05 gennaio 2001

Fino al 31.I.2001 L’idea del sacro e l’identità dell’umano nell’opera di Pippo Rizzo Palermo, Civica galleria d’arte moderna

 
«Quand’ero ragazzo uno dei miei divertimenti preferiti era il teatro dei pupi, ma spesso non potevo assistere all’intero spettacolo perché mio padre, uomo rigoroso, non voleva che frequentassi quell’ambiente, pieno di fumo e baraonda»...

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Così scriveva Pippo Rizzo nel 1955, nel catalogo dell’esposizione alla galleria del Naviglio di Milano, spiegando il suo amore per i paladini siciliani, protagonisti di tanti dipinti.
All’artista che fece giungere in Sicilia le voci più accese del futurismo è adesso dedicata la mostra «L’idea del sacro e l’identità dell’umano nell’opera di Pippo Rizzo», che si tiene alla Civica galleria d’arte moderna. L’esposizione, promossa dall’Assessorato alla cultura del Comune, è curata da Antonietta Greco, con il coordinamento della direttrice della galleria, Antonietta Purpura, e con l’apporto di Alba Rizzo Amorello, figlia dell’artista. Sono esposte una cinquantina di opere, tra pitture, disegni e sculture, molte inedite e provenienti da collezioni private e luoghi sacri.

«La mostra — spiega Antonella Purpura — vuole sottolineare la religiosità, un tema presente nell’opera di Rizzo, sebbene poco noto. Una decina di queste opere proviene dalla collezione della Galleria». Nelle ultime sale, sono esposte alcune opere di artisti contemporanei a Rizzo, come Bevilacqua, Corona, Franchina, Pasqualino.

Nato a Corleone nel 1897, Pippo Rizzo ben presto si trasferì a Palermo, per frequentare l’Accademia di belle arti, dove fu allievo di Ernesto Basile, Ettore De Maria Bergler, Mario Rutelli. Negli anni Venti è a Roma, e qui frequenta assiduamente Filippo Tommaso Marinetti, teorico del futurismo.
Tornato a Palermo, crea un sodalizio con i pittori Giovanni Varavaro e Vittorio Corona; insieme lavorano nel grande studio di vicolo Malfitano, in via Dante. Alcuni anni più tardi, nascerà la “Casa d’arte” di via Vincenzo da Pavia, vulcanica bottega dove si producono opere d’arte, oggetti d’arredamento, arazzi, tappeti. Celebri i costumi per le serate futuriste, che costituivano dei coraggiosi appuntamenti di recitazione teatrale, poesia e dibattito, e che spesso si concludevano con il lancio di ortaggi da parte di un pubblico borghese non troppo avvezzo alle innovazioni.
«Il percorso proposto in questa esposizione — spiega la curatrice Antonina Greco — segue un criterio storico, dalle opere giovanili a quelle degli anni Cinquanta e primi Sessanta. Emerge la travagliata ricerca dell’artista, per il quale la spiritualità affonda le sue radici nella consuetudine dell’esistenza quotidiana». Senza dubbio è proprio nell’esperienza personale di Rizzo da ricercare la presenza del tema religioso, che possiede una connotazione intimistica e personale. Un fratello e una sorella dell’artista, infatti, ebbero una travagliata conversione che li condusse ad abbracciare i voti, divenendo rispettivamente frate francescano e madre superiora. Sono del 1915 i due piccoli e intensi ritratti di Tommaso e Antonietta, con gli abiti religiosi, e sono tanti anche i disegni raffiguranti gli angeli, nei quali è possibile cogliere la differenza del segno, legato ai diversi periodi. Nella grande “Annunciazione” del 1935 l’angelo affacciato alla finestra sfiora Maria con la sua grande ala, mentre nella “Meditazione nel chiostro”, datata 1918, il colore è steso per piccoli tratti obliqui. Tre i dipinti raccordati dal tema dei paladini, ora quadro nel quadro in un gioco di scatole cinesi nella tela “I carabinieri”, soggetti che ritornano altre volte nella pittura di Rizzo.
In uno degli autoritratti in mostra, Rizzo sembra realizzare un sogno d’infanzia, ritraendosi nelle vesti di paladino, e brandendo eroico la spada.
Emblema della pittura futurista, il “Nomade” del 1929 — donato dalla moglie dell’artista alla città — è una figura d’uomo in primo piano, scomposta in segni decisi, mentre sullo sfondo il treno, protagonista in quegli anni di esaltazioni poetiche — sferraglia sontuosamente, materializzando la sua velocità con linee d’argento. Solo di qualche anno prima, del 1925, è il bellissimo “Vortice con pesci rossi”, un trionfo cromatico incentrato su un movimento a spirale, che avvolge lo sguardo con le linee tipiche della pittura futurista.
In mostra anche alcune sculture di piccolo e medio formato, tra figurazione e astrazione, alcune delle quali, realizzate in alabastro bianco nei primi anni sessanta, ispirate — come Rizzo stesso spiega in un suo scritto — alle ossa di animali, in un dialogo che alterna i pieni ai vuoti. Le stesse ritornano come soggetti in due pitture. Figurativo, invece, il piccolo bronzo che rappresenta un volto reclinato, studio per una scultura a carattere sacro, dove le linee della pittura si trasformano in solchi, segnando nettamente l’espressione. Ancora astratta “Forma numero uno”, ottone stilizzato per geometrie che si incrociano con lo spazio, entrando in rapporto con esso. Del periodo giovanile, “Autoritratto con violetta” mostra l’artista dallo sguardo lucente, secondo un’impostazione iconografica classicheggiante dalla quale traspare la ricerca di una peculiare cifra stilistica.

