26 aprile 2013

L’intervista/Francesco Carone Nostalgia della pittura

 
Tra mostre appena concluse e rassegne in corso, l’artista toscano è presente in molti appuntamenti. In uno di questi, a Siena, anziché confrontarsi con un artista “maggiore”, come voleva il format della mostra, ha scelto per “compagna di viaggio” la pittura. Qui ci spiega perché. E come tutto nasce dalla sua osservazione. Anche se lui non sarà mai un pittore. Non rinunciando però ad essere un autore [di chiara pirozzi]

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immagine dell'allestimento di Contemporary Locus 1, Luogo Pio Colleoni, Istituto Bartolomeo Colleoni, Bergamo. Foto Maria Zanchi.

Francesco Carone alimenta le sue sculture servendosi dello spazio, una tridimensionalità capace di dare sensibilità e voce alle sue installazioni; se il luogo muta, cambia con esso anche il significato dell’opera. È dunque la dimora, nella quale risiede l’oggetto scultoreo, a restituire a quest’ultimo il suo il senso, oltre la materia con cui l’opera si costituisce. I lavori di Carone si nutrono e hanno senso solo nella determinazione puntuale del qui e ora, conformandosi di volta in volta alla neutralità o alla complessità del territorio di destinazione. L’artista crea una continua intromissione tra interno ed esterno, in cui contenitore e contenuto migrano l’uno nell’altro in un perenne scambio di ruoli e di reciproco senso. Nei lavori di Francesco Carone lo spazio espositivo diviene luogo di significato, parte integrante della struttura plastica, momento nel quale l’opera si costituisce nel suo valore pieno. Attraverso un continuo scambio osmotico tra opera e contesto, tra dentro e fuori, Francesco Carone annulla ogni possibile asetticità del luogo di destinazione e restituisce all’ambiente ospitante una nuova carica energetica e un nuovo significato segnico.
Carone ha da poco concluso la mostra con un solo show alla galleria Fuoricampo di Siena con il terzo appuntamento di “Genealogia”, a cura di Ludovico Pratesi, in cui si confronta con un inedito maestro: la pittura, affidando a terzi l’esecuzione dell’opera. Ha avuto una personale anche alla galleria SpazioA, da titolo “Muta bellezza”, è tra i protagonisti del Premio Maretti ospitato al Pan di Napoli ed è presente nella collettiva “Oltre il giardino” al palazzo Fabroni di Pistoia.  L’abbiamo intervistato. 
Francesco Carone. Veduta della mostra Muta Bellezza. Courtesy SpazioA, Pistoia

Cominciamo da “Genealogia #3” a Fuoricampo dove hai scelto di rimodulare il progetto espositivo, preferendo il confronto con il linguaggio pittorico, che consideri la tua origine d’ispirazione, piuttosto che accostarti con un unico “maestro”, come voleva il format progettuale. Raccontaci da dove nasce questa scelta.
«La mia passione per l’arte nasce dallo studio e dall’osservazione della pittura prima ancora di avvicinarmi ad altre espressioni artistiche. Ma non sono mai riuscito però a esprimermi con questo medium, anche se in molti lavori si vede chiaramente il mio tentativo di raggiungere un’idea di estetica pittorica. Talvolta si può notare lo sforzo di “far mia” la pittura attraverso segni, simboli o immagini che provano a catturare l’espressività tipica del dipingere. A questo punto mi sono interrogato sui sentimenti che possono muovere un pittore, sul suo spirito, mi sono domandato che cosa significa trovarsi davanti a una superficie bianca, ho analizzato la tecnica, il problema della visione bidimensionale e dell’irrealtà tattile. A questi interrogativi ho sempre cercato di dare delle risposte attraverso lavori tridimensionali, con sculture o installazioni. Evidentemente questa è la mia natura. Credo che pittore e scultore siano profondamente diversi: ritengo che vedano le cose in maniera dissimile e che cerchino dalle stesse suggestioni delle risposte disuguali. Un pittore può decidere di realizzare una scultura e viceversa, ma uno sguardo sensibile riconoscerà la mano di un pittore, guardando la sua forma tridimensionale scolpita o modellata, così come il tocco di uno scultore che approccia la tela». 
F.Carone, Tempesta, 2012/..., olii su tela, 30x40cm, courtesy Galleria FuoriCampo, Siena

