08 maggio 2023

Milano plurale. I tanti volti della Cultura raccontati da Tommaso Sacchi

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In che modo la città si rapporta con la trasmissione del patrimonio, la visione del futuro, le emergenze del presente? Quali sono i valori in cui crede e quali messaggi vuole veicolare al pubblico? Assessore alla Cultura di Milano dal 2021, Tommaso Sacchi parla di apertura dei confini tra le arti come veicoli irrinunciabili di un sistema capillare

Tommaso Sacchi ph. Pietro Baroni
Tommaso Sacchi ph. Pietro Baroni

Tornato nella sua città di origine dopo l’esperienza alla guida dell’assessorato alla Cultura di Firenze a fianco del sindaco Dario Nardella, Tommaso Sacchi – classe ’83 – ha preso in mano le redini di una città che aveva subito una forte battuta di arresto dopo i fasti di Expo e dopo l’inevitabile sconquasso pandemico. Una situazione forse non tra le più rosee, ma che scandisce al tempo stesso la possibilità di riscrivere un paradigma culturale tendendo la mano alle inquietudini di una città in espansione, in cui a convivere sono le esigenze di pubblico, privato, associazionismo e Terzo settore. Tante le voci che chiedono spazio: la conservazione del patrimonio e il supporto alle nuove forme di creatività, i servizi “a misura di quartiere” e i nuovi centri culturali da realizzare con i fondi del PNRR e in vista delle Olimpiadi del 2026, senza dimenticare il coinvolgimento della cittadinanza attiva, le questioni sociali e la rappresentanza dei diritti. Un sistema complesso e plurale che assegna alla Cultura un ruolo di traino, e che cerca nuovi equilibri mettendo al centro del proprio operato concetti di prossimità, capillarità e inclusione, come ci racconta Tommaso Sacchi in questa intervista.

InsideOut, il progetto di JR per l’Arengario di Milano

Se ti dico “cultura trasversale” a cosa pensi?
Sicuramente Milano è la città in cui è più difficile tracciare confini. La considero una potenzialità, non un limite: dove finisce la music week inizia la settimana dell’arte, dove finisce il design inizia la moda, e così via. Ma al di là degli aspetti legati al calendario, sempre di più si sperimenta questa “diagonalità” delle forme espressive. Accade in maniera molto evidente: quello che puoi vedere oggi al Teatro dell’Arte in Triennale potrebbe certamente far parte di una Biennale d’Arte di Venezia. E questa è Milano, la città contemporanea per eccellenza che permette di vivere un bellissimo intreccio di forme artistiche e di pubblici diversi con una programmazione sempre più internazionale che ne consolida il ruolo di destinazione culturale di primo piano.

Cosa intendi di preciso?
Proviamo a immedesimarci nell’offerta di cui gode il pubblico milanese: il pubblico della danza contemporanea può avvicinarsi all’arte visiva, quello dell’arte può interessarsi alla music week, a PianoCity, oppure alla lettura. Ecco, questa credo che sia la formula della Milano della cultura.

La Galleria del Futurismo al Museo del Novecento di Milano ph. Margherita Gnaccolini

Quali sono state secondo te le spinte che hanno portato a questo risultato?
Il sistema del contemporaneo negli ultimi dieci anni è stato rafforzato anche da istituzioni private. Ci sono due luoghi di straordinaria importanza per il sistema dell’arte milanese, mi riferisco a HangarBicocca e Fondazione Prada, figli di una illuminata cultura imprenditoriale che ha dato vita a luoghi di respiro internazionale. Su questo intreccio tra pubblico e privato, oggi, la nostra città si trova a giocare delle partite nuove.

Ci fai qualche esempio?
Stiamo lavorando al secondo Arengario, che raddoppierà il Museo del Novecento, e alla Biblioteca Europea di Informazione e Cultura (BEIC), 20 mila metri quadri dedicati alla lettura in una zona della città in forte evoluzione. Progettare una biblioteca nel 2023 vuol dire tener conto del rapporto tra il mondo della scrittura e quello dell’arte visiva, tra l’analogico e il digitale. È una delle occasioni da non perdere, anzi da sviluppare, in questa fase post traumatica. Così come il Museo dell’Arte Digitale, voluto dal precedente Ministero della Cultura, che sarà guidato da Ilaria Bonacossa e nascerà in un’area che ha assunto nuova centralità (l’asse Corso Venezia – piazza Oberdan – Corso Buenos Aires fino a Piazzale Loreto), risolvendo l’impiego dell’Albergo Diurno e dei caselli daziali.

