06 ottobre 2012

L’ultimo dei fuoriusciti

 
In esclusiva su Exibart la prima intervista a Luigi Fassi, all’indomani della notizia del suo spostamento dall'ar/ge kunst di Bolzano al Festival dello Steirischer Herbst di Graz. L'ennesima fuga di un “cervello creativo” dall'Italia, dove ormai ad emigrare non sono solo gli studenti più brillanti, ma anche artisti e curatori? Lui non la vede esattamente così. E parla di un modo per far crescere il proprio Paese

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L’elenco dei nomi sembra ormai un campo di battaglia per la cultura italiana e le sue istituzioni. Solo l’altro ieri è arrivata la notizia che Paola Antonelli, la nostra concittadina di stanza a New York, dove è “Senior Curator” per il settore di Architettura e Design del MoMA, ha ricevuto un altro incarico, nella direzione della sezione di Sviluppo e Ricerca del museo. In Italia? Che prospettive avrebbe avuto la carriera dell’architetto di Sassari? E poi ci sono Massimiliano Gioni, Francesco Bonami, figure ormai più internazionali che italiane, ma anche Francesco Manacorda, Fabio Cavallucci, Chiara Parisi, Andrea Bellini, Lorenzo Benedetti, Francesco Stocchi e, da ultimo, Lorenzo Bruni, solo per citarne alcuni, che al nostro Paese hanno detto “Bye Bye”, se non in via definitiva, quasi. Senza contare tutti i giovani che famosi o meno, ogni anno lasciano l’Italia della cultura allo scatafascio per Paesi, posti di lavoro e università europee. L’ultima “vittima” di questo sistema che poche opportunità riconosce agli addetti ai lavori dell’arte, artisti compresi, è Luigi Fassi, direttore dell’ar/ge kunst di Bolzano, oltre che con una esperienza di curatore indipendente alle spalle, il quale passa alla direzione artistica dello Steirischer Herbst Festival di Graz. Ma di fughe non se ne parla proprio, piuttosto Fassi ci racconta di una nuova possibilità, per sé stesso e per il Paese. Che dovrebbe imparare a prendere quello che di buono può dare l’Europa, invece di lamentarsene.
Qui, in esclusiva, una chiacchierata con il neo direttore, tra prospettive future e uno sguardo al presente.

Dal 2008 direttore artistico per l’ar/ge Kunst di Bolzano e curatore del progetto “Vitrine” alla GAM di Torino, solo per fare un paio di esempi del suo percorso. Cosa lascia in Italia e cosa porta in Austria?
«In Italia lascio una rete di conoscenze, di contatti, di progetti realizzati e conclusi  e di altri ancora in corso. In Austria intendo portare parte di questo patrimonio personale costruito negli anni, in particolare gli ultimi quattro, spesi a New York al Whitney Program prima e a Bolzano poi».

Qual è la sua opinione riguardo a questa sorta di “diaspora” delle personalità più attive del contemporaneo dall’Italia? Un semplice “percorso di formazione” con biglietto di ritorno a casa o addio definitivo al Belpaese da parte dei “cervelli”?
«Non posso parlare per gli altri e non credo si possa generalizzare. Ogni percorso di biografia professionale segue strade e intrecci unici e particolari. Le esperienze fuori dall’Italia in qualsiasi campo, dal giornalismo all’arte alla ricerca universitaria (per citare solo alcuni esempi), sono decisive a qualsiasi latitudine e non possono che dare copiosi benefici in termini di allargamento di prospettive nel contesto di scenari competitivi più serrati. Non parlerei però di diaspore e addii: al di là di ogni retorica, l’Europa è un grande condominio, dove da Helsinki ad Atene qualunque cittadino dell’Unione può immediatamente firmare un contratto di lavoro senza alcun impedimento burocratico e godere automaticamente del diritto di residenza. Questo è un patrimonio a disposizione di tutti e la promiscuità tra i cittadini di più giovane generazione dei diversi Paesi dell’Unione è una realtà in crescita che esiste almeno dal 1987, quando fu inventato il progetto Erasmus. Ecco perché oggi lavorare al di fuori dei propri confini nazionali è un’opportunità preziosa ma non più inscrivibile in una logica di migrazione e di addio. Certo poi è vero che permangono forti differenze anche culturali e diversi Paesi europei offrono almeno nel campo artistico e universitario più opportunità che l’Italia, ma anche questo non è un dato assoluto. La promiscuità di cui dicevo sopra e la mobilità continentale non possono che favorire anche il nostro Paese, se si sanno cogliere le opportunità europee».