Il soggetto romantico della tempesta in mare, e il senso di spiazzamento di fronte alla visione del sublime, sono i temi scelti da te e da affidare ai quattro pittori protagonisti del progetto. Che valore dai a queste immagini e come vuoi trasporle nella tua opera?
«Oltre alla mia massima fascinazione per il mare e per tutte le espressioni della potenza sublime della natura, credo che la tempesta sia uno dei temi più cari e ricorrenti in pittura. Le tempeste dipinte mi hanno sempre affascinato, anche perché rappresentano un privilegio di questa tecnica espressiva, non credo infatti di aver mai visto una tempesta marina scolpita e, se esiste, non deve avermi colpito. Il tema della tempesta è per me prerogativa della pittura. Facendo poi riferimento alla capacità del mare di modificare costantemente l’aspetto delle coste su cui si riversa, mi sembrava che questo tema calzasse perfettamente con la mia idea di creare un’opera dove continuamente ci fosse l’opportunità di trasformarne l’aspetto superficiale». 
F. Carone, presentazione del catalogo di Genealogia 3

Che cosa ha significato rinunciare alla fase esecutiva dell’opera?
«È una delle tante rinunce che questo lavoro comporta, ma non solo per me, ma anche per gli artisti partecipanti e per un eventuale collezionista. A me piace molto lavorare manualmente, mi è sempre piaciuto, anche perché asseconda le mie passioni e il mio talento, ma non lo ritengo indispensabile, posso farne a meno in virtù di un lavoro di orchestrazione e di regia come in questo caso. Si è trattato infatti di lavori lontani dalla mia natura ma che, con questo espediente, hanno teso ad avvicinarsi alla mia pratica artistica, anche solo per un breve periodo, fin quando cioè un altro pittore non avrà cancellato l’ultimo strato ridipingendovi sopra, corrompendo l’opera del suo predecessore e la mia precedente conquista, ma regalandone un’altra, anch’essa a scadenza, e così via! L’impotenza è allora pienamente ripagata, assomiglia più a una bella sorpresa che non tradisce mai le mie aspettative, sempre sorprendente per l’imprevedibilità dell’interpretazione». 
F.Carone, Senza titolo, 2013, acquarello e poseidonia su carta, 35x42 cad, courtesy Galleria FuoriCampo, Siena

La tematica del giardino e l’omaggio a Pietro Porcinai per la mostra al Fabroni di Pistoia cosa ti hanno ispirato?
«L’opera Lap Dance è un lavoro che nasce dall’idea di creare un’integrazione tra l’interno delle sale del palazzo e il fuori dei giardini, la verticalità dell’opera porta l’osservatore ad alzare lo sguardo, verso un’osservazione alternativa e inconsueta non solo della scultura che si estende in altezza, ma anche e soprattutto del contesto che gira tutt’intorno l’opera. La ricercatezza del materiale e l’intromissione del particolare che spezza l’essenzialità dell’asta, riportano lo sguardo alla scultura e volgono nuovamente il pensiero all’elemento naturale e, dunque, al giardino. Ho scelto poi di dialogare con l’esterno ponendo una sua cintura per i pantaloni sulla cima di un cipresso, nell’idea di presentare me stesso, e dunque l’uomo, come realtà naturale perfettamente integrata con questa»
F.Carone, Anfore, 2010, bottiglie in vetro, concrezioni marine

Tenendo conto di questi tuoi progetti, che valore attribuisci al concetto di autorialità?
«Per “Genealogia” ho notato che tutti gli artisti coinvolti hanno cercato di dare il massimo, hanno lavorato con serietà e impegno notevoli, pur sapendo che il loro prodotto sarebbe stato nascosto, cancellato o visto solo da me e dal pittore seguente.  Credo che questo dipenda, oltre che dalla loro professionalità, anche dall’idea di confrontarsi con una grande “schiera di colleghi”, nonché da una sorta di competizione che naturalmente e involontariamente si è venuta a creare nel confronto/distruzione reciproca. Credo che l’autorialità sia una delle grandi prerogative e privilegi dell’artista: è impossibile liberarsene completamente e orribile sarebbe riuscirci davvero. Il mio progetto ha mirato a sovvertire il senso di eterno che ogni opera d’arte porta con sé o che ogni artista auspica per le proprie produzioni: l’idea di creare oggetti che tendano all’eterno è un po’ come rendere eterni se stessi». 

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