27 giugno 2020

La parola fa cadere da cavallo. Intervista a Franco Arminio

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Una lunga conversazione con il paesologo Franco Arminio dedicata al “nuovo mondo” che stiamo vivendo. E che deve essere fatto di entusiasmi, vicende umane e sconcerti poetici

Franco Arminio
Franco Arminio

La voce di Franco Arminio mi arriva insieme al rumore del vento della sua terra che sento in sottofondo.
Presenza viva che si fonde naturalmente con le parole di questo artista, poeta, scrittore, “paesologo”, mentre iniziamo questo incontro fatto di vento e di parole.
Ci troviamo a parlare in un momento unico in cui si riparte e la strana fase di tempo sospeso che abbiamo appena vissuto sembra finita.
Gli chiedo, quindi, come veda questa Italia post covid e quale ruolo e spazio pensa possano avere l’Arte e gli artisti in questa rinascita .

Franco Arminio: l’arte è una necessità

«L’Italia post Covid? – mi risponde – Ci vuole molto coraggio, la situazione non è facile. Gli spazi e le attenzioni alle varie arti non sono cresciute e non cresceranno dato che non ci sono risorse e strategie sui media che diano onore al lavoro artistico. Il mondo privilegia altre cose. Ma il ruolo dell’arte resta fondamentale. Non perché astrattamente a qualcuno piaccia fare l’artista ma perché è l’umana necessità che alcuni individui hanno di indagare il mondo, la Vita, di dare forma a certe ossessioni. L’Arte è una necessità che mai nessun potere potrà mai addomesticare o fermare. Nessuno fermerà mai la fotografia, il cinema, la poesia o la letteratura. Ce ne sarà sempre altra da fare ed è bellissimo stare al mondo sapendo che qualcuno, da qualche parte, sta progettando un libro, sta lavorando ad una installazione, lavorando ad un romanzo o ad un film. Il mio sogno è che l’Italia possa diventare la capitale dello schema di una modalità plurale meno legato alla capitalizzazione, meno legato alla ossessione della globalizzazione delle merci».

Non intende questo in un senso estremo Arminio ma «nello starci un pò di lato, mantenendo paesaggi, posture, atteggiamenti che tengano viva una radice propria, antica e non globalizzata dell’Italia e, in più, che siano sensibili al futuro. Ecco io tengo molto alle arti che riescono a fare questo – continua – che indagano sul filo di una traccia etnografica, che indagano le cose dei luoghi. Ma certo non come ossessione identitaria o localistica ma come passione in generale per il mondo».

Franco Arminio, Resteranno i canti
Franco Arminio, Resteranno i canti

Appassionati, fatevi avanti!

La voce di Franco Arminio è calda e lenta. Avverto che ogni parola ha una sua speciale intensità e in questo periodo storico particolarissimo, così ricco di contraddizioni ed opinioni diverse, è emozionante ascoltarlo quando afferma che «In questo momento più che chiederci chi ha ragione dobbiamo chiederci chi ha passione. Ecco io credo che oggi si debbano far avanti gli appassionati, le persone dotate di entusiasmo, di fervore. C’è assolutamente bisogno di un fervore collettivo, di chi abbia a cuore un progetto. Non di trasformazione generalista di tutto il mondo – prosegue Arminio – ma di qualcosa che abbia a cuore la Vita. La vita della Vita. Ma anche la Vita della Morte perché anche la morte sta morendo. L’Arte oggi deve assolutamente tenere in vita la Vita che si sta spegnendo, dove si sta spegnendo. Assumendosi ogni artista questo compito straordinario, fittissimo ed affascinante e portandolo avanti»

Alla luce di questo chiedo, allora, come possa compiersi il ruolo dell’artista e dell’intellettuale nel mondo che, oggi, ci troviamo a vivere:

«Agli occhi di qualcuno l’intellettuale, cosi come chi fa arte, è importante così come per altri molto meno. Io penso che l’impegno essenziale per la salvezza del pianeta dovrebbe essere di tutti. Ma sono convinto anche che, ad oggi, non ci possa essere arte senza questa posizione di principio. Oggi un artista deve mettersi sulle spalle un pezzo di pianeta e difenderlo. Non esiste mediazione in questo senso. Non si può essere distratti rispetto a questo compito e dico che l’esercizio artistico acquisisce una moralità se ha ben chiaro questo compito. Questo non significa militare pro o contro il capitalismo ma militare per le piante, per gli animali, per le cose non viste, non sentite. Per i margini. Significa avere una certa curvatura in ogni momento della giornata».

