07 gennaio 2024

Fausta Bonfiglio: memorie di una ceramista in un mondo di maschi

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Abbiamo incontrato l'artista nel suo studio di Milano dove svolge ancora oggi la sua attività. In questa intervista, le memorie di Fausta Bonfiglio raccontano di una vita assieme ai grandi maestri e di un mondo non sempre accogliente nei confronti delle professioniste

Dida per ogni opera: Fausta Bonfiglio, 1976 - 2019, sculture in ceramica smaltata e lustrata, dimensioni variabili. Ph. Tommaso Bazzi

Abbiamo raccolto frammenti dell’affasciante vita di un’artista milanese non allineata, che ha mosso i primi passi nel milieu culturale di Albissola Marina in Liguria di fine anni ‘60, tra Lucio Fontana, Agenore Fabbri e Mario Rossello. Da questi maestri prende spunto per sviluppare una sua poetica personale come ceramista e che tutt’ora, a 82 anni, la vede personaggio attivo e dinamico del quartiere di NoLo a Milano. «Sono arrivata con il mio studio in via Venini a Milano – nella zona che molti oggi chiamano NoLo – nel 1995. All’epoca non c’erano molti creativi qui, e da allora non mi sono più spostata. Lo spazio è ampio e ho avuto da subito la possibilità di dividerlo in due parti: una in cui lavoro, produco e tengo corsi, e un’altra che è dedicata a me stessa. In questo luogo raccolgo una parte dei miei lavori, ma non lo considero un archivio, qualcosa di concluso e passato, bensì come un elemento integrante del mio presente». Così inizia l’intervista con l’artista Fausta Bonfiglio (L’Aquila, 1941). Una vita dedicata all’arte, la sua, sia con attività didattica nella scuola e laboratori creativi per la lavorazione della ceramica; sia con una ricerca personale come scultrice utilizzando proprio la ceramica come medium. Ha partecipato nella sua carriera e diverse mostre collettive e personali, da quella presso la Galleria al Castello nel 1976 fino a quella presso lo Spazio Tadini nel 2015. Le sculture in ceramica di Fausta Bonfiglio colpiscono per la potenza che trasmettono allo spettatore. Il loro implicito dialogo con l’estetica spazialista e minimalista non rinuncia mai a un accento fortemente personale, né alla coerenza formale ed estetica che le caratterizza nel corso degli anni, se non addirittura dei decenni.

Ritratto di Fausta Bonfiglio, 1985 ca. Courtesy: Fausta Bonfiglio

Cosa ha rappresentato lo spazio dello studio nel tuo percorso?

È stato un’aspirazione che sono riuscita a concretizzare a trentadue anni, quando ho potuto permettermi di comprare un forno. Si trovava in via Vespri Siciliani, dall’altro lato di Milano rispetto a dove mi trovo ora. Avrei potuto chiedere aiuto a mio padre, ma non lo feci. È stato un vero orgoglio per me. Penso che nella vita sia necessario cercare di conquistare i propri traguardi personali. Il forno è il cuore del mio studio, non potrei esprimermi senza di esso. Le mie creazioni rimarrebbero a metà, sospese.

Che adolescente sei stata?

Molto timida, e ho vissuto questa condizione come un forte handicap sociale. Mio padre è stato il primo a capire che volevo intraprendere una carriera creativa.

Come ti sei approcciata all’arte?

Attraverso gli incontri nella vita. Uno degli insegnanti che ho avuto nella prima scuola d’arte che ho frequentato, l’Istituto Professionale per la Ceramica di Milano, fu il primo a riconoscere in me delle qualità e mi portò ad Albissola, in Liguria.

Dida per ogni opera: Fausta Bonfiglio, 1976 – 2019, sculture in ceramica smaltata e lustrata, dimensioni variabili. Ph. Tommaso Bazzi
Dida per ogni opera: Fausta Bonfiglio, 1976 – 2019, sculture in ceramica smaltata e lustrata, dimensioni variabili. Ph. Tommaso Bazzi

Quanti anni avevi?

Poco più di venti. Ci sono tornata per tre estati consecutive grazie all’interessamento, appunto, di Nino Strada, che oltre a essere il mio professore era un riconosciuto ceramista legato al movimento futurista. Albissola, in quegli anni, era il centro culturale per la ceramica, in contrapposizione a quello francese di Vallauris in Costa Azzurra, dove Picasso realizzava le sue ceramiche. È lì che ho veramente capito che quello era il mio mondo. In quegli anni ho avuto l’opportunità di conoscere tantissimi artisti.

Ci puoi fare qualche nome?

