13 gennaio 2004

Intervista a Maurizio Cecconi

 
di alfredo sigolo

VII edizione del Salone dei Beni e delle Attività Culturali di Venezia. Fine novembre dello scorso anno. Abbiamo fatto quattro chiacchere con il direttore del Salone Maurizio Cecconi. Nuove strategie, consumo privilegiato, il ruolo degli enti pubblici e il dialogo obbligato con il mondo dell'imprenditoria. I beni culturali? Deve partire un’epoca diversa…

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Il Salone apre in versione raddoppiata, con una forte presenza degli Enti del Sud: segnali di un ottimo stato di salute dell’evento lagunare, no?
La presenza del Sud è importante. Ci sono strategie di comunicazione e problematiche comuni legate ai bbcc e al loro indotto. Il bene culturale è oggetto di attrazione ma funziona se legato al paesaggio, all’ambiente, all’enogastronomia, ai prodotti doc, all’artigianato artistico. Servono aziende che facciano diventare economici questi processi. Su questo non c’è differenza tra Nord e Sud come per altri processi di industrializzazione e amministrativi. Al Sud ci sono molte piccole e medie aziende che promuovono e valorizzano la cultura: contrariamente a quanto pensa qualche nordista, su questo terreno non c’è arretratezza ma un processo di espansione importante che collega due mondi.

Usi il concetto di “bene culturale” in un senso allargato e prospetti un confronto tra pubblico e privato, due poli spesso in conflitto. Cos’è cambiato nell’imprenditoria dei Beni Culturali?
A parte le statistiche idiote (il famoso 60% dei bbcc del mondo), l’Italia ha un livello di bbcc straordinario, per il 99% di proprietà pubblica.
Storicamente, grazie ai principi della manutenzione, tutela e gestione, in Italia i bbcc sono stati gestiti e tutelati da enti e leggi pubbliche; grazie a questo noi abbiamo beni che, in situazioni politiche meno sensibili, sarebbero persi. Oggi nuovi modelli di comunicazione nascono dal principio di valorizzazione, il cui protagonista è il privato, che mette insieme bene paesaggistico e bene culturale, occupandosi di enogastronomia, artigianato e di tutto ciò la cui proprietà è privata.
Dall’intreccio nascono strategie dalle quali non si può prescindere. Un ente pubblico che spende in conto capitale miliardi per tutelare e conservare bbcc non ha problemi finché non si passa al conto corrente, quando mancano i soldi per la gestione e allora o l’ente fa i patti col diavolo oppure fallisce. Il punto non è l’incontro tra pubblico e privato, ma quale pubblico e quale privato. Il bene culturale è un consumo privilegiato, l’interesse economico non si persegue attraverso il turismo mordi e fuggi.
Resta un problema legislativo. La cessione ai privati dei bbcc di proprietà di uno Stato che ha un buco nei calzoni da chiudere non mi interessa, non mi frega di avere grandi bbcc che passano di proprietà ma che lo Stato crei condizioni di compatibilità di investimento per valutare processi economici nel lungo periodo.

Dai per scontato un concetto scottante, cioè che le nozioni di profitto e di investimento possano essere applicate anche al campo beni culturali…
Dev’esservi profitto ma anche controllo. Connessi ai bbcc ci sono servizi: bookshop, librerie museali, prenotazioni tramite internet o call center. Il profitto c’è sempre stato in chi faceva cataloghi, libri e visite guidate; togliamoci il prosciutto dagli occhi che qualcuno mangia da tempo e facciamo che il profitto sia compatibile e funzionale. Lo Stato deve controllare ed evitare strumentalizzazioni. Qualcuno diceva “resistere, resistere, resistere”. Io dico “regole, regole, regole”, per i privati e per lo Stato, perché la sovrintendenza cieca fa bambini malformati. La morale è: profitto compatibile con un consumo privilegiato.

