20 settembre 2004

Buon Compleanno, Mario

 
I monocromi, i loghi celebri, la scritta della Coca Cola e quella della Esso, i paesaggi anemici, il cinema underground, la musa televisiva. Il venti settembre di settant’anni fa nasceva Mario Schifano. Noi ve lo raccontiamo così…

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Oggi, 20 settembre, Mario Schifano compirebbe settant’anni. Un omaggio all’artista romano d’adozione (pochi sanno infatti che è nato ad Homs, in Libia) è quindi doveroso, e non può che partire dall’inizio della sua carriera, nei primissimi anni Sessanta. La volontà di Schifano è quella di “azzerare” il gran bailamme informale, stimolato sia dalle precedenti esperienze novorealiste di Piero Manzoni che dal New Dada di Robert Rauschenberg e Jasper Johns, ma anche da un grande “apartitico” come Fabio Mauri: Schifano opta quindi per una rigida monocromia, tuttavia “informalmente” sciolta e libera per via delle pennellate non uniformi e della carta da pacchi che increspa e movimenta la monotonia cromatica.
Si passa poi ad una fase di confronto con la parallela Pop Art americana, quindi alle celebri serie dei loghi, Coca Cola ed Esso su tutte, in cui il confronto con l’esperienza di Andy Warhol si fa evidente. Queste opere di Schifano, così come i monocromi precedenti, possono essere lette come rappresentazioni di schermi: vi è infatti sempre una sorta di mediazione pittorica, le immagini sono come tratte dalla vita reale, dalle pubblicità che si vedono per strada quotidianamente. Nel 1964, il tanto atteso viaggio in America: la delusione è grande, Schifano salva solo Warhol, mentre reputa gli altri artisti Pop troppo commerciali. Al ritorno, è la ricerca delle radici italiane a caratterizzare il suo lavoro, un atteggiamento simile a quello dei suoi amici della Scuola di Piazza del Popolo, Tano Festa e soprattutto Franco Angeli: tra tutte le serie del periodo va ricordata quella famosa dal titolo Futurismo rivisitato, dove viene ripresa non un’opera futurista, ma una celebre fotografia parigina di Martinetti e compagni.
mario schifano Aut-Aut, smalto su carta intelata, 1960, 150x170
Del resto da qui prende forma la ricerca di Schifano da un punto di vista tecnologico, che non sarà mai abbandonata dall’artista fino alla fine: l’utilizzo del supporto fotografico si fa ora sfrontato, fino alla scelta di abbandonare momentaneamente pennelli e colori per darsi alla regia cinematografica. Nascono corti e lungometraggi di grande spessore, troppo spesso dimenticati (da ricordare quantomeno Umano non Umano, del 1968, che partecipa al Festival di Venezia), arricchiti da partecipazioni importanti quali quelle di Alberto Moravia, dei Rolling Stones e di tanti altri.
E’ di questo periodo anche l’esperienza di mentore, sulla falsariga dei Velvet Underground di Warhol, del gruppo progressive-rock Le Stelle di Mario Schifano, che accompagna dal vivo le proiezioni dei film dell’artista romano.
Dagli anni Settanta il ritorno alla pittura è strettamente legato ad una ricerca di tipo tecnologico e soprattutto massmediatico, con l’oggetto televisivo protagonista delle ricerche dell’artista il quale, ispirandosi forse a Fluxus e in particolare ai lavori di Nam June Paik, presenta un metalinguaggio costituito da diversi passaggi: l’immagine viene spesso fotografata direttamente dallo schermo televisivo, e poi ripassata pittoricamente. Schifano lavora instancabilmente: nascono migliaia di opere, la quantità talvolta esubera la qualità. Negli anni Novanta la grande ripresa, grazie al rapporto con il computer ed internet: la grande mostra del 1990 con la quale viene inaugurato il restaurato Palazzo delle Esposizioni romano, intitolata Divulgare, è la sintesi di tutto il discorso che Schifano porta avanti. La morte giunge, improvvisa, subito dopo un evento artistico realizzato tra le favelas di Rio, e durante lo studio per una serie dedicata al popolo palestinese, come se Schifano si fosse improvvisamente reso conto che i “non luoghi” tanto ricercati tramite il filtro televisivo e ipertecnologico esistano, purtroppo, anche nel mondo reale. Resta il grande ricordo di un personaggio tout court, amato e stracopiato, capace di stravolgere l’approccio artistico di buona parte della cultura italiana e non: buon compleanno, Maestro.

