20 gennaio 2016

L’intervista/p420

 
Non solo un cambio di sede! Più dialogo con la città e tanta ricerca. La giovane, ma ben affermata, galleria bolognese si sposta vicino al MAMbo. Ecco che cosa c’è dietro

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Un nuovo spazio per festeggiare i primi sei anni di attività. La Galleria p420 si rinnova e si trasferisce in una nuova sede nel cuore della Manifattura delle Arti, la piccola cittadella della cultura che sta sorgendo a ridosso del centro storico di Bologna, nella zona compresa tra la Cineteca, il MAMbo e il Dipartimento di Scienze della Comunicazione. Ad inaugurarla, un grande evento previsto per sabato 30 gennaio, in concomitanza con la White Night di ArteFiera. Ne parliamo con Alessandro Pasotti, fondatore, insieme a Fabrizio Padovani, della p420.
Da dov’è nata l’esigenza di un nuovo spazio espositivo?
«Abbiamo deciso di cambiare galleria perché sentiamo la necessità di avere un luogo in cui, rispetto al precedente, lo spazio espositivo sia protagonista insieme alle opere. La nuova sede di via Azzo Gardino è suddivisa in due grandi sale, per un totale di 350 metri quadrati, con soffitti alti più di 5 metri. Uno spazio che dà ad artisti e curatori una maggior possibilità di sperimentazione, ma non solo. Una delle due sale sarà utilizzata anche per incontri e conferenze, ampliando così il nostro dialogo e rapporto con la città». 
La mostra inaugurale, “Teoria ingenua degli insiemi”, ha in sé già visibili tutti questi cambiamenti?
«In effetti sì. Si tratta quasi di un manifesto programmatico della nostra nuova attività. Una doppia mostra con un titolo unico che racchiude le opere di un artista storicizzato,  Paolo Icaro, e di tre giovani, Marie Lund, Bettina Buck e David Shutter, scelti da Davide Ferri e Cecilia Canziani. Da una parte, quindi, la riscoperta del lavoro di artisti – come Icaro – che si sono formati tra gli anni Sessanta e Settanta-  e che è poi la nostra ricerca caratteristica -, e dall’altra il dialogo con le generazioni più giovani, segno della nostra crescente attenzione verso il contemporaneo più attuale». 
David Schutter, AIC C 224 5, 2013, oil on linen, 92.5 x 65.1cm
Quella della p420 è una storia ricca di successi e scommesse vinte, che in questi sei anni l’hanno portata ad essere una delle più importanti gallerie italiane, il cui lavoro è molto apprezzato e riconosciuto anche all’estero. Qual è il segreto del vostro successo?
«In realtà sia io che Fabrizio non veniamo dal mondo dell’arte. Il nostro è stato un rendersi conto giorno per giorno di quello che era il lavoro da galleristi. Siamo ingegneri, con un interesse comune per i cataloghi d’arte degli anni Sessanta e Settanta. Abbiamo iniziato a collezionarli per passione, poi abbiamo scoperto il mercato che c’era dietro di essi. Da lì l’idea di iniziare a rivenderli. Per cinque anni abbiamo partecipato al mercato di Piazza Diaz a Milano, che è il più importante nel settore. Abbiamo così approfondito la nostra conoscenza di artisti come Fontana, Manzoni, dell’Arte Povera e delle Avanguardie Concettuali degli anni Settanta. E questo è stato il punto di partenza anche per iniziare a conoscere i primi collezionisti e ad avvicinarci anche alla vendita delle prime opere su carta. Nel 2010 abbiamo aperto lo spazio in Piazza dei Martiri, inaugurandolo con una mostra dedicata a Manzoni e Dadamaino». 
E poi si sono aggiunti, oltre al già citato Icaro, Franco Vaccari, Antonio Scaccabarozzi, Hanne Darboven, e Irma Blank, solo per citare alcuni degli artisti da voi rappresentati, molti dei quali devono proprio alla vostra attività una ritrovata notorietà. 
«Nella nostra ricerca ci approcciamo al lavoro degli artisti con un mix di sensibilità. Ovviamente, non tutti gli artisti possono essere “riscoperti”. Cerchiamo di capire se hanno nella loro ricerca alcuni aspetti, per noi fondamentali, quali la contemporaneità e la poeticità della loro pratica». 
Paolo Icaro, Linea tesa, 2013, inox,alluminio. cm. 42 x 392 x 10 (ph.M.Sereni)
Tornando al vostro trasferimento nella Manifattura delle Arti, questa zona sta diventando sempre di più un polo e un centro culturale artistico per Bologna, con un vero e proprio progetto di riqualificazione da parte del Comune. Se ne parlava già dieci anni fa, durante il trasferimento del Museo d’Arte moderna dalla sede GAM  all’attuale ex Forno del pane. In quel momento, come la p420, hanno aperto tante gallerie destinate però ad avere meno fortuna o a chiudere nel giro di pochi anni. Cos’è cambiato da ieri a oggi?
«Nel 2010 c’erano Fabio Tiboni, Agenzia04, CAR_drde (anch’essa oggi presente in un nuova sede nella Manifattura).. Allora c’era un timido tentativo di creare un dialogo tra gallerie e Istituzioni che non è andato a buon fine. Oggi cerchiamo di riprovare a riprendere questo dialogo con il MAMbo, di fatto mancato, e con le altre Istituzioni presenti, in primis la Cineteca e l’Accademia di Belle Arti. In questo Bologna dovrebbe guardare un po’ a Napoli, per esempio. Il MADRE è un ottimo esempio di come un’Istituzione pubblica dialoghi anche con il privato, con le gallerie e le altre realtà cittadine, mantenendo vivo il doppio binario dell’attenzione curatoriale verso la realtà locale e la scena artistica internazionale». 
Bettina Buck, Interlude, video still
Paolo Icaro terrà una lecture sul suo lavoro proprio all’Accademia di Belle Arti di Bologna a pochi giorni dall’inaugurazione della mostra nella nuova galleria. È il segno che, in fondo, qualcosa si sta muovendo?
«Si, con l’Accademia, in particolar modo, stiamo iniziando un’interessante collaborazione. Non solo con il seminario re.con.tre tenuto da Icaro giovedì 21 gennaio, ma anche con un progetto di mostre nei nostri spazi in adesione all’iniziativa promossa dall’ASCOM Bologna. A giugno ospiteremo il progetto OpenTour, curato da Lelio Aiello». 
La Galleria p420 è presente nelle fiere internazionali più prestigiose, da New York a Londra, passando per Madrid, Bogotà e Buenos Aires. Qual è il tuo punto di vista sulle fiere dell’arte italiane? Bologna o Torino? 
«Di sicuro Torino, perché è una fiera decisamente più strutturata. Bologna ha davanti a sé ancora del lavoro da fare. La mia non è una bocciatura netta. Anzi, credo che Bologna abbia molto potenziale. Il punto è che, in una scena internazionale satura di eventi e appuntamenti fieristici, Bologna potrebbe trovare la sua strada diversificandosi, magari puntando maggiormente sull’arte italiana, cercando di diventare un polo di riferimento internazionale per questa, e continuando a migliorare la qualità degli espositori presenti». 
Leonardo Regano

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