06 febbraio 2008

pre[ss]view_anniversari Ponti per un compleanno

 
A ottant’anni dalla fondazione -il primo numero porta la data del 15 gennaio 1928- Domus celebra il genio di Gio Ponti. Ideatore della rivista e suo animatore per quasi mezzo secolo, a lui è dedicato un numero davvero speciale. Che vede la collaborazione di molti artisti e autori contemporanei: Martin Parr, Pablo Bronstein, Walter Niedermayr, Mimmo Jodice, Luisa Lambri, Tom Sandberg, Jeff Burton, Salvatore Licitra, Tobias Rehberger e altri ancora. Abbiamo incontrato Flavio Albanese, direttore di Domus da meno di un anno. E gli abbiamo chiesto di raccontarcelo...

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“80 anni di Domus” rappresenta forse il meglio della cultura visiva italiana e internazionale. Dev’essere una bella emozione consegnare al pubblico un numero così importante…
Certamente! Prima di tutto è stato un enorme sforzo di redazione, un esercizio non certo facile, perché ha richiesto a tutti quanti un’incredibile disciplina. È stato come chiedere a degli esperti dei cento metri di lanciarsi in una maratona. In più, coordinare tutti gli artisti che hanno partecipato così attivamente a questo numero ha richiesto una disciplina e motivazione superiore per stare dietro alla varie “star” e ai loro tempi. Ma questo risultato si è avuto anche grazie alla straordinarietà di Ponti, capace di re-innestare le riflessioni nell’attualità. L’idea di questo numero poi nasce da una sorta di coincidenza.

Raccontacelo.
Nel 1928, lo stesso anno della nascita di Domus, Aby Warburg pubblicò Mnemosye, che raccoglieva e accostava una serie di tavole di montaggi fotografici soprattutto di arte rinascimentale, ma anche di reperti dell’antichità. È così che abbiamo pensato all’idea, per questo anniversario della fondazione di Domus di Gio Ponti nel 1928, di proporre un atlante fatto per luoghi e immagini, ripercorrendo alcune delle infinite opere di Ponti, ma in qualche modo “metabolizzate” come in Mnemosye. Quello che abbiamo voluto fare non è una celebrazione, che non interessa a nessuno, non un monumento fine a sé stesso di Ponti.

Flavio AlbaneseTra gli autori chiamati a interpretare il “continente” Gio Ponti ci sono famosi artisti contemporanei. Com’è avvenuta la scelta?
Sono state scelte fatte pensando a chi, tra gli artisti contemporanei, poteva meglio dialogare e fornire una lettura inedita dei vari edifici e oggetti di Ponti. Ad esempio, nel caso di Francesco Vezzoli, il suo intervento attento e ironico si spiega anche nelle parole del testo scritto per questo numero da Francesco Bonami, dove viene sollecitato questo interrogativo. Ovvero, Vezzoli in qualche modo afferma che Gio Ponti è stato il vero innovatore dell’interior design, così si domanda se Ponti non fosse nel closet [“closet” in inglese sta per armadio ma in slang intende anche un omosessuale non dichiarato, N.d.R.] e così è andato a guardare letteralmente cosa c’è negli armadi di Ponti. Nel caso di Rehberger poi, il suo intervento è stato inteso come un dialogo lisergico fatto di disegni originali dell’artista dove compaiono domande inevase. Per quanto riguarda la borghese villa Bouilhet di Gio Ponti a Garches, chi meglio di un fotografo come Martin Parr che ha sempre raccontato gli oggetti e le abitudini della borghesia per rileggerla e interpretarla? Così come ci è sembrato interessante vedere come Jeff Burton, celebre per le sue foto dove vedi questi ragazzi che si fanno i pompini, riuscisse a restituire in modo inedito alcuni luoghi come la piscina dell’Hotel Royal a Sanremo. Niedermayr voleva fotografare il grattacelo Pirelli. Hai presente come sono le sue foto, con che tipo di luce tersa magnifica?

