15 maggio 2012

Col tempo e nello spazio: Ettore Favini

 
Un artista che sfugge al controllo e vuole dare forma al tempo, in uno spazio a misura d'uomo che propone un rapporto efficace e indipendente tra produzione e arte, con una rete di connessioni flessibili. Marsèlleria è tutto questo, risultato eccellente di una politica aziendale rivolta alla creatività. Un'altra bella novità sotto il cielo di Milano

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Marsèll sul Brenta è un marchio italiano di calzature. Marsellèria a Milano è uno spazio d’arte che si apre alle diverse discipline del contemporaneo. Diretto dal 2009 da Mirko Rizzi, responsabile del marketing e della comunicazione dell’azienda, questo spazio che nasce come showroom sta diventando uno dei luoghi vitali dell’arte made in Milano. Marsèlleria sembra così confermare la tradizione che vede nel rapporto tra produzione e arte, tra moda e creatività, alcune fra le piattaforme culturali più qualificate nella vita milanese e italiana. Una tradizione nella quale Marsèlleria Permanent Exhibition si inserisce secondo una progettualità minuta, quasi understatement e proprio per questo efficace.

La sede in Via Paullo 12/A è uno spazio sobrio, volutamente esente da effetti archistar e arti-star che si sviluppa su due piani confortevoli alla dimensione umana. Situato all’interno di un cortile tipicamente milanese, si localizza nell’area che accoglie anche la Fondazione Prada e che circonda la bellissima ma mai abbastanza valorizzata Rotonda della Besana. Le sue attività, senza espliciti riferimenti al brand aziendale, si muovono con un atteggiamento libero e positivamente leggero, aperto alla multidisciplinarietà e all’operato delle generazioni più giovani che trovano in questi spazi la misura adeguata per una sperimentazione autonoma e efficace. Quattro o cinque appuntamenti per anno che hanno visto la partecipazione di musicisti, registi, scrittori e soprattutto artisti visivi, accanto alla presentazione di riviste, film e attività no profit. Collaborazioni economicamente supportate senza alcun obbligo da parte degli artisti coinvolti, in continuità con un modello che, su scale e obiettivi diversi, è stato avviato sempre a Milano della Fondazione Nicola Trussardi. Un micro sistema quello di Marsèlleria, esente da prestigiose prestazioni istituzionali o curatoriali e simile, per flessibilità, alla navigazione del suo sito (http://www.marselleria.com). Marsèlleria dunque come una rete di relazioni che poggia su un atteggiamento attivato da passioni, curiosità e conoscenze personali.

Recentemente per Marsèlleria Permanent Exhibition anche l’avvio di un nuovo link collaborativo con ALTOFRAGILE, la società di servizi per l’arte contemporanea attiva dal 2004 e fondata da Giulia Mainetti, Lapo Gavioli e Francesco Rovaldi a Milano. Un gruppo di persone formato all’interno delle gallerie Massimo De Carlo, Lia Rumma e Studio De Carlo che ha ideato una struttura per il supporto tecnico e comunicativo alle attività di fondazioni, musei, gallerie, collezionisti, artisti e curatori. Per Marsèlleria il link prevede l’attività di supervisione dell’ufficio stampa e comunicazione da parte di Federica Cimatti, già attiva nel campo dell’editoria. Link inedito in una Milano abituata a fare e disfare quasi in segreto.

Tra gli appuntamenti di Marsèlleria Permanent Exhibition, suddivisi tra mostre e performances cui si sommano eventi in link, martedì 8 maggio si è aperta una mostra da tempo attesa, quella di Ettore Favini.

Cremonese, classe 1974, vincitore di numerosi premi nazionali e internazionali, dopo le recenti mostre personali nel 2010 a Ravenna e nel 2011 a Bergamo, Ettore Favini si presenta negli spazi di Marsèlleria con un progetto site specific preparato nel corso di un anno. Un insieme di opere che nascono dalla volontà poetica di dare forma al tempo attraverso la codificazione per punti del moto apparente del sole. Una traccia puntiforme – registrata e descritta dall’antichità con il ribaltamento verticale del simbolo matematico che descrive l’infinito – che è chiave simbolica ed espressiva di tutta la mostra. SunRa, questo il suo titolo, è una densa esperienza di narrazione e manipolazione di materia e idee, secondo quella pratica che da sempre caratterizza il lavoro di Favini: legni e fotografie bruciati dal sole mediante lenti che ne attraggono l’energia, macchine che registrano il movimento della stella e ne proiettano la luce sulle pareti interne dello spazio, simboli puntiformi registrati con apparecchiature ottiche e riprodotti su tessuti da vela o sulle pareti interne e bianche. Opere che si misurano nello spazio sommandosi ad altre composte da azioni referenziali, come la citazione di Bruno Munari che apre il testo della mostra “Nella nebbia il sole diventa bianco, sembra un buco nel cielo grigio”, la dedica al musicista SunRa sulla tela virata ed esposta nella prima sala e infine l’azione dedicata a Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969 di Alighiero Boetti. Forse questa la parte della mostra che più testimonia un tempo di cui l’arte può essere forma e memoria e permette a Ettore Favini di sfuggire ancora una volta al controllo di sistema facendo vibrare il suo cursore tra passato e futuro, tra manipolazione e riflessione.

Così, ribelle a ogni fair play stilistico il suo lavoro si dispone dentro lo spazio di Marsèlleria con un procedimento quasi osmotico, irriverente alla forma delle cose ma sensibile al disegno delle stelle e dell’arte. Segnale di qualcosa che sta succedendo dentro il farsi della quotidianità, dentro le relazioni, i link e i riferimenti che traducono un cambiamento in corso nella pratica dell’arte ma anche nella geografia degli spazi milanesi.

L’uomo che prende il sole a Milano l’8 maggio del 2012 è l’azione di Ettore Favini che è stata consumata nella spremitura di 60 kg di arance, ma è anche l’auspicio che lo spirito leggero e indipendente di Marsèlleria duri nel tempo, qualunque sia la scala dei progetti futuri di Marsèll.

2 Commenti

  1. Scrivo quì il commento in cui mi tolgono il nome sul blog di elena bordignon, metodi bulgari:

    Mostra anche per me didattica e di un manierismo elementare. Non capisco a cosa serva questa ossessione rispetto al movimento del sole. E in ogni caso dalla formalizzazione delle opere tutta questa ossessione (come l’attesa, o l’epifania) non compare. Io credo che una contesto critico più rigoroso avrebbe potuto indurre l’artista (anni fà) ad una maggiore efficacia sia concettuale che formale. Senza dimenticare che la forma diventa concetto e contenuto. Queste mostre sempre nei luoghi “gggiusti” avvengono solo per via delle relazioni gggiuste. In italia non c’è alcuna capacità critica che vada oltre lo scegliere un certo manierismo standard. E’ un vero peccato perchè artisti come Favini sarebbero potuti crescere molto di più. E invece si confonde l’amicizia con la critica delle opere, si sorseggia aperitivo, si mangiano arance e ci si fa complimenti a vicenda. E alla fine si sprecano occasioni.

  2. Luca Rossi,incontestabilmente ogni giorno di più ti riconfermi una gran testa.E naturalmente vien da pensare-e temere!-,
    che sarebbe l’arte italiana privata della tua dotta lezione quotidiana?

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