19 ottobre 2020

Il glitching come action painting nel digitale: intervista a Stéphane Graff

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La personale di Stéphane Graff da Mucciaccia Gallery a Londra, è l’occasione per intervistare uno dei pittori più discreti e riservati, quanto innovativi, del panorama artistico inglese

Self-portrait, © Stéphane Graff Courtesy of Mucciaccia Gallery

Si inaugura il prossimo 20 ottobre nella nuova sede londinese di Mucciaccia Gallery, al 21 di Dering Street, la personale di Stéphane Graff dal titolo “Mille-Feuilles & Sugar Bytes“, visitabile fino al prossimo 8 gennaio 2021. Abbiamo intervistato in anteprima l’artista durante l’allestimento della mostra.

Come definirebbe Stéphane Graff?

«Un Homo Sapiens».

Dov’è nato e dove vive ora?

«A Londra e mi sono appena trasferito fuori dalla città nel Buckinghamshire».

Qual è stato l’incontro più importante per la sua formazione come artista?

«Sono un artista autodidatta. Penso che l’incontro più importante sia stato incontrare Professore nel 2007. Immagini, una persona di mezza età che vede il suo riflesso allo specchio per la prima volta e realizza non è lei. Professore mi ha insegnato nuove prospettive per approcciarmi alla mia arte e ha messo in evidenza aree della mia psiche inesplorate precedentemente. Un maestro Zen una volta ha detto “Se tu vedi il Buddha, uccidilo”. Penso che Professore avesse un approccio zen simile ai suoi esperimenti, che ha infuso la mia stessa arte».

1939, Stéphane Graff
Courtesy of Mucciaccia Gallery

Ci sono dei temi a cui spesso ritorna nella sua arte?

«Sì, idee attorno all’identità o anti-identità spesso caratterizzano la mia arte. Questo si può riflettere in diverse raccolte del mio lavoro. Specialmente i dipinti delle serie Black Box e Catalogues of Errors, per non parlare del Professore. Anche i ritratti della serie Mille-Feuille affrontano questioni di identità, dal momento che la tecnica può totalmente oscurare le identità. Nel mio ritratto dell’erroneamente condannato Colin Campbell Ross, i frammenti orizzontali sono attaccati a un motore sul retro del quadro, così che tutte le parti siano costantemente in movimento e la sua faccia si trasformi e slitti fuori dalla sua forma. Il concetto era di illustrare un caso di scambio d’identità che ha portato all’esecuzione di un uomo innocente».

Perché ha deciso di sviluppare gli alter ego: Professore (lo scienziato) e Dr Albert Frique (l’etnobotanico)? Può spiegarmi qualcosa in più su questi personaggi?

«Secondo Freud, l’alter-ego è un secondo sé, indipendente dalla personalità originale. Nel caso dei miei alter-ego, penso che entrambi siano stati repressi dentro di me per un po’ di tempo e improvvisamente siano spuntati fuori. Professore può essere abbastanza insubordinato, in quanto ha una personalità forte, ma questa è una cosa buona, perché lui approccia la sua scienza artistica con il suo stesso senso di stile e io cerco di non mettermi in mezzo.

Ero interessato a vedere come le persone percepissero il lavoro di uno scienziato e, come sospettavo, c’era una fiducia inerente nel Professore. I suoi esperimenti complessi vanno così oltre qualsiasi cosa che si potrebbe contestare. Comunque, allo stesso tempo, non si può essere sicuri che lui avrà successo, visto che i geni possono spesso finire per alienarsi dalla società. Albert Frique è un personaggio molto più pacato. Il suo lavoro botanico l’ha condotto in Africa, dove ha sfortunatamente incontrato una morte prematura in una pentola da cucina congolese. La cosa interessante di avere un alter-ego è che puoi parlare di qualcun altro anche quando in realtà stai parlando di te stesso!».

Aryan Race, Stéphane Graff
Courtesy of Mucciaccia Gallery

Come è stato influenzato dalle teorie psicoanalitiche di Sigmund Freud e Carl Gustav Jung?

«Sono stato influenzato da entrambe. L’approccio di Jung è abbastanza spirituale. La sua ultima opera L’Uomo e i suoi Simboli e il concetto dell’Ombra mi hanno influenzato molto, riconoscendo che il ‘lato oscuro’ della psiche può essere fondamentale per ottenere conoscenza di sé. Anche la teoria psicoanalitica del Perturbante di Freud ha influenzato la mia serie di opere Black Box. Il Perturbante implica che le cose che nascondiamo agli altri possono spesso essere nascoste anche a noi stessi sotto forma di pensieri ed emozioni represse. Freud lo paragonava letteralmente a essere privato dei propri occhi o avere una crisi d’identità».