Certamente. E dunque?
E invece quel giorno che ha scattato la luce era fortissima e rifletteva sul palazzo, così si è concentrato su alcuni dettagli, costruendo un nuovo progetto ma facendo in modo che questa non diventasse una mera documentazione.

Se penso a Luisa Lambri e Tobias Rehberger, il loro lavoro si è rivolto molto da vicino a una lettura delle forme dell’architettura e del design. Oggi il ruolo dell’artista è anche quello di interpretare il passato per conservarne la memoria e porgerlo nel presente?
Tobias RehbergerSono dell’idea che l’artista non deve fare “archivio”, piuttosto nel caso di questo numero ho pensato al “materiale pontiano” come a un accumulatore di energia; cioè, se una batteria accumula 12 volt, abbiamo fatto in modo che tramite gli artisti coinvolti ne restituisse 360! Quindi, in questo caso la cosa che mi piace del lavoro svolto dai diversi artisti è proprio quello di aver maneggiato questo materiale incredibile di Ponti, ma senza un aspetto conservativo, senza creare un monumento sterile che, come dicevo, non era la mia idea di celebrazione di Domus. Quindi gli artisti non hanno interpretato Ponti, ma nei loro interventi ne persiste la sostanza, nella poetica che è propria del singolo autore.

Gio Ponti è stato un personaggio vulcanico e, per certi versi, molto più contemporaneo di alcuni autori a lui coevi. Oggi esiste un personaggio che gli somigli?
È molto difficile, perché i tempi e il mondo sono molto cambiati. Oggi è difficile occupare tutti i settori in modo straordinario come fece Gio Ponti, ci sono autori eccellenti che si concentrano su segmenti specifici. Però sicuramente ci sono grandi figure, ad esempio Toyo Ito, perché più di altri -come Frank O. Gehry- è stato capace di cambiare nel tempo e interpretare il presente, rinnovandosi senza fissarsi su una forma.

Questo numero speciale diverrà una mostra vera e propria in aprile, in occasione del Salone del Mobile. A tuo avviso Milano, al di là delle produzioni di mobili e del mercato, è ancora un centro culturalmente valido rispetto al design e all’architettura?
Sicuramente quella stagione a cui fai riferimento è passata. La città non vive più di quell’energia, l’esplosione demografica poi inevitabilmente porta a una sofferenza dei luoghi. Detto questo, è vero che Milano eccelle come catalizzatore per il suo senso di ospitalità. Ci sono molte dinamiche ospitate nella città, ma appunto l’ospitalità è un insieme di doveri e non solo piaceri. Ma questa caratteristica gli permette di offrirsi ancora al mondo, e va riconosciuto.

Nella storia della rivista si sono succeduti importanti nomi di architetti, intellettuali che hanno diretto domus imprimendo un segno sempre molto riconoscibile. C’è stata una direzione di Domus che ti ha interessato di più?
Pablo BronsteinDiciamo che, da lettore compiaciuto, ci sono state alcune direzioni che mi hanno appassionato di più. Per motivi diversi, indicherei la Domus di Alessandro Mendini e quella di Stefano Boeri. Ma vedi, come in un panino ci sono ingredienti e strati più saporiti e poi ci sono magari fette di pane più insipide ma che sono comunque importanti per bilanciare il sapore, ci sono state delle direzioni di Domus altrettanto importanti, anche se apparentemente meno “saporite”.

Ci sono cambiamenti all’orizzonte per i prossimi numeri di Domus?
Certo! Anzi, spero proprio che ce ne siano di continuo, a partire dalla grafica, che da aprile sarà completamente rinnovata. Ma non ho in mente stravolgimenti, anche perché Domus ha da sempre un suo pubblico, che vuole trovare certi contenuti e che io rispetto profondamente. Quindi non ha senso fare scorribande culturali. Piuttosto Domus è una rivista specchio di una società matura e, come tale, ha bisogno di rinnovarsi, di cambiamenti e valori semantici nuovi. Altrimenti il rischio è quello di impoverirci veramente. Abbiamo bisogno di nuova linfa e quindi anche la rivista vivrà di cambiamenti. Vi sorprenderemo!

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a cura di riccardo conti


Info: www.domusweb.it

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