24 settembre 2003

Parola di Abbas

 
Lo statuto dell’immagine e il sentimento della vita, sono una stessa questione per il genio poliedrico di Abbas Kiarostami (Teheran 1940). Il cineasta-fotografo-poeta così si racconta in una intervista ed in alcune dichiarazioni raccolte dal nostro Nicola Angerame. A latere della sua mostra attualmente allestita a Torino…

di

Iniziamo dalle origini. Quanto hanno contato?
Mio padre era imbianchino. La vita culturale nella mia famiglia, povera. Non credo ci sia alcuna ragione particolare perché io sia diventato un regista. Forse è per questo che finora non ho trovato una definizione di cinema. So però cosa di esso non mi piace: quando si limita a raccontare una storia e diviene un surrogato della letteratura. Credo che occorra prefigurare un cinema in-finito, in modo che lo spettatore possa riempire i vuoti. Molti film mostrano decisamente troppo.

Che rapporto ha con le immagini?
L’immagine mi ha sempre sedotto. Che fosse quella fotografica o quella pittorica, ho sempre subito questa impressione e ciò mi ha condotto al cinema. Credo che l’immagine sia all’origine di tutto, sovente ho scritto una sceneggiatura a partire da un’unica immagine mentale.

Come ha iniziato con la fotografia?Abbas Kiarostami
Un giorno non avevo niente da fare. Erano i primi anni della rivoluzione e il nostro lavoro di cineasti era bloccato dagli accadimenti politici. Così ho comprato una macchina fotografica Yashika a poco prezzo e me ne sono andato in campagna. Sentivo il bisogno di essere tutt’uno con la natura, era lei che mi guidava. Ai miei occhi la fotografia ha un posto a parte.

Quale posto?
La fotografia non obbliga a dire qualcosa. Il cinema lo fa, ma la fotografia no.
Una volta eravamo a girare un film a Rasht. Finite le riprese tutti tornarono a Teheran. Rimasi così da solo con la mia macchina fotografica. Per sedici giorni mi ero limitato a seguire lo scenario, parlando con tutti e tenendo conto di tutte le difficoltà. Adesso, potevo cercare l’immagine che volevo, liberamente. La fotografia soddisfa i sentimenti creatori e rende possibile l’accesso alla serenità. Quando ho visto le foto prese da Kasraian sulle montagne di Damavand, ho pensato che fosse il sommo del sacro, della devozione: passare degli anni a fotografare costituisce credo qualcosa di sublime che consacra la superiorità dell’arte fotografica sul cinema.

Kiarostami Che differenza c’è tra chi fa cinema e chi fotografa?
Il cineasta è un raccoglitore di immagini, il fotografo ne è un discernitore. La fotografia educa il nostro pensiero, la nostra visione e quello che concerne il senso dell’equilibrio, l’armonia.

E la realtà?
Cito sempre volentieri la frase di Jean-Luc Godard, “la realtà è un film venuto male”.

Come sceglie le sue storie?
Sono loro che scelgono me. Quando un’idea mi possiede e non riesco ad abbandonarla, allora l’adotto. Tante belle idee spesso arrivano ma non si fermano. Non sono quelle giuste.

Quali sue storie preferisce?
Per molto tempo ho amato Close-up, perché era un film in cui avevo fatto molto poco. I personaggi erano così forti che guidavano la storia. Adesso ho girato 5 cortometraggi in cui faccio ancora meno. Diciamo che i film in cui mi impegno di meno sono quelli che mi piacciono di più.Kiarostami

Lei scrive anche poesie. E’ appena uscita la seconda raccolta…
Dico solo una cosa: non cercate la verità nelle poesie.

Come si rapporta con il suo straordinario successo mondiale?
Per il mio cinema anche tre file di persone sarebbero sufficienti.

Da iraniano si deve confrontare con la censura. Spesso ha detto che bisogna fare film che non siano censurabili.
Si, e non è un’auto-censura. Occorre sapere dove si vive, conoscere la propria società, la politica del proprio paese e se stessi. Un mio amico architetto mi ha detto che costruisce case più belle quando il terreno è accidentato. Le difficoltà possono essere degli stimoli.