«Un intellettuale – prosegue Arminio – prima ancora di essere qualcuno che dice delle cose sul mondo è uno che abita il mondo in un certo modo. È uno che difende il mondo dai suoi nemici che sono quasi tutte le persone che stanno al potere politico, economico e anche religioso a volte. Per questo l’intellettuale diventa inevitabilmente una figura che necessariamente, in qualche modo, collide col potere. Non esiste un intellettuale che non disturba nessuno. Se non disturbi nessuno vuol dire che stai girando un pò alla larga. Certo, è una cosa che si può fare e che può essere anche utile in certi momenti, ma in questo momento, dopo i giorni del Covid io credo che gli intellettuali dovessero essere più esigenti, puntigliosi, attenti nel chiedere agli altri esseri umani, a cominciare dai propri territori, di non tornare alla cosiddetta normalità, a come vivevamo prima, come sta accadendo. Una normalità estenuata, avvelenata, insolente, abbrutita e impoverita. Io credo che bisognerebbe chiedere, esigere di approfittare di questa sorta di intervallo per inserire nelle scelte di fondo, anche politiche, principalmente la libertà degli individui di non essere visti esclusivamente come consumatori perché non è certo questa la condizione che esaurisce l’essere umano. Noi non siamo fatti solo per consumare. L’uomo ha una profondità, una vastità che l’approccio di produzione e consumo non rispecchia e l’intellettuale ha il compito di ricordare la possibilità di creare un mondo che permetta agli uomini di essere vasti in profondità. L’uomo si deve poter allungare, stendere sulle cose, raggiungerne tante».

«Il mondo – mi dice Arminio – è fatto così che se non lo allarghi si stringe e l’artista ha il compito di tenere largo il mondo, prima ancora che di trasformarlo. Io credo, infatti, che la visione dell’intellettuale che si batte per cambiare il mondo sia superata. Il mondo cambia un pò quando vuole lui, un pò quando vogliono tante persone e un po’, a volte, non cambia e basta e magari non succede niente perché lo si può abitare bene cosi come è. Io credo agli intellettuali, ai poeti e agli artisti ma non quando portano sistematicamente il broncio alla propria epoca. In quella posizione ci trovo una retorica, una pigrizia, una facilità che non è degna di un intellettuale».

