16 maggio 2021

Dalla parte del drago #10 – Nomi d’arte

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Il nome d’arte fa scomparire il resto, e con quello si viene ricordati al mondo: da Rosso Fiorentino a Sodoma, passando per Inganni e Banksy: ecco le origini più divertenti delle identità "non-anagrafiche" degli artisti

Bansky, Sweep it Under the Carpet, 2006, Murale rimosso a Chalk Farm Road, Londra

Più di una firma, più di un cognome. Il nome d’arte interviene e fa scomparire il resto, e con quello si verrà ricordati al mondo. Le casistiche sono varie: qualcuno se lo prende dal paese di provenienza, qualcun altro per una certa specifica caratteristica; alcuni sono riferiti alle famiglie, altri sono vere e proprie cattiverie. Del nome di battesimo di fatto poi ci si dimentica e a pronunciarlo qualcuno di ben noto risulta sconosciuto. Un facile esempio: Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, chi sarebbe? È Sandro Botticelli. Che aveva un fratello di nome Giovanni, orafo di professione e dunque “battigello”, ovvero colui che batte il metallo.
Ambrogio da Fossano era detto il Bergognone, per quel vezzo tipico milanese di chiamare “borgognoni” i portatori di vino piemontese. Domenico Bigordi divenne invece il Ghirlandaio, che aveva iniziato la carriera cesellando ghirlande d’argento e di metallo per le acconciature delle fanciulle. Come Jacopo Carrucci era nato il Pontormo, che si ritrovò appunto a Pontorme, borgo di Empoli, vicino al ponte sul torrente Orme. E la casa natia è esattamente in via Pontorme 97. Domenico di Jacopo di Pace era comunemente detto il Beccafumi: la sua famiglia contadina era al servizio di Lorenzo Beccafumi, notabile di origine fiorentina che funse da protettore, da cui prese il nome. Arcangelo Salimbeni divenne noto anche come il Cavalier Bevilacqua, dopo che dipinse due opere nella basilica di Perugia che entusiasmarono a tal punto il cardinale da permettergli di chiamarsi con il suo stesso identico cognome. Jacopo Robusti è il Tintoretto, figlio di un tintore di stoffe nella Venezia del Cinquecento, mente Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalí I Domènech abbreviò la questione tenendo solo Dalì come cognome. Andrea d’Agnolo del Migliore Vannucchi aveva come padre un sarto di professione. E quel “del Sarto” all’Andrea gli fu per sempre cucito addosso. Alessandro Bonvicino era detto il Moretto, come il nonno, per la carnagione scura o, forse, per il colore della capigliatura.

Guercino, Paesaggio al chiaro di luna, 1616, Olio su tela, 55×71 cm

E di sicuro non era biondo come il Bronzino, o fulvo come il Rosso fiorentino. Tra le cattiverie c’è quella di Guercino, chiaramente. Che per uno forte spavento smise presto di essere Giovanni Francesco Barbieri e di avere le pupille in posizioni normali. Anche peggio andò forse a Lorenzo Luzzo, che divenne niente di meno che il Morto da Feltre. Feltre era la sua città natale, è del “morto” che poco si capisce. E se per qualcuno lo sgradito soprannome derivava dal carattere e dall’indole malinconica, per altri studiosi sarebbe il risultato del suo vagare in sotterranei di antichi scavi, come la Domus aurea a Roma e Villa Adriana a Tivoli, alla ricerca di grottesche e pitture parietali.

Sodoma, Storie di san Benedetto. Come Benedetto istruisce alla dottrina i contadini, 1505-1508, Affresco

E così grottesco divenne anche il soprannome.
Non tanto bene finì pure Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma, anche se il nomignolo pare non c’entrare con la sodomia e le sue abitudini sessuali, bensì con un intercalare piemontese tipico del suo esprimersi. Potrebbe essere anche uno scherzo ma di certo il Bazzi quel nome lo portò con orgoglio, al punto da mantenerlo per firmarsi. E se il Sodoma si divertiva con il nome, anch’io continuo la sua attitudine. Rocco Zoppo era il nome d’arte di Giovan Maria di Bartolomeo Bacci di Belforte, che era collaboratore di Perugino, esperto in ritratti vari e dipinti di Marie. Ma a me pare non aver fatto molta strada, e sicuramente procedeva a passo stentato. Domenico del Barbiere è il mio preferito, giusto per tagliar corto, ma forse un dipinto lo commissionerei a Francesco Caccianemici, così per andar sul sicuro.

Angelo Inganni, Il laghetto di San Marco, 1835, Olio su tela

Di certo non a Angelo Inganni, pittore locale e vicino di chi scrive, che non promette niente di bene. Per fortuna esiste il soprannome, diceva forse Giulio Romano, al secolo Giulio Pippi. E noi continuiamo a divertirci: Giovanni Bellini beveva cocktail, Vittore Carpaccio mangiava carne, Bramante aveva grandi aspettative, Cima era il genio di Conegliano.

Pitocchetto, Portarolo seduto con cesta a tracolla uova e pollame, 1735, Olio su tela

Il Pitocchetto dipingeva poveri, vagabondi, reietti e contadini, e da questi prese il nome Giacomo Antonio Melchiorre Ceruti. Piuttosto cool doveva essere Joos (Van Wassenhove), grande pittore fiammingo che in Italia fu detto appunto Giusto (di Gand). Constant Troyon, pittore di animali, ebbe la buona idea di non dipingere nudi. E come qualcuno ha già notato, i grandi pittori non hanno nemmeno cognomi: Donatello, Michelangelo, Raffaello, Leonardo, Tiziano e Antonello. Con la grande differenza che gli ultimi due non furono inseriti in nessun fumetto e tartarughe ninja purtroppo non divennero. E pensare che oggi non rivela il vero nome – o l’identità – uno dei più importanti attuali artisti: ma sarà poi alla loro altezza, questo Banksy?

Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle.
IG: dallapartedel_drago

 

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