03 giugno 2014

Quelli che. L’intervista/ Michele D’Aurizio Il bello del no profit

 
Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta di gallerie e altre realtà che s’inventano qualcosa che non c’è. Stavolta è il turno di Gasconade, spazio indipendente milanese. Gli artisti esposti? I più giovani presenti sulla scena milanese. Ma lo spazio di piazzale Lavater è anche altro. Un’idea di lavoro (e di vita) comune ai curatori e agli artisti che passano da lì. Ecco come lo racconta il suo co-fondatore e curatore

di

Andrea Romano Claque & Shill (2011) Pencil on paper, meera white granite, 36 x 46 x 4 cm Installation view of

Tu, Luca Castiglioni, fondi insieme a Davide Stucchi Gasconade nel 2011. Condividete lo spazio con la galleria Federico Vavassori. Inizialmente l’esigenza è quella di tenere unito il vostro network di amici, artisti, curatori in erba. Nascete inoltre per sperimentare le professionalità acquisite durante gli anni di studio. Cercando su internet è cosi che venite ancora presentati, mi chiedo cosa sia cambiato dal 2011?

«È cambiato tutto ciò che nel corso di tre anni generalmente cambia nella vita di un individuo: i gusti musicali, i tagli di capelli, i fidanzati, ecc. E faccio questi esempi perché la sfera delle esperienze umane ha sempre influito sulle scelte ‘professionali’ che hanno contraddistinto la nostra programmazione. Gasconade è stata prima di tutto una comunità di individui che, per quanto permeabile ed inclusiva, si è nutrita della condivisione di attitudini e sensibilità che la programmazione ha successivamente catalizzato. Oggi percepisco nei singoli membri della nostra comunità un maggiore entusiasmo a coltivare intimamente la propria attività professionale (sia essa una pratica artistica o curatoriale, o un ruolo altro nell’industria dell’arte); a differenza del recente passato connotato invece dalla costante ricerca di un dialogo collettivo nel quale trovare un’approvazione dei propri intenti. Siamo certamente tutti un po’ più soli, ma ben consci che il cuore del ‘progetto’ Gasconade sono amicizie e relazioni intellettuali indelebili, a cui tutti ‘eternamente’ ritorneremo».
Alessandro Agudio, Marco Basta, Lupo Borgonovo, Beatrice Marchi, Andrea Romano, Davide Stucchi Rosa Titanica (2013) Installation view of
Caratteristica di Gasconade è esporre giovani artisti locali, scelta di campo molto netta. Oggi questi artisti sono emergenti o in fase di affermazione. In prospettiva, come si vede Gasconade tra dieci anni?
«In quanto programmazione di mostre ed eventi collaterali, Gasconade ricade nell’ambito di quei progetti definibili come ‘piattaforme curatoriali’. Volendo quindi astrarne l’operato e ipotizzarne un lascito, credo sia necessario guardare all’apporto del progetto nella definizione di un linguaggio curatoriale da parte delle singole figure che hanno delineato la programmazione. Non posso quindi rispondere per Davide, né per Luca, e tanto meno per Viola Angiolini, che si è unita a noi solo recentemente. Potrei però affermare che nella mia personale ricerca, che spesso vede un ricorso ai topoi della vita cristiana per motivare una fede incondizionata nel portato socioculturale dell’arte contemporanea, Gasconade comparirà come un progetto sull’empatia, il sentire comune: la collaborazione tra artisti, l’appartenenza a una comunità artistica, la relazione intima con un altro artista. Si tratta di situazioni che spesso il sistema dell’arte sfrutta discorsivamente per generare un valore umanistico che legittimi il valore monetario delle proprie operazioni. Credo che attraverso Gasconade io, Davide, Luca, Viola e gli artisti con cui abbiamo collaborato, abitiamo quelle situazioni tendendo a una certa attitudine alla criticità, trasformando la collaborazione in un clichè narrativo e smitizzando la vita della comunità nella nudità della vita quotidiana».
Alessandro Agudio Installation view of
In un’intervista hai dichiarato che guardate all’Arte Povera e alla Transavanguardia per carpire le strategie di marketing che hanno favorito il loro affermarsi. Entrambe sono intimamente legate al contesto storico e ancor di più ai critici, Germano Celant e Achille Bonito Oliva, che le hanno teorizzate e consacrate al successo mondiale, con artisti che ancora oggi sono esposti in musei internazionali e che influenzano le generazioni più giovani. Quali sono state le conclusioni di questa riflessione? E, data la decisione di esporre artisti di una generazione ben precisa, Gasconade pensa di costituire una corrente in grado di parlare al contemporaneo attraverso un linguaggio corale e che ne definisca la poetica, sia dal punto di vista critico che estetico?
«Viviamo in un’epoca contrassegnata dall’individualismo e dal carrierismo, che quindi non favorisce l’emersione di fenomeni come i movimenti artistici canonicamente intesi dalla storia dell’arte. Con Gasconade non ci siamo mai proposti di andare a individuare un’estetica o una poetica di gruppo e la programmazione non ha mai visto occasioni di interpretazione storico-critica delle pratiche artistiche presentate nello spazio, anche al fine di aggirare quella capitalizzazione del progetto a cui accennavo nella risposta precedente. Abbiamo sempre e solo licenziato narrazioni a carattere emozionale, discorsi che a differenza di affermazioni teoriche, sfuggono a strategie di manipolazione ai fini di creazione di valore capitale, perché le emozioni in primis non sottostanno a valutazioni di carattere quantitativo né qualitativo.
Credo che sia l’attitudine a ‘tradire le aspettative’, a camuffare da entusiastica partecipazione al sistema dell’arte un atteggiamento fortemente antisistemico che contraddistingue la vera natura ‘indipendente’ e ‘sperimentale’ di Gasconade. Forse tutto ciò non è altro che l’espressione di un cinismo profondo, più che di un atteggiamento da ‘carboneria’ o effettivamente avanguardista. Tale cinismo connota inevitabilmente ogni mia personale visione critica delle pratiche artistiche ospitate da Gasconade. Credo quindi che il mio criticismo debba essere esplicitato in altri contesti, affinché l’esperienza di Gasconade possa preservare quelle ‘spontaneità’ e ‘purezza’ funzionali alla sua missione». 
Beatrice Marchi Occhi tristi #4 (2014) Stampa digitale su poliestere, polistirene, raso, ecopelle, imbottitura, legno / Digital print on polyester, polystyrene, satin, faux leather, padding, wood; 62 x 80 x 14 cm; 82 x 20 x 1 cm; 164 x 20 x 1 cm Installation view of
So che Gasconade non ha una scuderia di artisti definita, ma si apre di volta in volta a nuove collaborazioni. Raccontaci qualche breve aneddoto che metta in luce la personalità artistica (e non) degli artisti passati per Gasconade.
«Nella stagione 2014-15 ci prenderemo un ‘anno sabbatico’ dalla programmazione di mostre e lavoreremo a un unico, macroscopico progetto; ovvero la stesura di un romanzo corale che racconti la nostra crescita come individui e come professionisti nel sistema dell’arte milanese negli ultimi tre anni, dall’apertura dello spazio di P.le Lavater 2 ad oggi. Il romanzo non avrà una struttura cronologica, ma raccoglierà essenzialmente una selezione di aneddoti, organizzata secondo delle aree tematiche: l’esperienza della programmazione dello spazio sarà affiancata da ricordi che approfondiranno il nostro background socioculturale, il lifestyle della nostra comunità, le nostre interazioni con il sistema dell’arte internazionale, ecc.
Di aneddoti legati all’esperienza di Gasconade infatti ne esistono innumerevoli, ed estremamente variegati, perché variegate sono le voci che hanno perso parte al progetto. Ancora qualche mese di pazienza e la tua richiesta sarà pienamente accolta…».
In un’ intervista Video per Studio fai emergere un punto centrale per tutti i giovani animati da passione, dedizione e amore per l’ arte: la carriera. Come Gasconade cerca di supportare le carriere dei suoi artisti? Questa non è forse la sfida più grande per voi?
«Gasconade non collabora con artisti nell’accezione in cui una galleria commerciale ne rappresenta la pratica: da parte nostra, non esiste alcuna assunzione di responsabilità nei confronti del lavoro dell’artista, anche se gli dedichiamo una mostra. E anche laddove abbiamo reiterato la collaborazione con uno specifico artista, ciò è accaduto in scenari paralleli alla programmazione dello spazio di P.le Lavater 2, progetti off site o inviti ricevuti da terzi. Certamente Gasconade può essere interpretata come una ‘piattaforma di lancio’: lo è stata per me come per tanti degli artisti con cui abbiamo promosso dei progetti. E nonostante creda che ognuno sia responsabile della propria carriera – io, Davide, Luca e Viola rivestiamo anche ‘altri’ ruoli professionali, così come alcuni degli artisti della nostra cerchia più ristretta collaborano con gallerie – il network stabilito da Gasconade è talmente radicato da poter favorire l’emersione di tutti tramite quella del singolo».
Raccontaci della “depandance” di Gasconade, Guest a Roma.
«Guest è nata dalla volontà di approfondire alcune relazioni con il sistema dell’arte romano a seguito di residenze che io e Davide abbiamo condotto nella città. 
In un secondo momento, la natura del contesto espositivo – un appartamento borghese di proprietà di un amico artista – ha fatto sì che il progetto trovasse la sua specificità nel dialogo, a tratti conflittuale, con un display domestico e una personalità creativa ‘altra’, quella del nostro ospite appunto. In un certo senso, anche questo tentativo di approcciare un nuovo pubblico, è ricaduto nella discussione di relazioni interpersonali intime. Il nostro dovere sarà restituire queste narrazioni non come relazioni esclusive, ma semplicemente come bellissime amicizie fisiologiche alla crescita dell’individuo nel proprio contesto socioculturale».