Franco Arminio
Franco Arminio

Il mondo poliziesco, il consenso e il dissenso

Gli ricordo che sono anche i giorni di #blacklivesmatter e che chi mi parla di mondo e di umanità è impossibile non chiedere che effetto facciano le immagini che si vedono scorrere in questi giorni sui media,spesso di grande violenza e sopraffazione.
«Quanto sta accadendo io credo si ricolleghi un po’ alle cose che ti ho già detto», mi risponde Franco Arminio.
«Io sono molto preoccupato da questo mondo un po’ poliziesco che c’è in giro e mi pare che sia un fenomeno mondiale. Gli individui sono sempre più tenuti a bada con la forza e questo credo sia una cosa che impoverisce la vicenda umana sulla terra. Gli esseri umani si devono esprimere, devono poter dissentire ma anche consentire. Devono entusiasmarsi, ammirare, e insieme al dissentire anche convenire, essere d’accordo con qualcuno, difendere qualcosa, essendo tutti e due aspetti importanti».
Parlando di consenso e dissenso il pensiero non può non andare anche ai social sui quali Arminio è molto presente e con una interazione quotidiana con chi segue il suo lavoro.
Gli chiedo, allora, come viva in rete proprio il convenire e dissentire di cui mi ha appena parlato.
«Si, oggi abbiamo una questione evidente riguardo al dissenso fra le persone in rete. Tu scrivi una cosa e c’è sempre qualcuno che si diverte a dissentire senza magari neanche aver capito cosa tu abbia scritto e questo è un altro aspetto importante della questione. Da una parte abbiamo il potere, che contrae e riduce gli spazi fra le persone, e dall’altra parte persone che si riducono da sole gli spazi possibili per una sorta di attrito, di intolleranza che circola fra loro stesse. Sommando queste due cose lo spazio fra gli individui si riduce mentre, invece, l’interazione umana dovrebbe servire a produrre dei miracoli, a fare qualcosa che non c’è».
L’essere umano è una “vicenda”
Insomma, per Arminio ci trasformiamo da soli, così, in fatti statici mentre dovremmo mettere al mondo processi, mutamenti, emozioni.
«Noi esseri umani siamo una vicenda non un fatto statico. Non siamo una struttura per cui, siccome siamo fatti in un certo modo , possiamo solamente fare certe cose. Un tavolo è una struttura dove ci puoi mettere dei piatti. Noi non siamo un tavolo. Siamo vicenda. Larga e in parte misteriosa, insondabile, abissale. Non si possono tenere gli esseri umani dentro schemi, piste predefinite. Il mondo è il gioco dell’invenzione e noi dobbiamo costruire invenzioni, non divieti. Ovviamente invenzioni di dolcezza, invenzioni di vicinanza, invenzioni di desideri buoni che scatenino passioni liete, che scatenino la gioia. Io vorrei che i governi si esercitassero anche su queste cose. Certo non dico di smantellare le carceri, la polizia e quant’altro, ma io dico alle istituzioni che si vuole tenere tutto questo in piedi ci deve essere anche altrettanta attenzione alla stimolazione della Felicità. Alla produzione, se vogliamo usare un linguaggio economico, della gioia. Non ci sono addetti alla gioia e questo è un problema».

Geografia Commossa dell'Italia Interna, Franco Arminio
Geografia Commossa dell’Italia Interna, Franco Arminio

Ama la poesia per lo sconcerto che crea

E la Poesia? La Poesia oggi. Come la viviamo? Ha un senso, un valore?
«Oggi la poesia circola molto di più grazie alla rete – mi risponde Arminio – In realtà credo non si sia mai letta tanta poesia come adesso ma avverto un problema in una parte di lettori che hanno una idea strana del lavoro poetico. Nel senso del pensare io ti seguo se tu in poesia esprimi le mie idee, come se fosse un Io ti do la terra e tu me la lavori e poi mi porti il grano. Come se io fossi un mezzadro in una sorta di operazione agricola. Il poeta non è quella persona che tu segui se lui segue le tue idee. Questo è un modo sciocco di pensare la poesia. Il poeta lo segui proprio per lo sconcerto che può gettare nelle tue idee. Perché ti costringe a ripensarti in un’altra maniera, perché ti costringe a vedere il mondo in un’altra maniera, perché ti dà scosse. Ma veramente, nel corpo! La lettura di un vero poeta produce una sorta di contatto fisico anche, semplicemente, attraverso le parole. Quindi la poesia circola certo, ma io credo che una parte di questa circolazione sia un po’ fessa, puramente coreografica. Questo perché tanti cercano nella poesia consolazioni a buon mercato. Non dico che la poesia non debba essere un pò consolatoria, certo. Ma la consolazione te la devi guadagnare, devi essere vigile come lettore. In ogni caso anche se la poesia oggi circola di più, l’errore che non dobbiamo fare è di pensare che questa cosa ci basti. Io, per esempio, penso che si potrebbe aprire il pranzo e la cena in ogni famiglia leggendo una poesia. Penso che si potrebbe cominciare leggendo una poesia un collegio di docenti così come un consiglio dei ministri. Penso che i bar dovrebbero essere pieni di poesia, cosi i cinema, gli uffici pubblici. Insomma la poesia dovrebbe essere presente nei nostri spazi, nei nostri luoghi. Presente nelle cerimonie, nei funerali, ai matrimoni. La poesia dovrebbe essere molto popolare. Ma popolarità deve conciliarsi con essere il frutto di un lavoro vero, di una necessità. Non ho mai capito chi pensa che in Italia ci siano solo mille lettori possibili di poesia. È una visione sbagliata… In Italia ci potrebbero essere centinaia di migliaia di persone che frequentano la poesia, la consumano e la scrivono».
«La verità – dice Arminio – mentre anticipa il mio pensiero sugli italiani infinito popolo di scrittori – è che, però, molti la scrivono e basta la poesia. Ma non la leggono. Per cui è invece estremamente necessario che chi scrive poesia si batta oltre che per scriverla la poesia anche perché questa abbia più spazi all’interno della nostra società. Il tempo che viene è un tempo che sempre più avrà bisogno di poesia. Sarà poi il lettore che deciderà cosa prendersi ma importante è che questa sia sempre più presente in questo nostro tempo».

