24 luglio 2023

È morto a 87 anni l’antropologo Marc Augé. A lui si deve la definizione dei “non luoghi”

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Luoghi funzionali, omologati, diffusi in tutto il mondo e accomunati da un'esperienza di vuoto e di un'impossibilità di appropriazione psicologica. Ecco come l'antorpologo francese ha teorizzato e raccontato la società contemporanea

Marc Augé
Marc Augé

Aeroporti, stazioni ferroviarie, centri commerciali, supermercati, parcheggi, stazioni di servizio, impianti sportivi, villaggi turistici, fino ai accoglienza per profughi: la definizione di “non luogo” viene coniata per la prima volta nel saggio del 1992 dal titolo Non-lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité (1992), dando corpo a una sensazione vissuta frequentemente da ognuno di noi all’interno di luoghi attraversati in un lasso temporaneo, una sensazione che ci appartiene ma che al tempo stesso vive della sua stessa omologazione funzionale, dell’impossibilità di una appropriazione psicologica.

A coniare tale termine fu Marc Augé, antropologo, etnologo, scrittore e filosofo francese nato a Poitiers nel 1935 e deceduto nella notte tra il 23 e il 24 luglio all’età di 87 anni. A compiangerlo, tanti del mondo accademico e della cultura. <<Con Augé se ne va un amico e un maestro che ha dato al festivalfilosofia e al suo pubblico, come a tanti pubblici sparsi in tutto il mondo, alcuni insegnamenti dai quali non si torna indietro, come l’idea che le nostre pratiche culturali siano immerse in sistemi simbolici che è indispensabile studiare con gli strumenti dell’antropologia: una disciplina che Augé, grande specialista del terreno africano, ha praticato anche rivolgendo quel particolare tipo di sguardo alle nostre società, nella convinzione che, per essere intelligibili, i processi culturali implichino che nella loro analisi ci rendiamo ‘stranieri a noi stessi>>, si legge in una nota divulgata dal festivalfilosofia che si svolge ogni anno a Modena, Carpi e Sassuolo e di cui Augé partecipava al Comitato scientifico da oltre dieci anni.

Marc Augé ha iniziato la sua carriera passando lunghi periodi di ricerca in Africa – soprattutto in Costa d’Avorio e in Togo – e poi in America Latina. Primi passi che gli diedero modo di studiare e teorizzare gli aspetti più controversi della società contemporanea metropolitana: tra i temi in questione la globalizzazione e la vita delle società multietniche, ma anche la ritualità del quotidiano, fino al paradosso umano dell’incremento della solitudine in un’epoca di intensificazione dei mezzi di comunicazione. Nel mondo accademico è stato directeur d’études presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi, di cui è stato a lungo Presidente. <<La sua vita è stata dedicata allo studio della condizione contemporanea dell’uomo, alla sua solitudine patologica e alla sua ricerca di evasione>>, scrivono da Raffaello Cortina Editore, con cui ha pubblicato le opere Il tempo senza età (2014), Un etnologo al bistrot (2015), Le tre parole che cambiarono il mondo (2016), Momenti di felicità (2017), Chi è dunque l’altro? (2019) e Risuscitato! (2020). Da citare anche Il mestiere dell’antropologo (Bollati Boringhieri, 2007), Il bello della bicicletta (Bollati Boringhieri, 2008), Un etnologo nel metrò (Elèuthera, 2019), L’antropologia del mondo contemporaneo (Elèuthera, 2019).

Marc Augé entrò con delicatezza, coscienza e autoironia anche nella sfera dell’arte contemporanea: memorabile resta la sua partecipazione al lungometraggio Per troppo amore del 2012, girato da Alterazioni Video in Sicilia. Il filosofo, presentandosi in canotta e ciabatte, interpreta il personaggio di un’entità aliena scesa sul pianeta Terra a causa di un guasto della sua navicella spaziale. Un incidente che gli offrirà l’occasione per compiere un viaggio raccontato come una telenovela psichedelica, che lo porterà dal Parco Archeologico dei Siciliani a Giarre fino al Padiglione Italia alla Biennale di Venezia.

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