12 novembre 2003

fino al 11.I.2004 Gemine Muse Catania, Museo Diocesano

 
Tre opere a Catania reinventate e rilette dai giovani artisti di Gemine Muse. Con spirito ludico e provocatorio, ma senza troppi urti. Un san Sebastiano irriverente, una serie di ostensori iper-cromatici, i reperti intimi di una femminilità contemporanea entrano in una collezione sacra. Con voglia di giocare...

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A Catania quest’anno è il Museo Diocesano, con la sua importante collezione di arte sacra, ad ospitare la seconda edizione di Gemine Muse, manifestazione nazionale dedicata al dialogo tra le opere conservate nei Musei e la creatività di giovani artisti emergenti, chiamati a cimentarsi in una interpretazione contemporanea dell’arte antica. I tre artisti della sezione catanese sono stati selezionati dalle curatrici Lucilla Brancato e Ambra Stazzone.
Il confronto con un corpus di opere religiose, con un luogo interamente dedicato al sacro, non era certo semplice. In agguato sempre gli occhi vigili di Padre Santino Salamone, Direttore del Museo, e il timore di offendere, esagerare, di spingere un po’ troppo sulla dissacrazione.
E certo con l’ironia pungente ha scelto di giocare Massimo Di Rocco (Canicattì, Agrigento – 1974), con il suo Reliquiario (S.Sebastione), probabilmente delle tre Massimo Di Rocco - Reliquiario l’opera più efficace. Ispiratosi a una reliquia di S. Sebastiano, Di Rocco ha costruito una moderna “teca”, una specie di nicchia che altro non è se non una vasca da bagno laccata di nero, posizionata in verticale, con in cima due lumini artigianali, fatti con materiali da recupero. Dentro la vasca è inserita la gigantografia cilindrica, roteante del santo, interpretato da un improbabile modello, privo dell’opportuno physique du rôle: un po’in sovrappeso, vestito solo da un ingombrante perizoma bianco, barba e capelli fulvi e arruffati, la mani legate dietro il busto pingue e il volto rapito in una tragicomica estasi. E, come da iconografica tradizione, col corpo interamente martoriato da una decina di…freccette a ventosa. Un mega-carillon, kitch e burlesco, ai cui piedi è posto un banchetto pieno di santini raffiguranti il finto Sebastiano, con tanto di preghiera sul retro.
Anche Elisabetta Censabella (Catania, 1974), in Specchio Divino, usa un’ironia disincantata per i sui moderni ostensori: sono oggetti seriali, coloratissimi, strani dischi a raggiera usciti da un cartoon giapponese, tinte acide, moduli geometrici, in un’ alternanza di superfici opache, specchi, plastiche traslucide. Ostensori spregiudicati appesi come decorazioni pop, a proiettare la loro forma su tutto il pavimento, riempiendo la stanza e spezzando, con vivace discrezione, l’atmosfera tenebrosa e seria. L’ arredo sacro si fa arredo profano, oggetto industriale, forma asettica ripetuta con audaci variazioni cromatiche, e la funzione cultuale cristiana trapassa in quella estetico-decorativa, propria di una cultura secolarizzata, la nostra, che attraversaMilena Nicosia - Documenti metafisifici esperienze, valori e linguaggi lontani dalla tradizione religiosa.
Milena Nicosia (Vittoria, Ragusa – 1974) sceglie di confrontarsi con un frammento scultoreo di epoca ellenistica, una parte di panneggio di una veste. Documenti metafisici riflette sul tema del corpo femminile, e, attraverso il concetto di stratificazione temporale, ricostruisce fotograficamente le tracce del vissuto intimo di una donna, accumulate come sfoglie sovrapposte: pizzi, calze a rete, ovatta…dal rosa al bianco gli strati si dispiegano, evocando e ricomponendo un corpo dissoltosi nel tempo e restituendone una memoria epidermica. Formalmente ben curato il lavoro risulta però un po’ banale: il suo modo di raccontare il corpo femminile prende spunto da un immaginario piuttosto convenzionale e stereotipato, assumendolo come proprio e certo non mostrando l’intenzione di metterlo in discussione.
L’allestimento generale, misurato ed impeccabile, ha scelto di relazionarsi col luogo in maniera armonica, dando vita a un intervento equilibrato, forte ma non invadente.

helga marsala
mostra visitata l’8 novembre 2003



Gemine Muse – mostra su territorio nazionale;
iniziativa promossa dal GAI e dal CIDAC, con la collaborazione della DARC
Catania, Museo Diocesano, Via Etnea, 8,
dal martedì alla domenica, h. 9.00/12.30-16.00/19.30
Vernice: 8.XI.2003 – Durata: fino all’11.I.2004
Info: GAI, n° verde 800807082, web site: www.giovaniartisti.it
Comune di Catania, web site: www.comune.catania.it
Museo Diocesano di Catania: tel. 095 281635


[exibart]

1 commento

  1. Parlo della mia opera “Documenti Metafisici”: L’opera d’arte con cui ho interagito grazie al progetto Gemine MUSE, è un frammento di statua ellenistica siglato “Frammento di figura femminile” .
    Osservandola si ricreava, da un sasso quasi informe, una debole traccia di donna. Dall’”immaginazione integrativa” la rappresentazione, anche mutilata, vive idealmente completa.
    Così ho elaborato delle scansioni di oggetti che rappressero la donna universalmente ed è nata l’opera “Documenti Metafisici” in origine composta da 12 immagini che successivamente per problemi logistici si è tramutata in trittico. Si noterà che ho mantenuto un’affinità coloristica con l’opera ellenistica presa come spunto creativo, l’ocra della pietra è stato ripreso in ogni sua sfumatura ma diventando seta, pizzo o licra.
    Oggetti intimi sono quotidianamente a contatto con il nostro corpo, ne contengono le forme, assorbono i nostri odori e le nostre secrezioni ormonali, ci proteggono da un contatto diretto con l’esterno, sono un’espressione sociale, culturale e razziale. Sono gli indumenti a contenere le nostre tracce più intime e a loro volta essi sono tracce che nascondono storie umane ed esistenziali.
    Questi strati: di sottovesti, reggiseno e mutandine, di delicate imbottiture ed elastiche trasparenze in licra, di pizzi sigillati nel cellofan in attesa dell’occasione giusta, di fiori di seta incartati nella velina hanno un potere dialogante sicuramente sottovalutato.
    Sono strati di membra femminili sconvolti dalle passioni, dalle tristezze, e dai desideri, dilaniati dai ritmi inumani e dalle esigenze perfezionistiche della modernità, schiacciate dalle pressioni lavorative ed economiche. Documentano i bisogni, le paure, i pensieri delle donne.
    L’opera esposta è pur esso un frammento (come l’opera da cui ha preso spunto)di storia di donne, non di prostitute e non di suore ma delle infinite donne normali e banali. Bisogna pensare anche a loro in una società che li umilia in continuazione.
    L’Opera continua. E’ da stupidi pensare che si possa raccontare una storia infinita in tre parole. Ma devo sempre ringraziare chi mi ha permesso di aprir bocca.

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