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Intervista a Eva Meijer, la filosofa che studia il linguaggio non umano
Personaggi
All’interno del discorso che la filosofia ha creato intorno al linguaggio, si inserisce l’intervento di Eva Meijer al Festival Filosofia di Modena, quest’anno incentrato sulla parola. È un venerdì uggioso di settembre e scende una pioggia insistente, dell’ultima volta in cui ha piovuto tanto, l’Emilia-Romagna porta ancora le ferite. L’essere umano, concentrato su se stesso, ha creato un sistema di vita non più sostenibile, a discapito dell’ambiente, della propria specie e degli animali. Da cosa ripartire allora? Forse occorre smontare tassello per tassello questo edificio granitico, costruito su fragili fondamenta, e rivalutare le credenze comuni che ci hanno portato a questo punto.
Meijer parte quindi dal linguaggio per abbattere ogni barriera dell’uomo leonardesco, misura di tutte le cose. Inutile è applicare i codici del linguaggio umano agli animali, diverso è invece considerare ogni linguaggio nella sua specificità. Non esiste più dunque una piramide sulla cui vetta l’uomo siede, beandosi della sua superiorità e guardando beffardo agli altri esseri viventi, ma un essere umano, animale tra gli altri, ognuno con il suo sistema comunicativo.
Suoni, colori, odori invitano ad acuire i nostri cinque sensi per essere parte di questa rete, semplicemente prestando ascolto. E così i pipistrelli spettegolano, i delfini si chiamano per nome, i cani capiscono i gesti e le espressioni facciali delle persone, ogni giorno gli animali intorno a noi comunicano tra loro e con noi, inascoltati. Dal linguaggio quindi può partire una riflessione più ampia che non si occupa solo di studiare gli animali, ma anche la nostra società e i rapporti tra gli esseri umani.
«La filosofia è una questione di esseri umani che parlano di esseri umani», esordisce la filosofa parlando alla platea di Piazza Grande, un discorso autoreferenziale che non tiene conto di una realtà multispecie, o almeno delle molteplici sfaccettature di questa realtà. In una prospettiva in cui sono così tante voci a parlare, un aspetto rimane fondamentale: ascoltare. Prestare maggiore attenzione al linguaggio delle singole specie, allargare a queste la possibilità di avere dei diritti e gettare le basi per una collaborazione tra individui, tra natura e cultura, potrebbe avviare una trasformazione: forse anche i cambiamenti climatici, con la distruzione che si portano dietro, stanno cercando di comunicarci qualcosa, un messaggio che noi dovremmo ascoltare meglio.
Di tutto questo abbiamo parlato con Eva Meijer, filosofa, ricercatrice, scrittrice e musicista, che gentilmente ci ha prestato le sue parole.
La tua ricerca si concentra sul linguaggio animale non umano e su come essi comunichino con noi. Si possono applicare gli stessi criteri quando si studiano il linguaggio umano e quello animale?
«Per molto tempo gli esseri umani hanno studiato il linguaggio animale come se gli animali non umani fossero capaci di parlare il linguaggio umano, ma questo non ha senso perché molti animali non possono parlare, non hanno corde vocali, non è questo il linguaggio specifico della loro specie. Studiare quindi il linguaggio animale cercando di far loro imparare il linguaggio umano non ci porta molto lontano, ma ci fa considerare l’intelligenza animale in termini umani, portandoci a considerarli inferiori a noi.
Quello che si vede ora è che molte persone hanno iniziato a studiare il linguaggio specifico di ogni specie, ad esempio come le mosche comunichino attraverso gli odori, o come la Sepioteuthis sepioidea (caribbean reef squit) comunichi attraverso l’uso dei colori. Quindi non possiamo studiare il linguaggio animale attraverso le regole della grammatica o del linguaggio umano, si deve guardare alle relazioni sociali, il linguaggio umano è solo uno dei tanti. Questo allo stesso tempo non è solo uno, io sono una filosofa, ma scrivo anche romanzi, poesie, il linguaggio usato non è lo stesso.
Una tesi filosofica funziona diversamente da una poesia, descrive la realtà diversamente, sceglie le parole diversamente. Quindi sì ci sono molte somiglianze, e si possono trovare le prove non solo fra gli animali ma anche tra gli alberi ad esempio, ci sono però anche importanti differenze di cui tenere conto».
Per lungo tempo la tradizione filosofica e un certo nostro modo di vivere hanno “ghettizzato” gli animali. È forse il momento di riscrivere la filosofia e con essa le nostre abitudini?
