05 novembre 2014

Maurizio Cattelan / L’intervista

 
Se gli si chiede se ha cambiato mestiere, dice di farne tanti. Ma tutti a modo suo. E quello del curatore non fa per lui. Troppo ordinato. Neanche l’artista gli va più bene. E allora?

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Oltre Artissima, l’appuntamento più importante di Torino è la mostra che reca la firma di Maurizio Cattelan , come curatore, insieme a quelle di Marta Papini e Myriam Ben Salah. In questa intervista l’artista (o ex artista) ce la racconta. A cominciare dal titolo e fino a parlare di molto altro
“Shit and Die”: un titolo, una firma, un’idea oppure una provocazione?
«Di sicuro si tratta dell’idea di un altro: l’abbiamo presa in prestito da un lavoro di Bruce Nauman, One Hundred Live and Die del 1984. Non è solo un titolo provocatorio. In tre parole sintetizza una delle poche certezze che abbiamo nella vita: qualsiasi cosa uno possa fare, vivrà, cagherà e morirà; senza nessuna distinzione di ceto, provenienza o genere. Credo non si possa chiedere di meglio da un titolo che essere così sintetico e così significativo. Infatti non l’ho mica inventato io».
Cosa significa per te che “Shit and Die” è il secondo progetto One Torino immaginato per estendere il concetto di exhibition–making e di arte contemporanea?
«One Torino è una spilla stravagante che una volta indossata è sorprendentemente perfetta per tutte le occasioni. Da parte nostra, “Shit and Die” è un viaggio privo di scopo, triste e insieme promettente, duro e assurdo, lieve e profondo, che di per sé non pretende di fare rivoluzioni; ma non escludo che qualcuno possa vedercene!».
Maurizio Cattelan. We, 2010. Wood, fiberglass, polyurethane rubber and fabric. 148 cm. x 79 cm. x 68 cm. Installation view, Maurizio Cattelan, Slaughterhouse, DESTE Foundation for Contemporary Art Project Space, Hydra, Greece, June 16–September 30, 2010 Photo, Pierpaolo Ferrari. Courtesy, Maurizio Cattelan's Archive
È anche un progetto commissionato a un curatore non-curatore, a un artista in pensione, a un curioso che sa scoprire e far scoprire. Come si trova Maurizio Cattelan a fare il curatore? 
«Ho sempre voluto tenere i piedi in molte scarpe perché non ho mai amato le etichette professionali, mi suonano vecchie come le corporazioni del Medioevo. Preferisco lavorare a modo mio, sia che faccia il curatore sia che faccia l’imbianchino».
Ti piacerebbe intraprendere in maniera professionale e continuativa l’attività del curatore? Come intendi questo mestiere?
«La parola professionale andrebbe dimenticata in un cassetto: la mia portinaia dice “trova un lavoro che ti piace e non lavorerai un giorno della tua vita”. Credo che il bravo curatore sia uno che riesce a rendere leggibile il caos: per quanto io sia ordinato e ossessivo, essere curatore tutti i giorni non fa per me. Non riesco a rinunciare a momenti di pura e sana perdita di controllo».
Essere un artista che si è auto-candidato al prepensionamento è un fatto che tiene conto dei tempi che corrono, di una certa stanchezza, di una nuova direzione di ricerca, di altro? 
«Più che altro di stanchezza verso me stesso. Sai, non è facile starmi vicino, mi annoio da solo! Avevo bisogno di tracciare una linea tra me e il mio lavoro, per guardarlo da lontano. Ho scoperto che distruggerei la maggior parte delle opere e ho pensato che forse non era il caso di aggiungerne di nuove, era ora di smettere».
Dasha Shishkin, I Don't Want Any Problems, None Whatsoever, Courtesy the artist