Oggi i servizi legati alla fruizione dei bbcc si moltiplicano grazie alle nuove tecnologie. Innovazioni necessarie, curiosità, utilità oppure giochetti tra i quali è difficile districarsi?
Bisogna puntare appunto a fare dei servizi una necessità e il Salone può aiutare in questo. Al pubblico non basta cogliere la sola bellezza, vuole capire cosa c’è dietro. Vuole conoscere il dibattito e la critica che riguardano un’opera, la storia del restauro e delle sue vicende, ha il diritto di interagire e di dire la sua.
Tutto ciò non dev’essere un optional o una gentile disponibilità di qualcuno.
Massimo Cacciari ha riflettuto sul concetto di crisi come origine dei processi di sviluppo; la crisi finanziaria è in contraddizione con un Salone che raddoppia. Dentro questa crisi, in una situazione complessa, di deregulation, in cui non c’è particolare innovazione, forse privato e pubblico possono trovare le basi di una convivenza all’insegna della gestione. Un museo non può limitarsi ad avere il 5% di entrate proprie e il 95% proveniente da terzi, occorrono soldi. Questa è una necessità da cui può nascere virtù.

Tu sei amministratore delegato della Villaggio Globale s.r.l., società che organizza grandi eventi (i Gonzaga a Mantova, Canova a Bassano del Grappa, ecc.) puntando a valorizzare il territorio. Le ragioni di questa strategia?
La chiave è il genius loci, la capacità di interpretare il territorio come formativo di un genio del luogo, non solo in senso storico o ambientale. Qualcuno si è chiesto perché a Mantova ho fatto una mostra sull’archeologia kazaka. La Marcegaglia è a Mantova e ha un’azienda in Kazakistan, tra i due territori ci sono legami storici nella macellazione, inoltre Mantova è prima produttrice di calze a livello internazionale e il Kazakistan riprende parte del sottoprodotto. Il genius loci emerge da analisi territoriali, economiche, storico-culturali.
E’ piacevole vedere i quadri di Monet durante una mostra, ma dopo rimane al massimo un catalogo significativo. Un evento culturale deve creare sviluppo e una modificazione dell’immaginario collettivo legato alla città. Bassano, con le mostre su Ezzelini, Canova e Cinquecento veneto, dà una nuova immagine di sé, della ricchezza di un un territorio in cui il neoclassico si vede camminando e andando in macchina. La storia non è solo nostalgia, attualizzandola si hanno risultati impensabili. L’Hermitage è un prestatore per la mostra del Canova ed è al Salone grazie a Bassano. Questo non è, come direbbero a Napoli, il gioco delle tre carte, ma il gioco dei tre interessi: l’Hermitage, il Salone, Canova. Un meccanismo di induzione e crescita economica genera un genius loci moderno, non morto prima di nascere, ma promotore di sviluppi reali.

Il cenno a Monet mi costringe ad una provocazione. Quale opinione hai della strategia “impressionista” trevigiana, con il binomio Cassamarca-Linea d’Ombra?
La ammetto e non la condivido: la democrazia dice che chiunque può fare quel cavolo che vuole se ha soldi e spazi. Mi permetto di avere una politica culturale e un modo di lavorare diversi. L’ideale del genius loci si riflette sulle mie committenze a prescindere da ideologie o appartenenze politiche. Io punto a creare qualcosa che rimanga, sia visibile e qualificabile. Se qualcuno pensa allo spettacolo, ha il diritto di farlo ma non è nella mia strategia.

A Venezia si è conclusa la Biennale. Non credi che l’ideale del genius loci sia inapplicabile per l’arte contemporanea, che ha un bisogno vitale di relazionarsi e confrontarsi con l’esterno?
L’arte moderna è una cosa fondamentale per un Paese che è di un vecchio drammatico e che, avendo Tiepolo, Tintoretto, Leonardo, può vivere di una rendita di posizione che però non basta. Noi siamo fermi al ‘700. Questo gap và colmato, restituendo a ‘800 e ‘900 dignità e protagonismo per comprendere il contemporaneo.
Nell’Art Déco, nel secondo Biedermeier, nella Secessione viennese nascono grandi aziende che avviano processi di riproduzione artistici. In questa rivoluzione sta molto del dibattito della modernità.
Nelle pubbliche amministrazioni qualcosa sta cambiando; prevedo la fine del dominio delle sole gallerie e l’inizio di un’epoca in cui il moderno ridiventa protagonista. Ma non voglio che il contemporaneo sia un episodio e penso che il concetto di genius loci sia applicabile anche in questo ambito, pur cambiando di significato. Nei prodotti di Alessi esistono riferimenti al Déco e al Liberty?
Interrogarsi sull’uso della pubblicità e sulle trasformazioni del gusto significa capire la funzione dell’arte oggi; in Italia abbiamo avuto grandi scrittori ma pessimi organizzatori. E’ ora di aprire un’epoca diversa.

alfredo sigolo

[exibart]

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