2 Commenti

  1. Ma questi giovani di cosa vivono??? Cosa fanno tutto il giorno?

    Al di là delle belle parole, mi sembra che il format si contorca nei soliti rituali, dove gli artisti per trovare un piedistallo, si aprono da soli una galleria. Sperando prima o poi di salire su gallerie e istituzioni maggiormente consolidate.

    Basta guardare i lavori esposti per capire che siamo davanti alle solite cose, che alcuni definirebbero “fighette” e mainstream.

  2. caro Luca, son davvero d’accordo con te. Il fastidio che provo leggendo di questi giovani, veri autori della distruzione del ruolo da curatore come intellettuale, è enorme. Ragazzi che non hanno ben chiara l’idea del ruolo politico e culturale dell’arte, vedono solo individualismo e carrierismo, “curatori” che hanno il solo merito di saper stringere qualche relazione e di promuovere qualsiasi cosa passa in convento (tanto è tutto bello/brutto uguale) pur di divenire interlocutori del mainstream. Il ruolo del curatore sta morendo, gli stessi artisti ormai lo possono fare, perché ormai basta allestire in maniera curiosa uno spazio e stringere due accordi, magari aggiungendo un copia incolla con due citazioni a caso come testo di sala. Dove porta tutto questo se non in un autoreferenzialismo ancora più marcato e ad uno svilimento semplicistico di tutta l’arte contemporanea non ci è data saperlo.

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