fabio spaterna

mario schifano Hardware park, smalto e acrilico su tela, 190x300
Ricordando Mario


I ricordi che ho di Mario Schifano sono principalmente quelli da bambino o da adolescente, quando mi capitava qualche volta di andarlo a trovare insieme a mio padre, che ha collaborato per molti anni con lui come fotografo. Ricordo il grande e labirintico studio di via della Mantellate, l’odore di nitro, i suoi stivali da cowboy, i televisori sempre accesi su canali diversi, le sue mani sporche di colore. Tutto veniva coinvolto e assorbito nel suo mondo, la quantità di oggetti contaminati dalla pittura era incredibile: piccole foto 10×15, un tavolo, un ritaglio di giornale, un televisore.
Credo che Mario avesse l’esigenza fisica e continua della pittura, che per lui sembrava essere il più quotidiano e normale dei gesti. Nelle occasioni in cui mi è capitato di vederlo all’opera, specialmente da ragazzino, ero affascinato e meravigliato dal vortice dei colori, dallo strizzare il tubetto direttamente sulla tela e poi dipingere, con una naturalezza sorprendente.
A quei tempi non immaginavo che un giorno anche io mi sarei trovato nel mondo dell’arte, ma ricordo qualche chiacchierata con lui su quelle che erano le mie passioni dell’epoca come i graffiti, e le sue mille domande a riguardo.
Era un artista vero, pittore nell’animo, instancabile curioso di tutto. Ogni nuovo mezzo lo stimolava e voleva immediatamente sperimentarlo, renderlo vivo attraverso la pittura. Ed è per questo la sua ricerca resta oggi un grande punto di riferimento, anche per le nuove generazioni.

alessandro gianvenuti


Chi era il “puma”
“Un piccolo puma, di cui non si sospetta la muscolatura e lo scatto”. Di lui, diceva così lo scrittore Goffredo Parise tratteggiando un’immagine vivida, difficile da dimenticare. E qualcosa di felino, Mario Schifano ce lo aveva davvero: un fascino tanto magnetico, quanto capriccioso, inafferrabile, controverso, totale. Nasce a Homs in Libia il 20 settembre del 1934, ma ancora bambino fa ritorno in Italia con la famiglia. È una mostra alla Galleria La Salita di Roma a segnare l’inizio del suo successo artistico. E’ il 1960 e Schifano espone con Angeli, Festa, Lo Savio e Uncini. Dai quadri monocromi, ai grandi loghi (frammenti di scritte come quelle della “Esso” o della “Coca Cola”), ai paesaggi anemici, alla rivisitazione del Futurismo, fino alle immagini video riportate direttamente su tela emulsionata: sempre e comunque pittura, declinata, contaminata, reinterpretata continuamente attraverso i nuovi media. Tra i protagonisti dell’intensa stagione della Pop Art Romana, artista mediale ante litteram: difficile riassumere la carriera di Schifano, una parabola segnata dalle luci del successo e dalle ombre della dipendenza dalle droghe.
Nel ’62 Schifano è negli Stati Uniti; nel ’67 presenta a Milano il lungometraggio Anna Carini vista in agosto dalle farfalle, nei due anni successivi lavora alla trilogia di film Satellite, Umano non umano, Trapianto consunzione e morte di Franco Brocani. Tra il ’70 e l’80 è invitato ad una serie di importanti rassegne; partecipa alla Biennale di Venezia nel ’78, nell’82, nell’84. Proprio negli anni Ottanta riscopre una pittura pura, complice il fascino corposo del colore dato direttamente sulla tela dal tubetto; nel ‘96 lavora ad un gruppo di tele (circa 40) che sono un suo omaggio alla televisione, da sempre chiamata Musa ausiliaria. Il 26 gennaio del 1998 muore a Roma.



1 commento

  1. Auguri mio caro maestro!
    Parlo spesso di te con un tuo vecchio amico gallerista! Mario Schifano il genio dell’eccesso!

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