-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
Dal 24 settembre 2025 all’11 gennaio 2026, Palazzo Reale di Milano ospiterà Man Ray. Forme di luce, un’ampia mostra che ci farà riscoprire uno degli artisti più eclettici e influenti del Novecento. Curata da Pierre‑Yves Butzbach e Robert Rocca, realizzata in collaborazione con Silvana Editoriale, l’esposizione si inserisce nel contesto della Cortina–Milano 2026 Cultural Olympiad, il programma che collega arte e sport in vista delle Olimpiadi invernali. Il titolo riprende una delle idee costantemente perseguita da Man Ray, quella della luce come materia espressiva, simbolica e poetica. Le sue opere si nutrivano di contrasti, di riflessi e opacità, dissolvendo i confini tra fotografia e pittura, immagine e oggetto.
In mostra circa 300 opere tra fotografie vintage, disegni, oggetti, rayografie, solarizzazioni, film sperimentali, ready-made e documenti provenienti da importanti collezioni pubbliche e private. Con capolavori come Le Violon d’Ingres o Noire et blanche, e poi nudi e ritratti iconici di artisti, intellettuali e muse come Kiki de Montparnasse, Lee Miller, Meret Oppenheim, e con una rassegna completa dei film d’avanguardia da lui realizzati tra gli anni ’20 e ’30, la selezione ripercorrerà tutta la parabola creativa dell’artista: dagli esordi newyorkesi al trasferimento a Parigi, dalla stagione dadaista e surrealista fino alle collaborazioni con la moda.
In attesa della mostra a Palazzo Reale di Milano, ecco cinque cose da sapere su Man Ray.

Man Ray non è il suo vero nome
Nato a Philadelphia nel 1890 da una famiglia di immigrati ebrei russi, il suo nome all’anagrafe era Emmanuel Radnitzky. Cresciuto a New York, abbandonò gli studi in architettura per dedicarsi all’arte. Fu autodidatta in fotografia, appassionato di pittura e innovatore instancabile. Scelse di chiamarsi Man Ray – unione tra “uomo” e “raggio di luce” – per sottolineare la sua ricerca sulla luce e sul visibile, trasformando il proprio nome in un manifesto poetico.
Fu legato alle Avanguardie europee e americane
Dopo aver fondato insieme a Marcel Duchamp il Dada newyorkese – con lui produsse opere iconiche come Dust e altri esperimenti dadaisti -, si trasferì a Parigi nel 1921, entrando in contatto con Breton, Éluard, Aragon e altri surrealisti. Collaborò con Kiki de Montparnasse e Lee Miller, musa e fotografa con cui inventò la solarizzazione. Frequentò artisti come Picasso, Cocteau e Oppenheim, fondendo fotografia, poesia e concettualismo.

Rivoluzionò la fotografia, senza usare la macchina fotografica
Nel suo studio parigino, Man Ray iniziò a realizzare immagini senza fotocamera, poggiando oggetti su carta fotosensibile e lasciandoli impressionare dalla luce. Il risultato? Composizioni astratte e poetiche battezzate rayographs o rayografie, celebri simboli dell’avanguardia surrealista. Il termine fu coniato da Tristan Tzara, fondatore del Dadaismo.
Lavorò anche per la moda e la pubblicità
Negli anni Trenta, Man Ray rivoluzionò la fotografia di moda con il suo linguaggio visivo visionario e spesso ironico. Collaborò con Chanel, Schiaparelli, Poiret, pubblicando su Vogue e Vanity Fair. Le sue immagini sovvertono le regole dello stile classico e anticipano la fotografia pubblicitaria contemporanea.

Fu anche regista, scultore, provocatore
Poliedrico per natura, Man Ray realizzò cortometraggi sperimentali come Le Retour à la raison e L’Étoile de mer, disegnò oggetti onirici e mise in discussione l’unicità dell’opera d’arte attraverso ready-made provocatori come il celebre Cadeau, un ferro da stiro con chiodi. La sua indifferenza alle etichette e la sua fede nell’assurdo ne fanno un punto di riferimento ancora attualissimo. Morì a Parigi il 18 novembre del 1976, l’epitaffio sulla sua tomba al cimitero di Montparnasse recita: «Noncurante, ma non indifferente».














