02 maggio 2020

Germano Celant: Artmix tra rigore e visione

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Germano Celant è stato in grado di riscattare movimenti e artisti ostracizzati, aprendo la strada a un "artmix" tra discipline creative attraverso una straordinaria capacità teorica e curatoriale. Un metodo che oggi ricorda Jacqueline Ceresoli

Germano Celant
Germano Celant

Con la scomparsa di Germano Celant (Genova 1940 – Milano 2020) si chiude definitivamente un’epoca di storici dell’arte, curatori e imprenditori che hanno investito sul proprio talento, coraggio intellettuale, nella conoscenza diretta di artisti e del sistema dell’arte.

Geniale inventore dell’Arte Povera (1967), personaggio temuto e invidiato, Celant è stato anche Senior Curator per l’arte contemporanea del Solomon R. Guggenheim Museum di New York, dove nel 1994 cura la mostra “The Italian Metamorphosis 1943-1968” con l’obiettivo di far conoscere l’essenza dinamica della creatività italiana agli americani.

Germano Celant, erede di Harald Szeemann per approccio e attitudine trasversale alla pluralità del linguaggi artistici, vestiva sempre di nero e aveva un’espressione dura incastonata in viso scultoreo “mantegnesco”, da navigatore genovese, burbero e determinato, incorniciato da una folta capigliatura brizzolata da autentica rockstar; portava anelli vistosi argentati, era autorevole e incarnava il mistero e la consapevolezza che l’arte non ha confini linguistici e territoriali e si fa con tutto, superando qualsiasi divisione e restrizione operativa processuale.

Futuro, Presente, Passato Biennale di Venezia 1997
Futuro, Presente, Passato Biennale di Venezia 1997

La capacità di riscattare l’arte

L’indiscusso protagonista della cultura internazionale, dal 1995 al 2014 (dal 2015 in veste di Sopraintendente) ha concepito e curato oltre quaranta progetti espostivi per Fondazione Prada, e ha esportato nel mondo la cultura del fare italiano, importando nel nostro Paese l’Arte Concettuale americana, grazie alla sua curiosità, talento e capacità curatoriale.
Premiato da una carriera invidiabile, Celant ha lasciato un’impronta indelebile anche a Venezia, dove nel 1986 è stato il primo a riscattare il Futurismo, movimento ostracizzato dall’immediato dopoguerra dalla cultura italiana perché considerato fascista, con una memorabile mostra, “Futurismo & Futurismi”, a Palazzo Grassi.

Quattro anni dopo nello stesso palazzo settecentesco sul Canal Grande, con “Presenze 1900-1945”, rivaluta le avanguardie storico-artistiche italiane del primo Novecento con 300 opere di 50 autori.

Il feeling con la città lagunare continua nel 1997, quando viene nominato direttore della 47ma Biennale d’Arte che intitola “Futuro, presente, passato”, mostra-manifesto del suo pensiero fluido che non si pone nessun limite cronologico e stilistico, capace di superare le asperità concettuali della realtà visiva. Celant aperto all’immaginario che nel tempo genera una cultura visiva tesa alla liberazione sensoriale e intellettuale, da ogni matrice formale e sostanziale, è stato direttore artistico anche della Fondazione Emilio Vedova e Annabianca Vedova, e a Milano l’ultima mostra a Palazzo Reale a sua cura, nella Sala Delle Cariatidi, era dedicata al maestro veneziano.

Tralasciando l’elenco della sue innumerevoli mostre, manifestazioni d’arte ed esposizioni, già ricordate negli articoli a lui dedicati pubblicati in questi giorni, mi preme di più mettere a fuoco sull’eredità del suo pensiero fluido, magmatico, reso visibile attraverso la sua scrittura lucida, storicistica e sintetica, documentata da una fertilità editoriale che vanta oltre cento pubblicazioni e articoli per “L’Espresso” e altre riviste specializzate internazionali.

Celant agisce nell’ambito dell’immagine con una lettura da storico dell’arte e l’attitudine poetica, lieve e plurale propria all’artista, muovendosi da sofista della parola tra media diversi, evitando ogni confinamento in cui precarietà e durata sono insiti di un processo artistico all’insegna di un operare metamorfico che include tutti i sistemi di comunicazione.
Il suo pensiero dinamico include uno sguardo allargato che include valori ideali e strumenti mediali di comunicazione dell’arte.

Più di altri testi scritti per mostre collettive o personali di artisti, Germano Celant si svela nel libro Artmix. Flussi tra arte, architettura, cinema, design, moda, musica e televisione (Feltrinelli, Milano, 2008), che racchiude l’essenza del suo pensiero plurimo, basato sul confronto simultaneo di un mix dell’arte più contemporaneo, senza spazi intermedi tra arte e artefatti, in cui cultura alta e bassa, significato e significante sono un’attitudine per allargare l’interpretazione dell’arte, inclusa la tecnologia, la cultura mediatica che incide sulle ricerche artistiche. Come scrive Celant nell’introduzione del libro sopracitato “Un procedere totalizzante, derivato dagli insegnamenti ricevuti dai miei primi “mentori”, Eugenio Battisti e Gillo Dorfles, che mi hanno indicato la strada di prospettiva barocca: quella di cogliere un mondo illusorio dove le arti sono “mutanti” per costruire un unicum complesso e insuperabile. Alle loro indicazioni sul considerare il campo dell’arte come luogo di infiniti attraversamenti tra linguaggi si deve il mio tenue contributo”.

