in sé, la gente non conosce il Vaticano, ancora pensano che sia collegato al Papa e niente più. Dopo uno studio storico, artistico, sociologico, mi sono reso conto che il Vaticano è un luogo che ha ancora un notevole effetto sul mondo, ben lungi dall’essere semplicemente religioso. La totalità di questi elementi è riapparsa nel mio lavoro più tardi rispetto ad un più ampio sforzo artistico teso a comprendere gli equilibri tra il potere e le forme estetiche che produce.
 Ciò che è stato difficile per me durante il mio soggiorno a Villa Medici, è stato il suo isolamento. Al di fuori di questo, ho conseguito una mostra presso la galleria Spazio Extra, oltre ad avere esposto le mie opere a Palazzo Farnese. Inoltre ho fatto l’incontro di due cari signori romani, che mi hanno aperto le porte: i miei amici Marcello Smarelli e Michele Lostia.
 Durante il mio soggiorno qui ho capito chiaramente che Roma non era a Londra né Berlino né New York in termini di arte contemporanea, ma ci sono stati altre realtà interessanti come il fatto di  rivivere momenti storici diversi.
 Oggi c’è qualcosa da costruire a Roma per l’arte contemporanea in relazione a questo rapporto con la storia, che è una preoccupazione attuale degli artisti.

Sgarbi, curatore del Padiglione italiano a Venezia, ha dichiarato: “Tutta l’arte è contemporanea“. Sei d’accordo con questa posizione?
 

Potrebbe essere intesa come un commento in risposta a una situazione ostile nei confronti dell’arte contemporanea, è un’allusione pacificatrice per spiegare alla gente che odia l’arte contemporanea che non è il caso. L’arte ha avuto diverse funzioni in relazione ai periodi storici, la prima funzione era quella di creare un’immagine mitologica. Oggi la funzione dell’arte è in continua evoluzione. Ciò che collega l’arte antica a quella contemporanea non è poi così interessante. L’elemento affascinante nella storia dell’arte è la capacità di creare l’illusione di viaggiare nel tempo. In mostra a Napoli, vi mostrerò un lavoro chiamato “Studies into the Past – Studi nel Passato” che utilizza le tecniche del passato per creare un momento vertiginoso, che dà l’illusione di un oggetto concepito in un momento storico lontano nel tempo. Con la collaborazione dei restauratori che lavorano presso il Louvre  mi sono basato su un’idea scientifica, creando l’illusione di essere di fronte a un dipinto del XVI secolo che riprende dettagli del mio lavoro contemporaneo. Così vediamo il polline immerso in un setting fiammingo primitivo. Con quest’opera voglio creare un falso ricordo storico, l’illusione che io possa essere ispirato da questa pittura in realtà contemporanea, per andare in viaggio nel passato e per aggiungere qualcosa a questa storia.

Se ho ben capito hai concepito l’opera “Studies into the Past – Studi nel passato” dopo “Polair”, ma si vuole dare l’impressione che il primo sia stato di ispirazione per il secondo? 
 


Ci sono domande nell’arte che cambiano in base al tempo che passa, è bene avere una visione dell’arte che aiuti a comprendere meglio il mondo. Mi piace disturbare lo spettatore, per creare questo tipo di esitazione. Penso che tutto ciò che ci circonda sia troppo chiaro, i generali veicolati del marketing, dalla politica, dal cinema e dallo spettacolo sono assai poveri.
 Cosa c’è di meglio, per regalare energia alle persone che cercare di eseguire opere che non capiamo subito, che siano complesse? La mia arte si permette di parlare della complessità del mondo a partire da messaggi stupidi e molto chiari. Il messaggio politico odierno è abbastanza idiota. La politica oggi è semplicistica, il ruolo dell’arte ha la responsabilità di restituire la complessità perché il mondo non è  una cosa semplice.

Hai vinto il Prix Marcel Duchamp, nato su iniziativa dell’Associazione Internazionale per la diffusione dell’arte francese. Dopo qualche tempo hai esposto le tue opere alla Biennale di Sharjiah. Qual è il ruolo del Medio Oriente nel mercato contemporaneo?


Ho realizzato diversi progetti in Marocco, dopodiché sono stato invitato alle Notti Bianche di Gaza, in Palestina. La persona che mi ha invitato ha domandato un testo che illustrasse il mio lavoro a  Jacques Persekian, che era il direttore artistico della Biennale di Sharjiah, le cose poi si sono evolute nel modo migliore fino alla mia partecipazione a Sharjiah. Il premio in sé è una bella soddisfazione, ma è illusorio che possa forgiare il successo di un artista: la creatività è una somma di incontri di viaggi.
Purtroppo non è sufficiente un premio, se non si può invitare la gente a venire a vedere questo premio. Ho capito molto presto, sin dai tempi degli studi presso l’Ecole des Beaux Arts che il pubblico non necessariamente veniva a vedere Parigi e gli artisti in città. Quindi sono andato a trovare il pubblico io stesso, viaggiando sempre molto.


Che cosa c’è nei tuoi progetti futuri?

In questo momento le mie opere si trovano anche all’Hirshhorn Museum di Washington. Prossimamente sarò alla Biennale di Venezia nel Padiglione francese e ad Art Basel. In cantiere anche il Jeu de Paume a Parigi a maggio 2012 tra gli altri.

a cura di eleonora galasso

Dal 13 maggio al 21 giugno 2011
Laurent Grasso – 1610
Alfonso Artiaco Gallery, Project Space
Piazza dei Martiri, 58 cap.80121 Napoli 
orario: da lunedì al sabato dalle 10 alle 20
ingresso libero
info: www.alfonsoartiaco.com    tel. 081/4976072

[exibart]

2 Commenti

  1. L’idea di intrappolare il “tempo” in un viaggio, è come dire imprigionare l’aria nelle
    mani.

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