03 giugno 2003

La moda? Fottila!

 
di jacopo miliani

Artista dell'irriverente nuova generazione spagnola, Joan Morey sarà presente in occasione della 50. Biennale di Venezia per il progetto "Bad Boy": spagnoli, giovani e... cattivi. L’opera di Morey, che abita a Barcelona, indaga con spirito critico la relazione tra arte e moda. Exibart l’ha intervistato in esclusiva…

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Joan Morey critica l’evanescenza, l’effimero della moda, degli stili e delle attitudini utilizzando i loro stessi mezzi, ma calandoli in un contesto artistico che ne ribalta il significato e la valenza comunicativa.
Creando il proprio “Fake Fashion” Morey altera le componenti della moda per un’indagine critica e revisionista che si fa forza delle inquietudini contemporanee e propone un’arte polivalente, accelerata, insinuante.

STP è la tua marca di “Fake Fashion”; ovvero crei collezioni di moda fittizie che hanno una loro realtà effettiva solo quando supportate da materiale artsistico (foto, video, performances) che poi esponi in gallerie d’arte. Puoi spiegare come sei arrivato all’elaborazione di questo concetto e quale è la sua importanza nel tuo lavoro.
STP, è il frutto dei miei interessi per un lavoro interdisciplinario e evolutivo. Sempre ho ricevuto maggior soddisfazione dal lavoro in équipe, dove c’è un apprendimento mutuo e un risultato più evoluto, rispetto a un lavoro “autentico”, “autoctono… vicino alla figura dell’artista “romantico”.Joan Morey
Detesto l’immagine dell’artista barricato nel suo studio in attesa dell’illuminazione creativa.
Inoltre STP risulta essere uno slogan (Soy Tu Puta), un’icona significativa per tutta una serie di riflessioni e prese di posizione rispetto al mondo dell’arte, della moda, alla politica, alle tendenze, all’attualità…
Pertanto cancellando la responsabilità individuale per un’interazione con differenti sistemi di produzione, STP appare come una marca fittizia che risulta essere il filo conduttore di tutti i miei progetti.

Non soltanto performance_desfiles dove presenti pubblicamente collezioni di moda, ma anche produzione di flyers, creazione di pubblicità, organizzazione di privé fino alla presentazione di un tuo proprio profumo. Dietro tutto questo troviamo la firma Joan Morey come “conceptual designer”.
Ritengo che attualmente il ruolo dell’artista è direttamente relazionato con quello che è la direzione artistica nella pubblicità, nel cinema, nella moda.
I perimetri delimitati tra arte e moda, arte e pubblicità e arte e cinema…sono sempre meno definiti e si contaminano l’uno con l’altro.
Joan MoreyPer me essere conceptual designer, vuol dire ridefinire un po’ la postura dell’artista contemporaneo che è compromesso con un tempo, una situazione politica e economica, uno spazio contestuale, che lo differenzia da altre attività discorsive.

“Fake Fashion”, un profumo che non si vende, sfilate per collezioni di moda che solo esistono nella loro dimensione performativa… Ti piace giocare con il pubblico, ingannarlo. Perché?
Attualmente possiamo dire che stiamo vivendo una situazione di finzione normalizzata: finzione nell’informazione, nella strategia di mercato, nelle relazioni interpersonali, nella manipolazione sociale…pertanto l’inganno nel linguaggio artistico non risulta essere una novità.
Il mio lavoro, piuttosto che ingannare lo spettatore, vuole stabilire degli spazi per una riflessione sull’arte utilizzando strategie discorsive di altri settori.
Il pubblico abituale di un evento artistico è stanco nel fruire le opere d’arte, pretende un godimento estetico, una spiegazione formale della poetica dell’artista.
Io (come molti altri artisti) voglio mettere in difficoltà questa percezione superficiale, elaborando un discorso che servendosi di linguaggi usuali, quotidiani, vicini allo spettatore, riescano a inquietare la ricezione del messaggio dell’opera, obbligando chi lo osserva all’elaborazione di un propria narrazione, a un cambio totale del “prodotto” artistico.

La sessualità è molto presente nel tuo lavoro. Una sessualità ambigua che va dal Drag Queen Show a un “surmenage” tra modelli maschili e femminili. In che modo nel tuo lavoro è presente la tematica di “genere”?Joan Morey
Il sesso, l’ambiguità sessuale, l’adolescenza e altri paradigmi della sessualità sono sempre stati presenti nel mio lavoro. STP definisce la sottomissione a una serie di fattori relazionati in maniera diretta con il sesso.
Sesso/sessualità, omoerotismo, pederastia, trasformismo, androginia non sono solo presenti nell’attualità, nelle correnti di moda come strategie pubblicitarie, ma sono concetti che trasciniamo dal passato e hai quali siamo condizionati come esseri umani.
Dunque, quello che realmente mi incita a mantenerli come assi dinamici della mia produzione è il fatto che sono elementi indispensabili nelle relazioni personali, e sono queste relazioni che muovono i parametri della nostra esistenza.

Penso che il corpo e l’uso del corpo sia molto importante nel tuo lavoro.
Inizialmente il corpo fu un elemento strutturale nella mia opera, adesso con STP l’uso del corpo, per presentare una collezione, un’immagine, un fashion show, risulta essere un conduttore per uno spazio mentale, uno spazio per la riflessione attraverso il quale ci sentiamo identificati o equidistanti, lontani o vicini, sensibili o prossimi.
Più che il corpo il mio lavoro parla di attitudini, pose, reazioni, introspezioni, paure e fobie… situazioni esistenziali che si scatenano o si visibilizzano con e attraverso il corpo.

Molti dei tuoi progetti prevedono un’uscita pubblica per mezzo di un evento in “live”. Che importanza ha la performance per te?
Una performance, un live show o un’azione registrata in video ci approssima a linguaggi protopubblicitari con i quali, partecipi di una società tardocapitalista, siamo più abituati a dialogare.
Personalmente ho usato questo linguaggio perché penso che dia al mio lavoro una dimensione superiore rispetto ad altri linguaggi tradizionali dell’arte.
Questo non significa che non utilizzo la fotografia, il video, l’installazione o il disegno, ma attraverso il “live” riesco ad ottenere un processo più dilatato per il mio lavoro come creativo.


Joan Morey nato a Sant Llorenç de’s Cardassar (Mallorca) vive e lavora a Barcelona. Ha creato la marca STP (Soy Tu Puta) che rappresenta e che lo rappresenta. Videoclips, spots pubblicitari, performance_desfiles, fake fashion la sua arte è una contaminazione di stili e di tendenze che lo colloca tra gli esponenti di spicco nella nuova generazione di artisti spagnoli. Numerose sono le collaborazioni con eventi e istituzioni culturali come il SONAR (festival di musica elettronica) e il Circuit (settimana della moda Barcelonese). In Italia i suoi lavori sono stati portati dalla Galleria Luis Adelantado negli spazi espositivi di Artissima (Torino) e Miart (Milano). Nel 2002 ha vinto il prestigioso Premio Generacion 2002 (Caja Madrid) per la sezione Nuove Tendenze. Collabora mensilmente con la rivista Suite.

jacopo miliani

[exibart]

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