Questo libro di Celant, sembra una evoluzione ermeneutica dello sguardo sulle arti visive del presente del libro Lezioni Americane. Sei proposte per il nuovo millennio di Italo Calvino (1988), pubblicato post mortem dello scrittore che raccoglie utili spunti di ricerca per orientarsi nelle trasformazioni che si aprivano davanti ai suoi occhi negli anni ’80 prima della rete e della cultura digitale del nuovo millennio. In comune Celant e Calvino hanno una scrittura sintetica come sistema controllato del verso in prosa, basato su un ritmo anche nella teorizzazione concettuale.

Germano Celant, Artmix, Arti & Architettura e Vertigo
Germano Celant, Artmix, Arti & Architettura e Vertigo

La cultura del presente, attraverso lo sguardo – e le parole – di Germano Celant

Al carismatico, rigoroso e visionario Celant non è sfuggito che la vacua euforia del sistema dell’arte, che conduceva magistralmente a sua immagine e somiglianza, include dissolvenza, marginalità e precarietà, in cui la perdita di significato o impegno politico è stata compensata dal consumo di massa, riducendo l’arte a un ruolo decorativo. E questa virata materiale dell’arte snatura l’idealità del suo ruolo etico e critico, per trasformarla in un feticcio, spesso sopravvalutato diviene oggetto del desiderio di ostentazione del proprio potere, è implicita nella cultura del presente.

Occultata la dimensione utopica dell’arte e prevalsa la superficialità attraverso l’eccesso di spettacolarizzazione che comporta omologazione e spersonalizzazione dell’immaginario, nel come, dove e quale obiettivi ci poniamo le due posizioni coesistono nell’aspetto progettuale. Questo processo di consumo e di adattamento dell’arte al mercato che l’ha ridotta a merce di lusso, è parte integrante della cultura visiva contemporanea in cui la componente ideale dell’arte coesiste con quella legata a una dimensione strumentale, funzionale.

Bastano questi accenni del contenuto di questo libro che suggerisce un punto di vista critico capace di assumere forme diverse di investigazione, analisi e storicizzazione del linguaggio visivo, volto a fare emergere un’attitudine dinamica implicita nel movimento dei linguaggi artistici. Il suo punto di vista non ammette alcun confine disciplinare, l’arte presenta una storia delle immagini e delle idee, dei progetti e dei costumi, degli oggetti e dei documenti, perché è tenuta a comprendere tutti i linguaggi estetici, nella loro versatile molteplicità, dalla pittura, scultura, fotografia, cinema, letteratura moda, design, architettura, cartoon, teatro, eccetera.

Questa extraterritorialità dei linguaggi artistici che fanno ricorso ai media, basata sull’interscambio, intreccio tra diverse tecniche e linguaggi, utilizzando i mezzi artigianali e tecnologici, sono testimoniate da diverse mostre a sua cura. Oltre una politica curatoriale che non esclude nessun immaginario incominciata con la mostra citata all’inizio dell’articolo a New York, fino alla mostra dedicata ad “Arti & Moda”, nel 1996, nel ruolo di coodirettore con Ingrid Sischy e Luigi Settembrini della prima edizione della Biennale di Firenze, confermata nel 2004, a Genova, con “Arti & Architettura”, una mostra apri pista, dove la storicizzazione dialoga con le immagini fluide, opere e architettura.

Segneranno la storiografia curatoriale nel prossimo futuro la mostra, “Live in Your Head. When Attitudes Became Form 1969/2013” in collaborazione con Thomas Demand e Rem Koolhaas, a Venezia a Ca’ Corner della Regina, sede di Fondazione Prada, come originale remake dell’omonima mostra rivoluzionaria di Szeemann nel 1969, alla Kunstalle di Berna.
A Milano, Fondazione Prada, tra le ultime mostre a sua cura, è stata la più recente “Post Zang Tumb Tuuum. Art,Life, Politics: Italia 1918-1943”, nel 2018, in cui si esplora il sistema dell’arte e della cultura in Italia, attraverso gli archivi, i documenti, le fotografie, gli allestimenti delle mostre di un ventennio complesso e contraddittorio dal punto di vista sociale e politico.

E se le mostre passano, i cataloghi e i libri restano e acquisteranno nel tempo un valore teorico di un sagace intellettuale pragmatico ma capace di grandi entusiasmi e di avventure cultuali coraggiose. La sua carismatica presenza ci mancherà, come l’acume critico dei sui articoli lucidi e spietati sul variegato mondo dell’arte contemporanea.

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