Lucio Fontana, che all’epoca era già un mito, Roberto Crippa, Agenore Fabbri, Wilfredo Lam, l’artista di origini cubane, e Mario Rossello. Ma ero molto giovane e all’epoca il rispetto per i maestri non avrebbe permesso ai ragazzi di porsi in maniera troppo diretta o sfacciata. Ho lavorato nella stessa stanza in cui lavorava Agenore Fabbri presso la fornace di Angelo Platino, ad esempio.

E che effetto ti ha fatto?

Ero intimorita, ma lui è stato molto gentile. Era una persona malinconica, molto chiusa in sé stessa, ma guardava con interesse i miei lavori. Ricordo che stava modellando una scultura a forma di sedia: questo appropriarsi del design mi sembrò veramente innovativo.

Hai un ricordo di Lucio Fontana?

Era un personaggio già molto noto, lo ricordo molto elegante. In particolare, penso a lui in un giorno d’estate, un po’ impettito – devo dire – in giacca a righe bianche e azzurre nonostante la canicola. Era venuto da Platino a verificare i lavori che aveva ordinato. Il torniante aveva preparato per lui degli oggetti a forma di siluro, mi colpì perché dopo averli ispezionati li firmava e solo in seguito realizzava i suoi interventi.

Dida per ogni opera: Fausta Bonfiglio, 1976 – 2019, sculture in ceramica smaltata e lustrata, dimensioni variabili. Ph. Tommaso Bazzi

Dopo questa esperienza hai iniziato a frequentare l’Accademia di Brera a Milano…

Sì, il corso di scultura con Alik Cavaliere, che all’epoca era il docente più in vista dell’ateneo, ma quello che ritenevo il mio mentore era Luigi Veronesi.

Quale è il tuo ricordo più vivo?

Innanzitutto, eravamo solo due donne a frequentare il corso di scultura e i nostri colleghi maschi all’inizio ci guardavano con sospetto e non erano convinti del nostro talento. Ma successivamente hanno capito che le nostre capacità erano assolutamente pari alle loro.

Che clima si respirava nei primissimi anni ‘70 nelle aule dell’Accademia?

Erano gli anni agitati del post ’68, in cui i conflitti sociali scuotevano la società dentro e fuori gli atenei. Personalmente, non me ne curavo molto, ma ricordo un momento importante per me: una mattina, all’ingresso del palazzo di Brera, alcuni ragazzi con toni minacciosi ci impedirono l’accesso alle lezioni. Quella mattina avremmo dovuto incontrare il professor Veronesi. Quando lui arrivò, ci disse di non preoccuparci e di non entrare: avremmo potuto fare lezione al giardino botanico di Brera. “Per fare una scuola”, disse, “sono necessari maestri e allievi”.

Quando è incominciato il tuo vero e proprio percorso artistico?

Il mio primo vero studio era in via Fiori Chiari, a pochi passi dal palazzo di Brera. Non avevo ancora un forno, ma potevo disegnare, modellare, sperimentare e socializzare.

Dida per ogni opera: Fausta Bonfiglio, 1976 – 2019, sculture in ceramica smaltata e lustrata, dimensioni variabili. Ph. Tommaso Bazzi

Chi erano le persone che incontravi?

Un personaggio molto importante in quegli anni era il baritono Giuseppe Zecchillo, che oltre a essere un punto di riferimento della scena musicale e lirica, era anche un amante e promotore delle arti, soprattutto dell’arte contemporanea. Un grande estimatore dell’opera di Piero Manzoni e, alla sua morte nel 1963, subentrò nel contratto d’affitto dello studio che si trovava in via Fiori Chiari 16. Lo Studio Zecchillo era crocevia di artisti ma teneva anche eventi mondani la domenica pomeriggio.

Tornando alla tua tecnica creativa…

Ho imparato a lavorare la ceramica, nello specifico la maiolica, che è una tecnica di terracotta smaltata. Nella mia ricerca, la forma è stata prevalente rispetto al colore. Utilizzo principalmente il non-colore: bianco, nero e gli effetti dei lustri in argento e oro.

Come si ottiene il lustro?

La ceramica viene cotta una prima volta, poi sottoposta a una seconda cottura con lo smalto e infine una terza cottura a fuoco basso. L’effetto di lustro metallico, brillante e talvolta anche iridescente viene ottenuto attraverso una tecnica chiamata “terzo fuoco”.

Dida per ogni opera: Fausta Bonfiglio, 1976 – 2019, sculture in ceramica smaltata e lustrata, dimensioni variabili. Ph. Tommaso Bazzi

L’archetipo della ceramica rivive in forme spesso sinuose, nel tuo lavoro è l’opposto: angoli retti, griglie tridimensionali e intricati labirinti geometrici, piegando questo medium sensuale in una dimensione rigida, quasi una gabbia.

