03 novembre 2006

INSIDE SERRANO

 
Un'intensa conversazione con Andres Serrano in occasione della grande mostra al Pac di Milano. Dalla religione al sesso, da Sgarbi a Paris Hilton. Tra sacro e profano, lecito ed illecito. La voce di un artista che è ormai una star ma continua a sentirsi un outsider...

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Andres Serrano (New York, 1950), non ha niente dell’artista maledetto. Look solo leggermente estroso, ci riceve con pacata cortesia e prende molto sul serio le domande che gli vengono poste, dilungandosi su tutte le questioni intavolate.

Sono passati molti anni dai problemi avuti con l’opera Piss Christ. Oggi si sente un artista established, accettato dal sistema?
Mi sono sempre sentito un outsider, è naturale per me sentirmi tale, anche se ora sono certamente anche un insider. Molti mi considerano un artista established, e lo sono. Eppure ci sono ancora posti in cui non sono mai stato, come la Whitney Biennal, alcune collezioni permanenti o istituzioni come il Museum of Modern Art non mi hanno mai manifestato appoggio. Il principale critico del New York Times odia da sempre il mio lavoro. Certamente sono un artista affermato e di successo, ma ci sono ancora molte persone che non mi accettano come artista.

Si definirebbe come un indagatore del lato oscuro delle persone e dell’esistenza o della loro superficie?
Penso di essere un esploratore della superficie, di come le cose appaiono, e contemporaneamente un esploratore della parte sommersa della società, del suo lato oscuro, inaccettabile. Penso che i miei migliori lavori investighino il confine fra ciò che è accettabile e ciò che è ritenuto socialmente inaccettabile.
Andres Serrano
Quali sono state le ragioni che l’hanno spinta a esibire materiale inedito della serie The morgue? Sono cambiati i tempi, si sente maggiormente libero oggi? O forse la serie necessitava di essere aggiornata?
Si è semplicemente presentata l’occasione di esporre materiale inedito, mi è stato chiesto di farlo. È come una boccata d’aria fresca per la mia retrospettiva, che sta girando il mondo ormai da un po’ di tempo. In ogni caso, non avevo evitato di mostrare questi lavori in precedenza perché fossero troppo “forti”.

Parlando invece di A history of sex: pensa che la sessualità e la morale siano cambiate in solo un decennio? Quali soggetti o pratiche sessuali aggiungerebbe oggi?
A history of sex era una sorta di esplorazione delle diverse visioni del sesso, realizzata con un taglio artistico e non pornografico. Se avessi dovuto realizzare quelle foto per una rivista o come “pornografia” le avrei fatte in maniera molto diversa. Per me sono foto che hanno a che fare col concetto di sublime, e sono più sensuali che sessuali. Se dovessi fare foto sul sesso oggi, le farei probabilmente in maniera molto diversa: le farei meno estetizzanti e più sessualmente provocatorie.

Tornando al tema dell’essere accettati o meno come artisti, come si rapporta con la parola “shock” e col concetto di “scioccare il pubblico”?. È strano perché non credo di fare opere scioccanti o provocanti. Se volessi fare opere davvero scioccanti ne farei di molto diverse. Il mio obiettivo non è di scioccare ma i ottenere l’attenzione delle persone. Recentemente sono stato invitato ad un seminario sul tema “Immagini che si spingono troppo oltre”: per me è stupido creare immagini di quel tipo, se un’immagine si spinge troppo oltre io non la mostro. Internet è pieno di immagini che si spingono oltre, ma non sono interessanti per me.

Che tipo di sentimento prova nei confronti dei suoi soggetti?
Mi sono sempre identificato con quasi tutte le persone che ho fotografato, soprattutto quando si tratta di figure maggiormente simboliche: le vedo come outsiders , comeAndres Serrano, Nomads, Bertha - 1990 -stampa cibachrome, courtesy dell persone fuori dal sistema sociale. Io stesso, come dicevo poco fa, mi sono sempre sentito un outsider. Mi sento allo stesso tempo dentro e fuori il mondo dell’arte. Inoltre non sono mai stato un homeless, ma quando ero molto più giovane ed ero coinvolto nella droga, vendevo droga e ho passato un bel po’ di tempo sulla strada con i personaggi che ora raffiguro.
Non instauro fra me e i miei soggetti una distanza rassicurante, spesso sono persone che avevo conosciuto venticinque anni fa. E a volte vengo a sapere che invece alcune persone che conoscevo all’epoca sono morte, e mi sento molto fortunato di essere sopravvissuto a quel periodo. Però posso dire di essermi “sporcato le mani” anch’io da giovane…

Da dove vengono il suo modo di fotografare e la sua luce così particolari? Si sente ispirato dai grandi pittori dei secoli scorsi?
Sì, certamente sono ispirato dagli ancient masters, sin dai miei esordi. Ma la mia luce e la mia tecnica sono molto semplici: uso solo tre luci, in alcune foto addirittura una sola. Lavoro oggi in maniera molto più veloce che in passato; non investo molto tempo né energia nel cercare di trovare le giuste soluzioni tecniche. Ragiono così: se la foto funziona, perché cambiare qualcosa?