Continuerà a lavorare fino alla primavera del 2013 a Bolzano, e poi? Tornerà in Italia a fronte di nuovi incarichi oppure questo è il primo passo definitivo verso l’estero?
«Porterò avanti sino a giugno – seguendolo a distanza da Graz – il programma dell’ar/ge kunst a Bolzano, in quanto si tratta di progetti già strutturati che richiedono solo di essere svolti. La mia permanenza a Graz prevede di lavorare intensamente al festival dello Steirischer Herbst e mio compito sarà progettare e rafforzare la parte di arte visiva. Sono attualmente già al lavoro per l’edizione del 2013».

Negli ultimi giorni ci sono state due notizie che hanno fatto il giro della penisola: il Ministro Ornaghi che non si è presentato al meeting introduttivo dell’ottava Giornata del Contemporaneo e la nomina di Pietromarchi come curatore del Padiglione Italia a Venezia: una notizia cattiva e una buona, insomma. Che cosa pensa di questa sorta di schizofrenia italica, dove mentre tutto sembra chiudere c’è un aumento degli occupati in un settore da sempre in crisi e il pubblico reagisce sempre più numeroso agli stimoli?
«Ci sono segnali positivi da più parti, il circuito dei festival sempre in espansione su tutto il territorio nazionale, la nuova attività di Villa Croce a Genova, il prossimo nuovo corso del Madre a Napoli voluto dalla regione Campania in stretta prossimità con l’attività della Fondazione Morra Greco, il successo crescente a livello internazionale di riviste come Mousse e Kaleidoscope e una grande mobilità internazionale di artisti e operatori istituzionali. Credo sia fondamentale che aumenti il pubblico del contemporaneo, ma questo può essere solo esito di una più matura riflessione su cosa rappresentino le istituzioni artistiche come i musei in Italia, sul loro ruolo civico e le loro responsabilità, a partire da chi le dirige e amministra».

L’Austria, anche con la recentissima Viennafair, sembra aver gettato un ponte tra l’est Europa e il Medio-Oriente con gli stati della “tradizione” più occidentali. Che cosa si aspetta da Graz?
«Graz è da sempre sospesa tra Est e Ovest, sino agli anni Venti era la città degli universitari sloveni, prima della fondazione dell’ateneo di Lubiana, e proprio i confini sloveni e ungheresi sono a poche decine di chilometri. A tutt’oggi è un centro universitario molto importante e la città è ricca di istituzioni di arte contemporanea, come il Kunsthaus e la Neue Galerie e di centri di ricerca artistica più sperimentali come il Grazer Kunstverein e Rotor. Un familiare sguardo verso l’Est è il denominatore comune della sensibilità artistica della città».

Ci racconta un po’ del Festival Steirischer Herbst? Ha già notizie di budget da destinare alla parte artistica? Qualche idea pronta da sviluppare come primo passo nella nuova direzione?
«Lo Steirischer Herbst è uno dei più antichi festival di arte e teatro del mondo tedesco, la cui fondazione risale agli anni Sessanta ed è un propulsore ed un collante per tutta la scena artistica della città e della regione della Stiria, senza contare che Graz è vicina a Vienna e molto del pubblico del festival proviene dalla capitale. Da settembre a ottobre il festival occupa completamente la città, cambiando di anno in anno le sedi e i luoghi e reinventandosi costantemente. Per quanto riguarda la parte di arte visiva, prevedo di coinvolgere altri curatori esterni e lavorare a un evento espositivo centrale di forte identità».

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