KiarostamiQuale rapporto ha con la religione e la tradizione del suo paese?
Chiedo di poter non rispondere alla prima domanda… la religione è una questione intima, molto privata e determinante. La tradizione è una parte dell’identità del singolo. E’ sempre presente, anche quando la si rinnega. Il culturale è personale.

Lei è stato alla 49a Biennale d’arte dove presentò Sleepers…
Sì, e molti mi dissero che Andy Warhol aveva fatto qualcosa di simile. Solo che il suo durava 8 ore, mentre il mio solo 98 minuti. Occorre accettare che nel mondo non c’è nulla di nuovo, tutto è già stato fatto. Solo che ogni volta cambia qualcosa, come ad esempio il momento storico. Quello è unico.

In che modo è passato alla video arte?
Io seguo l’istinto. A volte sono più lento a volte più veloce. Ma sul passaggio dal dinamismo del cinema alla staticità del video forse bisognerebbe chiedere a un analista.

Parliamo della doppia mostra fotografica alla Fondazione Sandretto. Perché le strade?
Non ricordo qual è stata la prima strada di fronte alla quale mi sono fermato per scattare una fotografia ma quando ho rivisto tutto il mio materiale, mi ha colpito il fatto che avevo fotografato moltissime strade. Anche il mio cinema è pieno diAbbas Kiarostami strade. Hanno un significato profondo nella poesia iraniana perché alludono alla nascita e alla morte. Nella nostra vita, quando affrontiamo i momenti difficili, è come se superassimo delle colline, delle strade irte e difficili.

A Torino presenta anche il video The Minutes Older
Un lavoro nato per una società di produzione inglese che aveva invitato alcuni registi a realizzare un cortometraggio sul passare del tempo. Sono partito da una poesia che dice, “il conto alla rovescia del giorno della mia morte è iniziato il giorno della mia nascita”. In effetti il bambino inizia a invecchiare da quando viene alla luce: perciò ho deciso di concentrarmi sull’invecchiamento di un neonato. Ogni volta che vedo il film mi accorgo di essere invecchiato di dieci minuti. E’ questo il messaggio che voglio dare a chi guarda: “sei invecchiato di dieci minuti”. Il committente lo ha rifiutato. Per questo la “prima” si tiene ora a Torino.

In 5 Long Tales of Abbas Kiarostami, che viene presentato in prima mondiale, c’è la scoperta del digitale.
La camera digitale ha eliminato in me ogni forma di auto-censura. E’ come la fotografia, quando vedo qualcosa che mi interessa o mi colpisce posso registrarla, trasformandola in una foto in movimento. Non ha nulla a che fare con il cinema narrativo.

E la sperimentazione?
L’anno scorso mi trovavo sul bordo del Mar Caspio e mi sono accorto che di fronte alla mia casa, in quei cinquecento metri di spiaggia, accadevano un sacco di piccoli eventi apparentemente insignificanti. Se uno si mette lì con pazienza ad osservarli, è un mondo che si rivela. E’ un tipo di lavoro che si avvicina alla poesia e alla pittura. L’autore rimane ma viene eliminato come Deus ex machina.

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nicola angerame


La mostra:
Sulle strade di Kiarostami
FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO
via modane 16 (10141)
+39 01119831610 (info), +39 01119831601 (fax)
info@fondsrr.org 
www.fondsrr.org
orario: Martedì – Domenica: 11-19
Giovedì: 11-23
Lunedì: chiuso
Aperto per le scuole: 9-19
biglietti: Intero: 5euro
Ridotto: 3euro (studenti, maggiori di 65 anni)
Gruppi: 4euro (minimo 10 persone)
Gratuito per minori di 12 anni
Gratuito il giovedì dalle 19 alle 23
vernissage: 18 settembre 2003.
curatori: Alberto Barbera, Elisa Resegotti
patrocini: BIM, MK2, Galerie de France, Kanoun e di Nasrine Mirshab
note: accesso ai disabili
email: barbera@museonazionaledelcinema.org


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