«È un discorso molto attuale, perché stiamo sperimentando una sorta di collasso ecologico, basti pensare agli incendi che sono divampati in Europa quest’estate e alle alluvioni, viviamo nell’Antropocene e stiamo iniziando a renderci conto che la nostra posizione nell’universo è dannosa per la natura, per gli animali e anche per noi, quindi dobbiamo ripensare la nostra posizione.
Da un punto di vista filosofico, molti stanno tornando alle tradizioni indigene, provenienti da diverse parti del mondo. La filosofia occidentale si è sviluppata per lo più in una direzione, che considera l’uomo separato dalla natura e dagli altri animali, ma alcune tradizioni filosofiche, hanno una visione più olistica, quindi anche all’interno della filosofia si possono trovare delle alternative.
Penso però che per i filosofi sia un periodo davvero entusiasmante, perché ci si pongono le domande alla base dell’esistenza: cosa significa essere un umano? cosa significa essere un buon essere umano in relazione agli altri? Penso che si prospetti un grande compito per la filosofia, di pensare al significato morale e politico di condividere il mondo con altri esseri viventi, dobbiamo usare la nostra immaginazione. Non si tratta solo di pensieri astratti, ma di andare nel mondo, e in collaborazione con gli altri unire i nostri diversi punti di vista».
Quindi una filosofia forse più vicina alla vita che al mondo accademico?
«Sì, perché la filosofia è questo. Il sistema capitalistico ha fatto sì che la conoscenza venisse vista sempre come un prodotto, quindi questa è una sorta di chiamata a risvegliarsi e a invertire la rotta, il nostro sistema deve cambiare. La filosofia alla base è una pratica dialogica: parlare e pensare con gli altri».
Come sempre, quello che non conosciamo ci spaventa: lo studio del linguaggio degli animali non umani ci può aiutare a convivere in una maniera diversa e migliore, anche in relazione all’ambiente, e forse a imparare qualcosa da loro?
«Sì penso che possiamo imparare molto da loro. Gli esseri umani spesso pensano che gli animali non abbiano la capacità di produrre un ragionamento morale, ma in realtà molti animali sono più gentili di quanto non lo siamo noi, qualcosa che noi possiamo imparare da loro, così come vivere in maniera più sostenibile, noi siamo la specie che sfrutta il suolo.
Guardare ad alcuni comportamenti animali potrebbe servirci a cambiare il nostro modo di vivere, a vivere diversamente nello spazio trattando meglio la Terra, ma anche nel tempo, perché noi siamo molto distratti come esseri umani, perdiamo un sacco di tempo dietro ai nostri telefoni, a pensare come fare più soldi, o a come appariamo agli occhi degli altri, ma sono tutte forme di distrazione dalla vita, e noi ne abbiamo solo una, non c’è null’altro.
Gli animali hanno un miglior senso di vivere il momento, sono molto più presenti, ma non sono bloccati nel presente, proprio perché hanno il senso del tempo, non sono inseriti nel nostro stesso sistema di produzione, di burocrazia, nel quale noi perdiamo noi stessi, che all’estremo ci porta al burnout, a una crisi di mezza età o a stare in un posto in cui non vogliamo stare solo perché ci adattiamo a strutture che ci distraggono dalla vita».
In questo senso, cosa può fare la cultura e quali iniziative si possono intraprendere, per andare oltre la contrapposizione, tipicamente occidentale, tra natura e cultura?
«Ci sono diverse cose che possono essere fatte. Lavorare su un’educazione multispecie, un’educazione costruita insieme agli animali e ai bambini. I bambini non sono specisti, c’è una ricerca a questo proposito, gli viene insegnato a esserlo intorno ai 10-11 anni, ma prima di quell’età vedono gli animali come una parte della propria comunità. Anche l’arte ovviamente può fare qualcosa, molti artisti ora lavorano interrogandosi sul binarismo uomo-animale, natura-cultura e cercano delle alternative, ascoltando e parlando in maniera diversa con gli altri.
Anche in politica ci sono iniziative per diritti che riguardano la natura, le persone stanno cercando di allargare le categorie legali ad altri esserei viventi, includendo entità naturali, ed è importante perché nel momento in cui avremo delle leggi che includono gli animali e gli altri esseri viventi potremo iniziare a sviluppare nuove relazioni. Da un punto di vista politico e individuale dobbiamo imparare ad ascoltare meglio, ed è qualcosa che ci servirebbe anche in relazione agli altri esseri umani.
Imparare ad ascoltare gli altri e tra questi anche gli animali cambia il nostro modo di vedere le cose, perché se c’è una cosa che ho imparato studiando il linguaggio animale, è che tutti gli esseri viventi, anche gli alberi, comunicano a modo loro».