03 dicembre 2012

L’intervista/Giuseppe Frangi Lunga vita ai volontari della bellezza

 
A Milano un convegno, all'indomani degli Stati Generali della Cultura di Roma, traccia le coordinate degli Stati Generali del Volontariato nella declinazione più legata alle arti, all'archeologia e ai beni culturali. Per mettere l'accento su un'attività “sommersa” e fondamentale che il Paese continua a dare per scontata. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Frangi, organizzatore del convegno e direttore del mensile “Vita”

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I nomi che oggi salgono in cattedra a Villa Reale, a Milano, sono quelli delle grandi occasioni: il Ministro Lorenzo Ornaghi, uno dei meno amati della lunga e opaca lista dei responsabili dei Beni Culturali – risuonano ancora i fischi e le frequenti interruzioni collezionati durante il suo intervento agli Stati Generali della Cultura – insieme ad Anna Maria Buzzi, Direttrice Generale per la Valorizzazione del MiBAC; Riccardo Bonacina, Presidente del mensile italiano Vita, fondato nel 1994 e dedicato interamente alle ricerche nel terzo settore; Diego Visconti, Presidente Fondazione Italiana Accenture; Ilaria Borletti Buitoni, presidente di FAI; Franco Iseppi, Presidente Touring Club Italia; Marco Parini, Presidente di Italia Nostra; Ledo Prato, Presidente Fondazione CittàItalia; Fiorenzo Galli, Direttore Generale Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, l’Assessore Stefano Boeri e l’economista della cultura Pierluigi Sacco. Il tema? “Bellezza che vive”, ovvero gli Stati Generali del Volontariato Culturale, resoconto e omaggio a quelle migliaia di figure silenziose che si occupano del panorama artistico italiano, nel presidio di musei, chiese, siti archeologici, monumenti, beni artistici, parchi e riserve naturali.
Professionalità non riconosciute formalmente che fungono da veri e propri sostegni allo sviluppo economico del Belpaese. Perché in Italia i Beni Culturali  vivono grazie alla gratuità dei gesti e del tempo di chi sceglie di dedicarvisi. E sarebbe il caso di smettere di pensare queste figure come “invisibili”. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Frangi, organizzatore del convegno e direttore di “Vita”.

Volontariato in Italia. Esistono numeri sulla portata del “fenomeno”? Quanti beni culturali scomparirebbero dalla penisola se non vi fosse l’azione dei volontari?
«Il fenomeno è molto vasto e anche molto variegato. C’è il volontariato che tiene aperti decine di siti in ogni angolo del Paese, a livello più o meno strutturato. Salvatore Settis nel suo ultimo libro, Azione Popolare, calcola quasi 30mila le associazioni attive su questi temi, quindi si può valutare che le persone impegnate siano circa 150mila. C’è poi l’altro fenomeno in grande crescita, che è quello dei comitati per la difesa del territorio e di monumenti a rischio. Sarebbero circa 15mila i comitati attivi: solo in Molise ci sono quasi 200 comitati mobilitati contro l’invasione delle pale eoliche. Nel complesso si può parlare di 800mila persone mobilitate, tra associazioni e comitati. Quanto alla seconda parte della domanda, più che di luoghi a rischio scomparsa, si tratta di luoghi che non sarebbero visitabili senza la presenza dei volontari. Faccio due esempi straordinari: San Maurizio Maggiore  a Milano e l’Abbazia di Novalesa con gli affreschi di Sant’Eldrado in Val di Susa».
Qual è la proposta per sfruttare al meglio questa risorsa “sommersa”, rendendogli la dignità che merita?
«Innanzitutto sfruttandone le competenze, perché in gran parte si tratta di volontari in pensione, ma con notevoli background alle spalle. Al Museo della Scienza e della tecnica hanno seguito questa strategia con grande successo. In secondo luogo c’è poi il problema dei rapporti con il sindacato che guarda spesso con ostilità l’affacciarsi del volontariato in molte istituzioni. Ma questo è un danno per tutti, anche per le categorie che il sindacato pensa di difendere».

Il titolo del convegno ricalca quello degli Stati Generali della Cultura che si è tenuto recentemente a Roma? Che idea se ne è fatto?
«L’incontro romano è stata un’operazione di grande valore perché ha rimesso in agenda il tema della cultura non come costo, ma come risorsa. Se posso fare un appunto, mi sembra che si faccia poca attenzione alla mobilitazione dal basso, che è invece cruciale perché la consapevolezza diventi fatto diffuso e non resti nella cerchia degli addetti ai lavori. Con un patrimonio così straordinariamente parcellizzato come quello che l’Italia può vantare, è decisivo che la coscienza del valore dei beni culturali sia coscienza diffusa. In questo le potenzialità del volontariato sono insostituibili».
I giovani e il volontariato. Fenomeno che cresce o diminuisce? Come portare l’attenzione verso un’azione che non è retribuita, ma che è di fondamentale importanza per la vita del Paese?
«Per quel che riguarda i giovani, è importante che individuino nella gestione di un bene culturale anche una prospettiva di lavoro. Per questo a Milano, per gli Stati Generali verrà presentato Ars, un concorso lanciato da Fondazione Accenture per la creazione di un’impresa sociale che, valorizzando il patrimonio, crei anche occupazione. È un’operazione che vuole avere un grande valore esemplare, con un sostegno da un milione di euro».

Perché l’Italia pensa che la gratuità di chi si occupa di cultura sia sempre “dovuta”?
«Nei confronti del volontariato pesa una scarsissima conoscenza e ancor più scarsa familiarità da parte dei grandi media. Si guarda ai volontari alla modalità di un miracolo, come nel caso recente del terremoto in Emilia, e non li si vede come componente permanente, strutturata e oserei dire vivificante. C’è una visione sentimentale, mentre il volontariato, anche nel campo della cultura, è un motore che crea coesione sociale, consapevolezza. E che accende passioni».

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