21 ottobre 2023

Il dovere della libertà nell’arte: l’intervista a Letizia Cariello-LETIA

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Letizia Cariello - LETIA, dopo aver superato un momento drammatico della sua esistenza, la perdita di un figlio, ci racconta il momento che vive, carico di riconoscimenti della sua carriera e grandi appuntamenti

down along the river Letizia Cariello

Appena chiusa la mostra al Castello di Brescia, Letizia Cariello-LETIA sarà impegnata a novembre in due mostre (“Vibrazioni” da Gaggenau DesignElementi ed “Echelle” all’Angelicum).

L’artista nasce in una famiglia di origine napoletana dedita alla scultura dal 1630. Trasferitasi a Milano, è diventata professore ordinario di Anatomia Artistica presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano – Scuola di Scultura.

Tra dolore, resilienza e tanti impegni, Letizia, sempre autonoma e indipendente nel pensiero e nella forma, ci ha raccontato la sua visione dell’arte e della vita.

Nella tua esistenza hai incontrato la sofferenza. Come ha cambiato la tua arte?

«L’arte è esperienza: nella vita affronti delle prove, che sono il passaggio da una condizione all’altra. Ogni singola prova non ha un significato in sé, se non nel quadro di un percorso di sviluppo che sia trasformazione e, si spera crescita. La sofferenza è un attraversamento: ciò non vuol dire che uno ne esca necessariamente una persona migliore: tutto sta come affronti e superi queste “prove”. Perciò non amo la parola “dolore”: ha implicazioni moralistiche, che non mi appartengono.»

Siamo una società moralistica?

«Sempre di più e molto più di quello che pensiamo. Spesso penso a Pasolini, alla sua lucidità e all’onestà con cui ha cercato di avvertirci sul pericolo dell’omologazione culturale con quella meravigliosa raccolta di articoli intitolata successivamente “Il Fascismo degli antifascisti”. Questa rincorsa alla semplificazione del pensiero solo per “essere-nel” e “far-parte-del” mainstream culturale è una deriva oserei dire tragica, perché mette a rischio la stessa libertà. Forse anche nell’arte abbiamo combattuto l’accademismo per finire poi con il costruire una nuova forma di accademismo travestito da indipendenza in cui l’intellettuale è spinto a produrre tematiche masticate e digeribili, solo all’apparenza innovative. Spesso si presenta oggi nella forma di un nichilismo, anch’esso digeribile, una sorta di sofferenza inutile che si compiace di se stessa. Il “brutto” come manifesto, o come obiettivo che funge da garante di un pensiero responsabile e impegnato, capace di leggere il reale, quando spesso è solo banalmente e cinicamente brutto a prescindere da tutto e tutti.»

Gate Stella (Studio dell’artista), Letizia Cariello – LETIA, 2023, ©Francesca Piovesan, Cramum, Gaggenau

Quindi oggi la libertà risiede nella bellezza?

«Dipende da cosa si intende per bello. Per gli Antichi Egizi il bello non esisteva, non era un tema. Le arti, il pensiero, l’uomo, tutto doveva indirizzarsi al vero che in sé – evidentemente- risolveva il tema della forma. Il biologo Adolf Portman parla di “autopresentazione”, che lui definisce “la necessità biologica della forma”. Questo è un altro dei riferimenti che posso citare per spiegare meglio quello che intendo. Bello per me è da sempre sinonimo di armonia, che non è sinonimo di formalismo! L’armonia è una relazione fra le parti di tipo dinamico, matematico, musicale. Non è compiacimento formale. Questa è una delle banalizzazioni del termine. È un principio vitale. Oggi una parte della critica e del collezionismo sospetta se almeno qualcosa non è “brutto” … forse lo teme, senza rendersi conto che compito dell’arte è uscire dagli schemi.»

Anche l’arte contemporanea è più conformista di quello che si pensi?

«In un momento storico di transizione epocale come il nostro, molta arte non cerca di vedere oltre e di spingersi avanti per fornire prospettive personali nuove e diverse. Il vero tabù è forse diventato raccontare la ricerca dell’armonia che l’essere umano agogna atavicamente. Oggi, che avremmo almeno apparentemente diritto alla libertà di pensiero, o quanto meno di espressione e di sentimento, scegliamo di non essere liberi, di omologarci nella paura di non piacere, di essere esclusi e di essere lasciati fuori da non si sa bene da quale gruppo, perché etichettati come appartenenti a non si sa bene quale altro gruppo. Giorgio Gaber cantava “Vorrei essere libero come un uomo che si innalza con la propria intelligenza con la forza incontrastata della scienza con addosso l’entusiasmo di spaziare senza limiti nel cosmo e convinto che la forza del pensiero sia la sola libertà”.»

Calendario Pianeta, Letizia Cariello – LETIA, 2023, ©Francesca Piovesan, Cramum, Gaggenau.jpg

Ti sei quindi concessa la libertà di ricercare e raccontare l’armonia?

«L’essere liberi è un dovere. L’alternativa è la frustrazione, il non essere pienamente. La vera libertà è essere consapevoli e concentrati. Io non mi pongo l’obiettivo del bello, come accadeva nell’Ottocento e non mi faccio guidare da alcuno schema o preconcetto: il bello era come oggi il brutto, limiti al pensiero. Io cerco e voglio essere concentrata nel gesto, nel cogliere l’intuizione universale, nell’essere un veicolo. L’armonia non può che essere il risultato di questa ricerca ontologica, del farsi domande. Nel gesto che stai facendo c’è tutto: non puoi fare arte pensando o temendo che possa piacere o non piacere. L’altro non è nelle intenzioni, altrimenti c’è un’utilità che non fa parte del cercare di intravedere quell’armonia energetica non visibile. Non la critico, ma non è arte… è qualcos’altro.»

Come racconti e rappresenti l’armonia nella tua arte?

«Ogni cosa è dentro di noi, e il fuori di noi ne è la conseguenza. Noi siamo una goccia di divino, un’emanazione del divino, che non nego, anzi! Dante raccontava che l’amore muove il sole e le altre stelle. Io racconto questa energia in cui siamo immersi, che ci unisce tutti. Ma nel farlo non c’è il mio ego, ma l’intuizione del gesto che appartiene a tutti e che deve arrivare a tutti, smuovere nell’altro qualcosa. Picasso giustamente diceva “io non cerco, trovo”. Perché siamo tutti – non solo gli artisti – dei “tramiti” della vera realtà che ci circonda e che non sempre riusciamo a scorgere. Per questo il mio racconto dell’armonia parte dall’analisi e interazione con lo spazio, perché è un qualcosa che ci unisce tutti, anche se è solo uno dei piani dell’esistenza e dell’energia. L’intuizione artistica nasce ed è manifestazione dell’interiorità, che non ci appartiene in modo esclusivo, perché tutti facciamo parte di un tutto, senza distinzioni. L’arte non conosce la realtà, la scorge per quello che è.»

Grande Gate d’oriente, Letizia Cariello, 2023 HD dettaglio ©Francesca Piovesan

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