Una delle principali fonti di riflessione sull’arte del ‘900 è stata per me Piet Mondrian, con il quadrato come la sua forma geometrica preferita. Nella mia visione creativa da giovane artista, sentivo una forte affinità con la forma quadrata, l’elemento maschile. La mia scelta di utilizzare il quadrato e le sue molteplici varianti potrebbe essere stata un messaggio per il pubblico, per dimostrare che, come donna, ero forte come un uomo e che la terracotta poteva essere manipolata come se fosse stata dura come sbarre d’acciaio. Mi sentivo forte come un uomo, ma indubbiamente le mie sculture potevano anche essere interpretate come gabbie, a rappresentare la complessa società patriarcale in cui vivevo.

Questi erano soprattutto i tuoi primi lavori. Come si sono evoluti successivamente?

La mia personale riflessione sulla società mi porta poi a ribaltare il punto di vista, rendendomi conto che la rigidità della struttura sociale intrappolava gli stessi uomini, che a loro volta facevano fatica a reinventarsi e spostarsi, anche nelle proprie convinzioni. Io, come donna negli anni ’80 e ‘90, invece, mi sentivo libera, mobile. Ho scoperto la forma del cerchio e della sfera, identificandomi con esse. Per molto tempo ho voluto essere considerata forte come un uomo, ma in quel momento ho compreso appieno di essere donna e di volermi identificare come tale.

Dida per ogni opera: Fausta Bonfiglio, 1976 – 2019, sculture in ceramica smaltata e lustrata, dimensioni variabili. Ph. Tommaso Bazzi

Ti sei mai sentita una femminista?

Non sono stata una femminista da barricata. Tuttavia, mi sono sempre battuta per le donne e per i loro diritti. Vorrei che noi donne tenessimo per noi stesse le virtù e le qualità che ci sono proprie, facendole emergere. Penso che in un tragico ribaltamento le virtù femminili siano state demonizzate e rese difetti.

Puoi farci qualche esempio?

La pazienza è una dote importantissima, come abbiamo tutti potuto constatare durante gli anni di pandemia. Non mi sorprende che molte ricercatrici e scienziate siano donne, a partire da Marie Curie, perché oltre al genio si richiede dedizione e pazienza. L’accudimento è uno dei sentimenti più antichi, un istinto primordiale che nel corso dei secoli è stato utilizzato per sottomettere le donne. E per “accudimento” non intendo solo il ruolo di madre, ma più in generale prendersi cura degli altri. Su questi temi ho realizzato una mostra intitolata L’età della donna curata da Milena Scalise e Francesco Tadini nel 2015.

Un’artista in cui ti sei rispecchiata?

Una scomoda verità è che le donne spesso erano e sono in competizione tra di loro. Invece di parlarti di un’artista che mi ha ispirato, posso citarti una donna la cui vita e carriera mi hanno colpito in qualche modo a posteriori: la fotografa americana Vivian Maier. Vivian Maier ha lavorato per quarant’anni come babysitter – attività per me molto importante – ma allo stesso tempo ha realizzato un numero enorme di scatti di street photography. Il suo lavoro, sconosciuto durante la sua vita, è stato rivalutato solo dopo la sua morte, e ora è celebrata in tutto il mondo per il suo tocco calmo e gentile. Scoprire questa sorprendente storia mi ha resa molto felice. Non è necessario ottenere successo commerciale o riconoscimento istituzionale per poter dire di aver comunicato.

Dida per ogni opera: Fausta Bonfiglio, 1976 – 2019, sculture in ceramica smaltata e lustrata, dimensioni variabili. Ph. Tommaso Bazzi

Perché secondo te la cultura della ceramica sta vivendo un suo momento di riscoperta?

Ci sono corsi e ricorsi della storia. La ceramica è un’arte antichissima. Penso che negli anni ’60 del ‘900 ci sia stato un momento di grande interesse, seguito da un calo a favore di altri media, e ora c’è una riscoperta. Personalmente trovo sia un materiale duttile e piacevole al tatto, e non è nemmeno così complesso da lavorare. Offre una certa gratificazione in un tempo relativamente breve. Tuttavia, credo che dietro a questo rinnovato interesse ci sia una profonda riflessione sul tempo.

In che senso?

Penso che tutti ci interroghiamo su quanto durevoli saranno le innovazioni tecnologiche che stiamo vivendo. Anche nell’arte ci sono tecniche molto nuove e poco sperimentate. Ne leggo spesso sui giornali, anche se non le ho vissute di persona, e mi chiedo quale certezza di longevità possano offrire. La ceramica è agli antipodi, un prodotto finito di cui abbiamo conoscenze certe: sappiamo che dura nel tempo, anche per millenni.

Pensi ci sia nostalgia di concretezza?

La ceramica è terra, certamente è un modo di essere concreti e di riflettere al contempo sulle proprie origini. Per bilanciare il nostro oggi con il nostro ieri.

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