Mudec, Milano ph. Francesco Ungaro
Mudec, Milano ph. Francesco Ungaro

Tornando alle biblioteche, mi sembra che oltre alla nascente BEIC il lavoro dell’assessorato in questi anni sia stato incentrato sul concetto di capillarità delle stesse.
Ho sempre detto in maniera molto chiara che puntare sulle biblioteche e far crescere il sistema bibliotecario di una città come Milano, vuol dire creare dei presidi culturali sempre più aggiornati e accoglienti. Le biblioteche, svolgono infatti un ruolo sociale importantissimo nella nostra città. Sono nate ad esempio le biblioteche di condominio all’interno delle case Aler e MM di edilizia convenzionata, un esempio straordinario di patto tra cittadinanza attiva, cittadinanza residente e istituzioni. Su questi patti si incardinano i nuovi elementi della geografia culturale urbana della cultura: le biblioteche come luoghi sociali tra i più democratici, dell’accesso e dalla fruizione liberi e gratuiti, oltre che in costante aggiornamento.

Quali sono gli altri strumenti di accesso?
Abbiamo inaugurato un sistema di distribuzione dei libri di prestito automatizzati in metropolitana e poi fuori dalle biblioteche, per rendere la circolazione culturale sempre più facile, agile e immediata. Non dimentichiamoci di Bookcity: il fatto di avere un festival di riferimento che mette insieme talenti, autori, editori, critici in migliaia di luoghi della città – un grande festival diffuso – aiuta a dare ulteriore senso a questo tipo di investimenti.

A proposito di geografie culturali e sociali della città, un altro tema su cui si sta da tempo insistendo è il ribaltamento del rapporto centro-margini.
Penso che la cosa più importante sia il rapporto tra il centro e i quartieri: allargando lo sguardo in una dimensione più europea, quando la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, ha lanciato nella sua campagna politica l’idea della “città dei quindici minuti” ha trovato una modalità molto chiara per spiegare il senso della città policentrica. Ha avuto la capacità di aprire un dibattito che poi si è sviluppato in tutte le città internazionali e nella stessa Milano.

Residenze Ucraine alla Fabbrica del Vapore di Milano
Residenze Ucraine alla Fabbrica del Vapore di Milano

Come può intervenire la cultura in questo senso?
C’è un’attenzione costante in tutto quello che facciamo. In alcuni casi ovviamente c’è una centralità proprio geografica delle istituzioni, come per le grandi mostre di Palazzo Reale. Pensiamo, però, alla mostra che ogni Natale si organizza a Palazzo Marino, portando capolavori grazie alla sempre crescente cooperazione con altre città italiane e europee: abbiamo poi voluto allestire opere in tutte le biblioteche rionali. Un’operazione che accompagna i festival diffusi: ormai non esiste più una “week” che non tenga conto di presenze o di appuntamenti al di fuori del centro storico.

A contribuire al concetto di arte diffusa è anche l’ufficio di Arte Pubblica istituito nel 2021. Che valore date a questa iniziativa?
Abbiamo pensato che Milano avesse bisogno di un ufficio dedicato all’arte pubblica, anche per uscire da quel paradigma sbagliato per cui arte pubblica vuol dire solo murales. Il recente progetto “Un nome in ogni quartiere” ha una dimensione anche sociale di partecipazione di artisti e residenti. Arte pubblica significa anche creare strutture di design in giardini e parchi della città, coinvolgere artisti del mondo della scultura, oppure un autore del calibro di JR, facendolo lavorare sul tema delle RSA. Per chiudere la nostra riflessione sul rapporto tra centro e periferia, quello che stiamo cercando di fare è di dare una matrice, un’identità più organica a questi investimenti che riguardano tutti i quartieri.

Non è un caso che JR abbia parlato delle RSA, mettendo in piazza del Duomo i volti di persone anziane. Quali sono i valori che la città vuole veicolare? Mi riferisco anche al ripensamento della toponomastica…

 

“Milano plurale. I tanti volti della Cultura raccontati da Tommaso Sacchi” prosegue nel numero 120 di exibartonpaper. Scarica la tua copia digitale qui

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