Quali credi siano oggi le conseguenze del tuo pre-pensionamento come artista? Ti senti in libera mobilità? 
«Mi sento un pittore della domenica: faccio tante cose, dalla campagna Kenzo alla mostra a TOILETPAPER, senza essere un professionista in nessuno dei campi. In questo modo lunedì non arriva mai, ed è un vero lusso».
Hai già all’attivo precedenti esperienze o progetti e attività assimilabili a quelle del curatore? Vuoi citarne una in particolare? 
«In realtà praticamente solo una, con Massimiliano* e Ali** per la Biennale di Berlino del 2006. Si trattava di un lavoro molto più lungo, da contratto dovevamo vivere lì un anno. È stato molto interessante, ci ha portato a conoscere a fondo la realtà artistica circostante, che allora era in piena fioritura. La mostra stessa era in dialogo con gli edifici di una strada, Auguststrasse, che è diventata la pagina su cui scrivere il percorso espositivo».
Natalia LL, Consumer Art, 1972 20 photos on board, 90,5 x 95,5 cm
Curi “Shit and Die” insieme a Myriam Ben Salah e con Marta Papini. Questo progetto a sei mani, sei occhi e tre immaginazioni rientra nelle tue scelte operative? Come si è sviluppata la collaborazione? 
«Credo che ognuno di noi abbia uno “strumento” che sa suonare meglio e in poco tempo ci siamo accordati alla perfezione. Non sono di quelli che deve isolarsi per pensare: tutto il mio lavoro è il frutto del dialogo con le persone di cui mi fido e che rispetto. Sono convinto che sia più facile tirare fuori a vicenda le idee dal cappello di un altro».
Nella mostra cosa vuoi raccontare e quale margine d’interpretazione e partecipazione vuoi consegnare al tuo visitatore?
«Qualcuno più saggio di me una volta ha detto che l’arte non è tale di per sé, ma per l’attenzione che le viene dedicata. Ogni opera non esiste fino a quando non viene osservata e lo stesso vale per le mostre, credo. Penso che ognuno la vedrà a modo suo, come è giusto che sia. Semplicemente, se è vero che ogni esperienza che ti tocca è positiva, spero che succederà anche in questo caso».
Quale è il peso del luogo specifico, Palazzo Cavour, nel vostro progetto? Quale quello della cornice Artissima?
«È stato come fare un vestito su misura: abbiamo ritagliato e cucito la mostra sul Palazzo, cercando di trasformare tutti gli ostacoli in opportunità. Non potrebbe essere spostata da nessun’altra parte, nemmeno in un palazzo identico in un’altra città, perché in qualche modo, anche se non evidente, è a immagine e somiglianza di Torino».
Aldo Mondino, Tappeti stesi, 1985 Olio su eraclite, 650x400 cm Courtesy Archivio Aldo Mondino
“Shit and Die”: su che cosa si basa la relazione tra luogo, storia, città, opere, oggetti e la produzione contemporanea?
«L’abbiamo pensata come un racconto per immagini: oggetti dalle collezioni dei musei torinesi sono in dialogo con opere contemporanee già esistenti, o con nuove produzioni commissionate a giovani artisti stranieri. In questo modo il passato di città industriale ormai in declino, la fascinazione per il collezionismo, il feticismo per gli oggetti sono messi in mostra ma senza esserlo in modo didascalico».
Quale è il ruolo di shitndie.tumblr.com nell’attesa dell’apertura della mostra?
«Il tumbrl è seguito, insieme a molto altro, da Lucrezia***, la nostra indispensabile vice-curatrice: l’abbiamo trattato come un diario, dove prendere appunti in modo scostante e disordinato su suggestioni che volevamo avere in mente nel pensare e sviluppare la mostra. Avere una pagina tumblr per certi versi è come curare una mostra, ma senza i trasporti!».
Supponendo che ora tu sia “grande”, cosa ti piacerebbe fare da vecchio?
«Morire senza rimpianti».
*M.C. non ama citare il cognome degli amici e delle persone con cui lavora, quindi Massimiliano sta ovviamente per Massimiliano Gioni;  **Ali per Ali Subotnick; ***Lucrezia per Lucrezia Calabrò Visconti

1 commento

  1. Ultimamente ho fatto una ricognizione sugli artisti italiani che si sono formati e hanno operato in italia negli ultimi 20 anni. Pochissime sufficienze, non perchè esista arte giusta e arte sbagliata, ma perchè dopo modernismo e post modernismo, l’opera può avere un certo grado di consapevolezza rispetto a se stessa, il contesto e le intenzioni dell’artista. Il bello dell’arte, cosa che non avviene in quasi nessuna altra disciplina, è che tutto va bene, anche se ci sono cose che vanno meglio di altre. E il bello è che questo giudizio c’entra concretamente con la nostra vita di ogni giorno. Progressivamente dalla crisi delle avanguardie, fino ai giorni nostri, le parole novità e innovazione sono state sostituite con la parola consapevolezza. Moltissimi artisti sembrano artigiani dell’arte contemporanea, affamati di citazioni al fast food della storia, burocrati della creatività, operai delle pubbliche relazioni. Con una critica totalmente anonima, che riesce al massimo a dire “Mi piace”, le pubbliche relazioni assumono un ruolo decisivo: se la mostra la fa Cattelan è una figata anche se mostra sputi e merde (cosa che potrebbe anche essere interessante per i motivi sopra elencati). Ecco, mi auguro che lo scoppio della bolla speculativa legato al mercato dell’arte, possa portarci finalmente a rivedere le opere d’arte, o vederle per la prima volta. Perchè ci interessa un’opera? Perchè sono disposto a pagare X l’opera Y? Per i giorni di Arte Fiera sto organizzando una mostra che affronterà queste due domande. Sono molto contento, sta venendo molto bene.

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