Lei lavora spesso in serie. Veniamo a quella in mostra a Londra da Mucciaccia Gallery. Cosa l’ha ispirata a realizzare la serie di opere Mille-Feuille? Perché ha sentito il bisogno di unire le discipline della pittura e della scultura?

«La serie Mille-Feuille è iniziata quasi per caso quando il mio computer ha stampato la fotografia di un’immagine che stavo ritoccando e l’immagine uscì dalla stampante nel modo più inusuale. Il soggetto era una scena di un banchetto celebrativo di metà del ventesimo secolo, con centinaia di persone sedute a diversi tavoli. In qualche modo, a causa di alcuni errori di calcolo digitali, il computer aveva spontaneamente creato dei glitch sull’immagine, trasformandola in diversi strati di strisce orizzontali fuori asse. Con questo incidente, molti degli invitati alla cena non erano più seduti nei loro posti originali! All’inizio sembrava un caos completo, ma dovevo ammettere che questa stampa frammentata sembrava più interessante della foto originale.

Così ho cercato di svelare cosa aveva fatto il computer, per capire come l’immagine potesse essere ricostruita. Ho provato a indurre il computer a ripetere l’esercizio, ma si è rifiutato di creare gli stessi glitch una seconda volta. Alla fine, ho voluto sfidare me stesso a dipingere la scena esattamente come il computer l’aveva stampata con i glitch, e questo è il motivo per cui ho sviluppato la tecnica Mille-Feuille, dipingendo su strisce di legno orizzontali che possono scivolare ed essere riposizionate in uno stile simile all’immagine con i glitch.

Il risultato è stato Mille-Feuille Banquet (220), ora in un’importante collezione privata italiana. L’opera ha richiesto sei mesi per essere completata, (non includendo i prototipi) dipingendo tutti i giorni fino a dieci ore.

L’aspetto interessante di quest’opera non è la quantità di tempo che mi ha richiesto per crearla, ma l’idea Proustiana del tempo stesso che diventa riordinato, mischiato e mosso all’interno del soggetto stesso».

Broken, Stéphane Graff
Courtesy of Mucciaccia Gallery

Lascia spazio all’inaspettato mentre lavora?

«Con i dipinti Mille-Feuille, c’è molta pianificazione anticipata e calcolo. Di solito inizio modellando l’immagine sul mio computer per vedere come potrebbe venire. Dipingo su sottili strisce orizzontali di legno e in media un dipinto conterrà almeno 150 strisce. Ma una delle ragioni per cui ho sviluppato questa tecnica di Mille-Feuille è stato l’essere capace di smontare il dipinto e infondere l’opera con una specie di caos.

Dopo la fase della pittura ad olio, ogni striscia orizzontale è spostata dalla sua posizione originale, riposizionata e, nonostante il mio computer modelli i risultati, questi non possono essere mai completamente previsti o predetti. Il processo di smontaggio fa diventare l’immagine una specie di puzzle.

È una questione di quanto lontano voglio spingere la tecnica o quanto disordine voglio creare. I risultati sono spesso imprevedibili».

Perché ha aggiunto il titolo Sugar Bytes per questa mostra?

«Sugar Bytes è un gioco di parole divertente da affiancare a Mille-Feuille. Mi piace riferirmi a questi dipinti come se fossero dei pasticcini dolci! Ma il titolo specificatamente enfatizza l’influenza dell’ambiente digitale in cui ci troviamo e come i file immagine sono misurati in bytes o megabytes. Questa serie di quadri avrebbe potuto non accadere mai in un mondo puramente analogico senza computer».

Boxers, Stéphane Graff
Courtesy of Mucciaccia Gallery

Come sa quando un’opera è finita?

«Te lo dice. Se non lo fa, allora forse potrebbe essere un caso in cui il viaggio è più importante della destinazione».

In quale direzione è indirizzata la sua ricerca artistica?

«Sono ancora ossessionato con i glitch e le disfunzioni digitali. Al giorno d’oggi poniamo le nostre vite nelle mani dei computer. Chi ha detto che i computer ci fanno risparmiare tempo? Sembra che occupino sempre più il nostro tempo e possiamo diventare dipendenti! Glitching è come action painting nel digitale.

Sto continuando a sperimentare con l’idea di convertire sistemi digitali in sistemi analogici e sono affascinato dalla sovrapposizione di vecchie e nuove tecnologie attraverso il mezzo della pittura. In questo momento, sto esplorando glitching nella pittura dei grandi maestri».

© Mucciaccia Gallery
© Mucciaccia Gallery

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