Tra i soggetti religiosi in mostra, due “San Francesco”, eseguiti l’uno a distanza di trenta anni circa dall’altro, il “Cantico delle creature”, con una teoria di stilizzati angeli musicanti e oranti inginocchiati al cospetto del santo di Assisi, e “La caduta di Paolo”, dall’impianto strettamente legato alla lezione pittorica italiana di quel periodo. Chiude l’esposizione “Reti in riposo”, un intrecciarsi di fili rossi sullo sfondo di un cielo nuvoloso, opera incompiuta dell’artista.
Pippo Rizzo abbandonò il futurismo dopo il 1929, ma la sua attività proseguì incessantemente, e molti furono gli inviti alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma, oltre alle più importanti mostre internazionali. Docente di pittura dell’Accademia di belle arti di Palermo e poi di Roma, dove fu anche direttore, l’artista sottolineò sempre l’aspetto della didattica nell’arte, aiutando e sostenendo i suoi giovani allievi.
La mostra, che si apre con una piccola selezione di cataloghi e testimonianze, è accompagnata da un catalogo, con testi e un ricco apparato iconografico.


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Paola Nicita




Palermo – “L’idea del sacro e l’identità dell’umano nell’opera di Pippo Rizzo”, a cura di Antonietta Greco, Civica galleria d’arte moderna, Piazza Politeama, tel. 091 333304. Apertura tutti i giorni, ad esclusione del lunedì, dalle 9 alle 20, la domenica e i giorni festivi dalle 9 alle 13, il biglietto è di sei mila lire. Fino al 31.I.2001





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3 Commenti

  1. penso che pippo rizzo sia uun artista degno di questa esposizione ,perchè il suo spirito da quello che emerge da questa mostra è simile al mio.Non so perchè ma spesso mi rivedo negli animi degl’altri artisti, anche se in maniera sfaccettata,ma da quello che ho imparato so che se non ci senttiamo uguali con altri esseri viventi veniamo emarginati .Io ho paura di perdere il mio contatto,e continuerò sempre a cercarlo, l’importante è trovare quello giusto come nel caso di Rizzo.

  2. Trovo bellissima l’opera che compare nella seconda foto. Mi interesserebbe poterla vedere ingrandita. Grazie e complimenti all’artista.

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