Mediterraneo Interiore, di Franco Arminio
Mediterraneo Interiore, di Franco Arminio

L’apocalisse delle parole

Questa incredibile sequela di perle che scivolano nel cuore e nella mente durante la telefonata con Arminio potrebbero per me durare all’infinito. Lo immagino, mentre parla, in paesaggio che anch’io conosco molto bene e che ho nel cuore. Continua intanto a sentirsi a tratti, in sottofondo il vento, il vento dell’Irpinia.
Lo immagino mentre sta soffiando stringendosi in qualche vicolo solitario o mentre spazia e si allarga come dice Arminio, su qualche piana case, grano e pale eoliche.
Prima di salutarlo, però, gli faccio la domanda a cui tengo probabilmente di più. Sulle parole. Cosa ne sia il loro valore oggi, come si possano difendere, proteggere.
«La prima cosa che mi viene in mente è che oggi viene messo al mondo un numero sterminato di parole – mi risponde – Si dicono praticamente più parole in un anno che in tutti i millenni passati. Abbiamo proprio una sorte di apocalisse, un naufragio nelle parole, siamo circondati da parole. Anche perché anche sugli schermi sì ci sono immagini ma anche queste, in fondo, sono parole. Ovunque la parola è molto a vista, molto detta. Si sentono tante parole quindi, ma questo non significa che noi non dobbiamo cercare la parola ulteriore. Quella più carica, più densa. Una parola che abbia del silenzio intorno.
Probabilmente la parola poetica è una parola di questo tipo. Una parola che zampilla dalla carne e che in qualche modo è sorprendente , sia rispetto a chi la pronuncia, che a chi la riceve. Perché la parola poetica deve avere questa carica, questo stupore. La parola poetica non è una parola di cronaca, una ordinanza. Non è una cosa che mette in ordine delle cose, le sistema o le organizza. La parola poetica non codifica la realtà, ma la allarga, la smuove e quindi è preziosa. La parola è preziosa e quindi la parola poetica è particolarmente preziosa. Quindi senza lasciarsi scoraggiare da questa marea di parole che ci sommerge ogni giorno io credo che sia importante che ognuno di noi faccia una vita che metta in condizione di pronunciare delle parole vive. Parole vere, perché molte volte, in qualunque situazione ci troviamo, io penso che la nostra mente, il nostro corpo si rifugi, si nasconda come in un nido. Creandoci noi, cosi, da soli una sorta di realtà retorica nella quale emettiamo parole che a noi sembrano vive ma che in realtà sono morte. Morte perché ripetono una maniera, solo un nostro ronzio interiore. Invece la parola vera arriva quando, invece, una esperienza ci butta giù dal cavallo. Cosi che il nostro essere veri è così, quando noi siamo giù dal cavallo . Quando siamo con i piedi per terra paradossalmente. La parola poetica non è la parola di chi vola o di chi sogna, ma è la parola di chi sta a terra, di chi striscia, di chi è nell’affanno, nello spavento. Di chi è nel non sapere dove andare, nel non sapere che pesci prendere. Ecco questa è un pò la condizione, la situazione diciamo cosi geologica che favorisce lo smottamento delle parole. Come se ci fosse un velo di parole inerti che deve scivolare e, sotto, una roccia di parole vive che hanno bisogno di essere scoperte. La mia idea è che la parola è preziosa anche in questo tempo in cui se ne dicono tante – prosegue Arminio – ma solo a condizione che sia una parola del corpo, che sia una parola che venga da una postura percettiva. A me interessa la parola dei percettivi e non la parola degli opinionisti».
Cosa altro aggiungere dopo questo? Sono certa converrete con me: niente.
Solo il rumore del vento che prosegue, intorno a tutto questo.
A tutte queste parole. Cariche, calde di vita vera. Dense.
Parole solo da silenzio, intorno.

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