20 aprile 2005

fino al 20.V.2005 Charles Avery – Avatar Roma, s.a.l.e.s.

 
Cacciatore della Verità, in una terra ai suoi primordi. Con un rigore euclideo e un’eleganza assoluta, l’artista scozzese estende la sua ricerca. Ma con una simbologia tutta induista, con disegni sicuri e suggestive installazioni. Non senza leggere note di poesia…

di

She told me the grass is alive/I said/naturally the grass is alive/she said no/the grass is alive”. Così inizia il racconto. Ogni opera è un episodio a sé, ma come in tutti i lavori di Charles Avery (Oban, Scozia 1973, vive a Londra), possiamo considerarle anche ognuna come un atto unico di una pièce teatrale. Perché così appaiono le figure di Avery: attori. Eleganti, sofisticate, un pizzico altezzose. Figure delineate con segno forte e deciso, che dimentica la corporeità. Come accadeva anche nel medioevo, nei bellissimi mosaici ravennati, dove i piedi della Teoria delle Vergini e dei Martiri si sovrapponevano incuranti delle regole prospettiche. Non mancano certo i ripensamenti, che in alcuni casi lasciano una lieve traccia dando addirittura la sensazione di un’eterea presenza. Come nel pannello del trittico. Lei (Dorothea?), con abito lungo, di fattura neoclassica, con i capelli raccolti e le immancabili perle ai lobi, è delicatamente appoggiata al tavolo. Quel tavolo su cui poggia il vaso con le “piante vive”. Con un vertiginoso ingrandimento, il vaso visto da così vicino rende meno assurdo il dialogo appena svolto tra Lei e l’anonimo interlocutore. Quelle piante sono veramente “vive”. Vive di uno spirito disceso, dell’anima eletta che si è incarnata in uno dei primi dieci avatar che rappresentano l’evoluzione della vita e dell’umanità. Nella fase degli oceani primordiali, nel periodo degli anfibi, nel momento del passaggio sulla terra dei rettili. E loro, i cobra reali, simbolo dell’energia che nel corpo umano risiede, dormiente, nella zona dell’apparato riproduttivo. Ma quando prende coscienza e si desta, essa risale, attraverso la spina dorsale, fino alla base del cranio per ricongiungersi a kundalina, la coscienza cosmica. E sono tre, i serpenti, come la Trinità indù, uno più alto degli altri due, tanto alto da superare il limite dello specchio. Quindi quello che ha di fronte non è neanche più la sua immagine speculare, bensì un altro spirito eletto.
Guardando quest’installazione, lo spiazzamento è forte. Un tavolino bianco, esile come quello su cui è appoggiata la donna, simile a quello da ping pong la cui rete centrale è sostituita da uno specchio. Vi si riflettono i tre serpenti. E dall’altra parte? Non il niente, come solitamente ci si aspetta guardando dietro uno specchio. Bensì altri tre identici serpenti. Sullo specchio, con una sapiente costruzione, “entrano” anche le figure dei quadri. E così guardando una faccia dello specchio, si riflettono le scure sagome di due fiere pantere. Guardando nell’altra faccia, invece si riflettono i due cacciatori, uno dei quali con lo sguardo perso nell’orizzonte (riferimento autobiografico di Avery bambino che passava molto tempo delle sue giornate seduto su uno scoglio a contemplare il tramonto, il mare e l’orizzonte). Alcuni cercano di comprarlo, l’avatar, andando in una confusa bottega. Ma certamente non sono “animaletti” docili, che si fanno prendere con facilità. E allora si deve andare a cercarli, si deve andare a caccia. Forse si può anche essere fortunati e riuscire a prenderne uno. Ma se catturato, senza averne compresa la portata, rimane semplicemente una carcassa vuota.

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daniela trincia
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galleria s.a.l.e.s., via dei querceti 4/5 (colosseo), 00184 roma, da martedì a sabato 15.30 – 19.30 – ingresso libero – t +39 06 77591122 – f +39 06 77254794 – e info@galleriasales.it – web www.galleriasales.it

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