La sua serie più recente, America, potrebbe essere definita un lavoro post-11 settembre. Come si relaziona con ciò, con la retorica su quell’avvenimento e con la politica di George W. Bush?
Sì, America è stata creata come reazione all’11 settembre, e l’ho iniziata con i soggetti coinvolti nell’attacco terroristico: militari, piloti, simboli dell’Islam. Poi ho ritratto le professioni, come quella del dottore, del soldato; in seguito ho investigato problemi come quello degli homeless, l’odio e la povertà. Infine ho esplorato la ricchezza, la celebrità, insieme ad altri aspetti della vita americana, come il Ku-klux-klan, i neo-nazisti. Recentemente ho anche fotografato
Son of Sam [protagonista del film di Spike Lee, ndr], il più famoso serial killer americano, per una rivista, ma avrei potuto benissimo inserirlo nella serie America. America è per me un’esplorazione di cos’è l’America, il meglio e anche il peggio, fra cui non faccio distinzione, sono due parti complementari.
Andres Serrano, A History of Sex Antonio e Ulrike -1995 - stampa cibachrome, silicone, plexiglas -Collezione privata, Bruxelles
Eterna questione: lei definirebbe il suo lavoro come un’indagine estetica o etica?
Direi che è più estetica, perché io non esprimo un giudizio. Ho sempre avuto problemi con le persone che giudicano. Potrei dire che ho uno sguardo neutrale e invisibile, non si vede mai dai miei scatti la mia posizione politica, ne sono veramente fuori. Sono interessato all’interpretazione delle mie opere, più all’interpretazione degli altri che alla mia.

È d’accordo con quello che Vittorio Sgarbi ha scritto, ossia che lei è un “sovversivo manierista”?
Sì, mi suona bene. Quando ho simpatia per una persona, mi piace di solito anche quello che dice: mi piace Sgarbi, quindi dico che è una buona interpretazione del mio lavoro…

Lei ha dichiarato che andrà al Leoncavallo assieme a Sgarbi. La sua posizione sulla questione graffiti è la stessa di quella dell’assessore?
Sì, certo. Ieri mi hanno fotografato con Sgarbi e indossavo una felpa con cappuccio. Ho detto: “qualcuno potrebbe pensare che sono un graffitaro…

Come si sente ad essere una fonte di ispirazione per molti giovani artisti?
Quando ero molto giovane ero un grande ammiratore di Bob Dylan. Una cosa che non ho mai del tutto compreso a fondo, fu quando dichiarò: “Don’t follow leaders, watch the parkin’ meters”. Forse non amava essere messo nella posizione di “modello” per tanta gente. E anch’io mi sento più o meno così, mi sembra molto strano che alcune persone mi prendano a modello…

Lei non fotografa molto spesso le celebrità. Quale fra loro vorrebbe ritrarre?
In realtà per la seria America ho fotografato molte persone famose, Arthur Miller, Snoop Dog, Chloe Sevigny, ho potuto fotografare tutti quelli che volevo. Tranne Paris Hilton, che non ho potuto ritrarre anche se avrei veramente voluto. Spero un giorno di poterlo fare…

Si potrebbe dire che lei fotografa il sacro in una maniera non-religiosa: la dimensione Andres Serrano, Piss Christ sacra che è presente nelle persone e nell’esistenza. È d’accordo?
Sì, mi sento spesso un artista religioso. E confronto la mia opera con il resto dell’arte sacra. Magari, prima o poi anche il Vaticano collezionerà la mie foto. Due anni fa a Roma ho fatto una mostra in una chiesa, e un monsignore altolocato in Vaticano ha detto: “Si tratta di un artista trasgressivo ma non blasfemo”.
Non ho mai capito le persone che definiscono il mio lavoro usando le categorie del sacro e del profano: perché non posso essere entrambe le cose? Due dei miei artisti preferiti, Fellini e Bunuel, avevano sentimenti molto contrastati verso la chiesa, di odio-amore. Sacro e profano sono inscindibili, come l’odio e l’amore…

Chi sono i suoi artisti preferiti?
Sono un appassionato del lavoro di molti artisti, Avedon, Picasso, Duchamp…

E fra gli artisti di oggi?
Oggi amo il lavoro di molti artisti solo sotto l’aspetto intellettuale, ad esempio per il lavoro di un artista come Matthew Barney, che apprezzo, provo un senso di distanza, di distacco. I film della serie Cremaster, anche se mi piacciono, non riesco a vederli per intero, mi annoio o mi addormento. Preferisco artisti che producono lavori con cui riesco ad entrare maggiormente in contatto.

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stefano castelli

[exibart]

2 Commenti

  1. Lo stesso Serrano ammette di fare un lavoro di maniera. E in effetti negli ultimi anni non è riuscito con le nuove serie di lavori a replicare l’intensità della maniera che l’ha reso famoso , facendo delle belle foto , dei bei ritratti ma niente di eccezionale mancando il morboso. Da qui il ripescaggio di inediti del periodo più appariscente che ormai si sta rivelando una non dimenticabile (?) breve stagione, molto vincolata dalla propria voluta appariscenza, con i suoi temporali ad effetto , forse celebri forse ormai prevedibili.
    Materiale per i feticisti di Voghera.

  2. Perchè aulico???? è una finzione artificiosa in cui la costruzione non è neanche troppo nascosta, infatti Sgarbi lo definisce “manierista”.

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