02 giugno 2003

fino al 3.VI.2003 Vacant Community Roma, Fondazione Adriano Olivetti

 
In cerca di identità, o intenta a dimenticarla. Inafferrabile, allargata, latente. Raccontata con uno sguardo curioso, impietoso, attento. Che si muove tra spiagge affollate, landscape urbani, paesaggi nordici. Comunità davanti l’obiettivo...

di

Sono un pessimo fotografo, va detto. Lo ha dichiarato, laconico e disarmante, Phil Collins (Worchester, 1970; vive a Belfast) in un’intervista pubblicata su FlashArt , qualche mese fa: la macchina fotografica lo fa sentire a disagio, l’atto di fotografare lo imbarazza. Del resto il punto sembra essere un altro: non tanto la qualità formale dell’immagine, quanto quella intrinseca; il taglio è casuale, ma la foto è significativa: l’inquadratura anonima, la tecnica carente riscattano il messaggio, o quantomeno il senso. E Collins ha concluso l’intervista affermando proprio che le domande migliori nascono dalle cose che ci piacciono di meno. Il suo lavoro è un’osservazione attenta e impietosa di alcuni gruppi di persone: dai giovani serbi becoming more like us,agli orangisti, ai newyorkesi del post 11 settembre. Comunità, in un’accezione che è di volta in volta labile, sfilacciata o inquietante. Al concetto di comunità vacante è dedicata la mostra collettiva (dodici artisti tra cui Phil Collins) ospitata negli spazi della massimo vitali, cagliari red umbrella, 1995 Fondazione Olivetti (Vacant Community, a cura di Marianna Vecellio); nell’ambito di un Festival FotoGrafia che per la verità c’è sembrato un po’ fiacco – e parecchio incline a proporre a mo’ di menù fisso l’intoccabile fotoreportage – questo è un allestimento davvero interessante: una prova di lettura che si snoda seguendo un filo esile, cui si può obbiettare qualcosa nell’assunto iniziale (non condividiamo interamente la presunta perdita dell’identità – o dell’identificabilità – degli insiemi di persone) e che solo in qualche scelta cade nel prevedibile politically correct.
Soprattutto emerge la sostanza inafferrabile del disagio, raccontata con modi e linguaggi differenti da un esemble di artisti abbastanza eterogeneo: dall’algido Thomas Struth (Gelden 1954), alla Cina contemporanea secondo Weng Fen (Hainan, 1961), agli imprevedibili scenari nordici di Joachim Koester. Dallo sguardo cinico di Philip Lorca di Corcia (Hartford, 1953), al racconto video lucidissimo di Maja Bajevic, alle spiagge e ai parchi affollati di Massimo Vitali (Como, 1944), al quotidiano, insignificante, fermato negli scatti di Stephen Waddel (Vancouver, 1968). Alla serie di primi piani di Annuschka Blommers & Niels Schumm: silhouette nere, come campiture uniformi.

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giulietta neri
mostra vista il 19 maggio 2003


Vacant Community, a cura di Marianna Vecellio
Fondazione Adriano Olivetti, via Zanardelli 34 (Piazza Navona), 066877054112, www.fondazioneadrianolivetti.it, www.fotografia.festivalroma.org , lun_ven 10-18, catalogo festival di Fotografia edito da Federico Motta Editore


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