20 dicembre 2012

TALENT ZOOM Tony Fiorentino

 
Chi è: Tony Fiorentino. Luogo e data di nascita: Barletta, 1987. Vive e lavora a: Milano. Formazione: Accademia di Belle Arti di Carrara. Gallerie di riferimento: Nessuna…

di

Tony Fiorentino segue per lungo tempo un cieco che si muove per le strade di Londra e ne registra quotidianità, disagio, illuminazioni e spericolatezze. Incontra un vecchio signore, gli racconta il suo segreto e poi prosegue, lasciando dietro di sé perplessità. Gioca con il baratto, a sovversione delle regole monetarie, offrendo per una settimana le sue competenze in cambio di un oggetto non deperibile. Il suo lavoro potrebbe definirsi come una ricerca che in chiave intima e collettiva analizza il ruolo dell’artista nella società contemporanea.

Dalla Puglia a Carrara dove hai fatto l’Accademia, da subito la voglia di fondare uno spazio autogestito nel quale sperimentare nuove opportunità.

«Ed è stata un’esperienza interessante e poliedrica per il ventaglio di attività che si svolgeva al suo interno come mostre, meeting, screening. Cercavamo di sostenere i giovani artisti emergenti, portare nella capitale del marmo la contemporaneità di autori provenienti da diverse parti del mondo».

Italia, Grecia, Olanda, Inghilterra e ancora Italia. 25 anni e già un nomadismo che ti caratterizza.

«Ho vissuto per un anno ad Atene, luogo per cui provavo da sempre una fascinazione, grazie ad una borsa di studio che mi ha permesso di frequentare l’Anotati Skoli Kalon Tecknon. In seguito mi sono trasferito in Olanda per lavorare con Giorgio Andreotta Calò alla Rijksakademie, è stata una collaborazione che mi ha permesso di imparare molto. A inizio 2011 sono invece partito per Londra con lo scopo di seguire un workshop alla Tate e alla fine ho deciso di trasferirmici perché sentivo l’esigenza di vivere in un “luogo calamita” per l’arte contemporanea. Parto sempre con la curiosità di vedere cosa fa il mondo lontano da casa».

Perché sei tornato in Italia, dove vivi e come ti mantieni?

«Questi tre anni e mezzo all’estero mi hanno arricchito molto, ma ho sentito l’esigenza di tornare per dedicarmi a un lavoro d’introspezione e ricerca. Al momento vivo a Milano e per mantenermi dò lezioni private di pittura e scultura».

Qual è stato l’incontro più significativo per la tua formazione?

«L’incontro con Giorgio Andreotta Calò con il quale è nata una grande amicizia e stima».

Il lavoro insieme ad altri artisti è stata un’esperienza significativa?

«Durante la Biennale di Carrara del 2010, curata da Fabio Cavallucci, ho avuto l’occasione di seguire da vicino – come assistente – il lavoro di Andreotta Calò, quello di Rossella Biscotti, di Kevin Van Braak, Ohad Meromi e Huma Bhabha. Da loro ho ricevuto stimoli, spunti e lezioni di professionalità che hanno fatto di quel periodo un momento decisivo nella mia formazione».

C’è stato un accadimento, un incontro così intenso da farti cambiare il modo di guardare le cose?

«Atene 2009. Un intero anno vissuto nel pieno della “guerra civile”. Ricordo l’odore e il prurito dei lacrimogeni negli occhi, i colori di negozi e macchine carbonizzate. Era una vera e propria guerra con atti violenti da parte delle forze dell’ordine. Questa esperienza ha segnato in maniera decisiva la visione del mondo in cui vivevo».

Tra i progetti o le collaborazioni vissute, quali ti hanno dato maggior soddisfazione?

«Il video realizzato quest’anno in occasione della mostra Sotto la strada, la spiaggia alla Fondazione Sandretto di Torino dove ho collaborato con una cantante francese e un regista spagnolo. Era la prima volta che mi cimentavo con un mezzo espressivo come il video e il risultato è stato per me molto positivo».

Ci sono dei media o degli strumenti espressivi che prediligi o che si ripetono nel tuo lavoro?

«La scultura e l’installazione, ma negli ultimi anni mi sono concentrato sul gesto e l’azione in luoghi non deputati all’arte. Spesso utilizzo la polaroid per fermare una determinata azione, altre volte invece credo non sia necessario documentare l’opera per il timore di perdere la sua immediatezza».

C’è un artista o un’opera che ricordi con particolare intensità?

«Sì, un’opera vista solo recentemente: l’installazione site-specific I Sette Palazzi Celesti realizzata da Anselm Kiefer all’Hangar Bicocca a Milano».

Progetti futuri?

«Tanti. Ogni giorno cerco di concentrarmi sul progetto più vicino».

La tua ambizione più grande?

«Realizzare il mio mausoleo interamente scolpito da un blocco di pietra lunare».

Hai mai paura di fare quello che fai?

«Per niente, piuttosto ho paura di quello che non riesco a fare per ragioni di tempo».

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui