22 novembre 2012

STUDIO VISIT La geografia sentimentale di Giovanni Ozzola

 
Stampe fotografiche, lastre di ardesia e pezzi di barche popolano l'ambiente dove lavora il giovane artista toscano, visitato a volte, e messo a soqquadro, dal figlio Leone. Ozzola ha da poco intrapreso un'altra avventura artistica dove il tema della rotta è centrale. Quasi sempre marina, ma anche interiore…

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Nella prima periferia di Prato, in una sorta di cortile che riunisce edifici e depositi industriali di dimensioni non eccessiva, una saracinesca custodisce il mondo di Giovanni Ozzola (Firenze, 1982), composto da immagini che evocano momenti e luoghi, luci e atmosfere, attese ed armonie. L’ultima volta che ci siamo incontrati era la scorsa primavera, dovevamo discutere di progetti diversi, dalla collettiva dedicata all’atmosfera del meriggio nella villa di Carignano, a due passi da Lucca, a Genealogia nella galleria Fuori Campo a Siena, dove Ozzola ha scelto come figura di riferimento della generazione precedente Remo Salvadori, con il quale realizzerà poi un’opera a quattro mani, dedicata al ceramista Roberto Cerbai, il compianto compagno di Pierluigi Tazzi.

Giovanni mi accoglie con il suo sorriso aperto, sempre pronto all’ascolto per trasformarlo in esperienza. Lo studio è affollato di opere, soprattutto stampe fotografiche di formati diversi, ma anche sculture ed oggetti tridimensionali, come alcune campane provenienti da navi naufragate, che Giovanni sta raccogliendo da qualche tempo. La parete in fondo è occupata da un grande lavoro a parete, composto da una serie di lastre di ardesia con segni incisi che corrispondono alle rotte degli esploratori, esposto  nella personale a Bari per l’inaugurazione della nuova galleria Doppelgaenger. «Mi interessa interpretare la geografia come un percorso all’interno di se stessi, dove ogni itinerario corrisponde ad una tappa della nostra evoluzione come esseri umani», racconta e mi mostra Il cammino dell’uomo, un piccolo libro del filosofo austriaco Martin Buber, dedicato alla consapevolezza. «È necessaria nell’evoluzione del mio lavoro», aggiunge, mentre si avvicina ad una scultura composta da una base di ardesia dove sono appoggiate quattro sfere in ceramica di dimensioni e colori diversi. Una è rivestita di pigmento blu, ed ha attratto l’attenzione di Leone, il più che vivace figlio di Giovanni che non ha ancora compiuto due anni. «Ha passato tutto il pomeriggio con me, e il colore della sfera lo ha conquistato. Come vedi ha sparso il pigmento ovunque».

Parla dell’episodio con naturalezza, senza enfatizzare la natura auratica dell’arte, ma al contrario la immagina sempre inserita nella realtà, capace di suscitare emozioni immediate, al di là dei contenuti concettuali. «Queste sfere sono state realizzate con lo stampo di Roberto Cerbai, simboleggiano Marte e Venere, i pianeti che influenzano le nostre esistenze. Voglio illuminarle con un faro, in modo che possano proiettare le loro ombre sulle pareti». La struttura dell’opera è la stessa di Grounded Universe, la scultura presentata al secondo piano della galleria Doppelgaenger, concepita dall’artista come una sorta di antologica che riuniva la sua intera produzione recente. Produzione che si concentra sempre di più sulla capacità di cogliere l’atmosfera di un attimo fuggente attraverso scatti fotografici giocati su forti contrasti tra chiaro e scuro, luce e oscurità. Fino a cogliere il momento preciso dell’apparizione del mondo in un’alba sul mare, dove i primissimi e timidi raggi di sole rivelano il profilo scuro di uno scoglio. In realtà le fotografie di Ozzola si focalizzano sulla dimensione epifanica e rivelatrice dell’arte, strutturata intorno ad un soggetto apparentemente semplice, quasi essenziale, in grado di evocare altre immagini e suscitare emozioni intime.

Parliamo di progetti comuni, e mi viene in mente di proporre a Giovanni una mostra in un luogo simbolico legato alla geografia intesa come itinerario culturale di conoscenza. Penso alla sede della Società Geografica Italiana, il casino Mattei nel cuore di villa Celimontana a Roma, fondata nel 1867, che potrebbe ospitare le sue opere recenti in un contesto storico eccezionale e ancora poco conosciuto dal pubblico dell’arte contemporanea. Giovanni accetta la proposta con entusiasmo, mentre un raggio di sole illumina una delle lastre di ardesia con la rotta di Vespucci verso l’America del Nord. «Ogni persona si muove lungo la propria rotta», conclude con fiduciosa saggezza Ozzola, comportamento inaspettato per la sua età. Ma è una fiducia ben riposta, perché la mostra alla SGI la faremo sul serio, nelle prestigiose sale dell’edificio cinquecentesco, dove la geografia sentimentale di Giovanni Ozzola potrà trovare la sua cornice ideale.

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 80. Te l’eri perso? Abbonati!

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